Ma se un ex ministro della Repubblica Italiana manda al Corriere della Sera una letterina molto seria sul Monti-bis, sui moderati, sul futuro del Paese e già nel primo capoverso la lingua italiana comincia pericolosamente a sbandare, il giornale come si deve comportare, prendere il coraggio a quattro mani e correggergli gli sfondoni, soprattutto a beneficio dei poveri lettori, o costringersi nell’angusta condizione di chi subisce impunemente lo strazio dell’idioma nazionale per quel senso un po’ ipocrita del rispetto?
Sta di fatto che stamattina il senatore del Pdl, Altero Matteoli, ha iniziato così il suo scritto a Ferruccio de Bortoli: «Caro direttore, martedì, in una trasmissione tv, il conduttore mi chiese quale sarebbe la mia posizione se Monti entrasse in pista…», in un suk di passati e presente che rallegravano l’umore almeno quanto la grammatica. Il Corriere, come è evidente, ha lasciato tutto come stava, altrimenti non staremmo qui a perdere del tempo. Ma era proprio la cosa giusta da fare, oppure si doveva colpirne uno per educarne cento, correggendo senza pietà, o, magari, con il tatto dovuto verificare col medesimo senatore se potevano esistere margini anche minimi di trattativa lessicale? Voi dite che si sarebbe offeso?
Ecco, la paura di offendere. Paura preventiva, purissimo meccanismo di autocensura che si mette in moto anche nei rapporti personali, con i colleghi di lavoro, persino con gli amici, timore di apparire professorini in servizio permanente effettivo. Ma è un rischio che vale la pena di correre per proteggere la lingua italiana, al punto da trasformarci in paladini della sua purezza in giro per bar, uffici, redazioni di giornale (!) o piuttosto con un minimo di autoironia (e anche di senso del limite) dovremmo lasciar cadere ogni nefandezza anche a costo di qualche calcolo in più al fegato?
Urge trovare un’opportuna linea di mediazione. Reclinare il capo sempre e comunque, no. Non si può stare zitti a prescindere, far finta di nulla, assistere allo scempio progressivo del linguaggio, scritto e parlato. Già, ma quale mediazione? Una, personalissima, si può già identificare: valutare il grado di istruzione del nostro interlocutore, pesarne il cursus honorum, considerando come un aggravante il fatto che possa rivestire anche ruoli di potere o comunque di un certo peso all’interno della società, e alla fine di questa severissima valutazione «scolastica», tirata la riga del totale, decidere se è il caso di rimanere in un dignitoso silenzio oppure di sottolineare in modo sottilmente evidente il punto massimo di ignominia a cui il soggetto in questione è arrivato. E se si offende, ancora meglio.
Naturalmente, prestandoci a una pratica siffatta ci consegniamo a un larghissimo plotone di esecuzione pronto a sforacchiarci senza pietà e ci rendiamo conto di essere identificati come un ghiottissimo obiettivo di ritorno. Ci aspetta dunque una vita grama, in cui ogni congiuntivo, ma anche un semplice punto e virgola, si potrà trasformare in una maledetta curva a gomito.
Ma in fondo, come dice Zingaretti, futuro governatore del Lazio, «mi hanno imparato» a non badare alle cattiverie.