Riscoprirsi comunisti per volontà altrui dà una strana sensazione. A me capita di essere chiamato così da lettori (ultimo ieri, in un post, dal signor Cancelli), che non condividono le mie idee. Comunista diventa un dato di natura, una condizione etnica, una damnatio incancellabile. Se ci abituassimo a parlarci senza dare etichette sarebbe un gran passo in avanti. Tuttavia non voglio sfuggire all’accusa che mi è stata rivolta.
Faccio parte di una comunità ormai disciolta che ha avuto una grande forza nel Paese. Molti della mia generazione hanno dichiarato dopo l’89 di non essere mai stati comunisti. Non io. La scelta del Pci è avvenuta per diverse vie, nel mio caso perché nella mia città i giovani erano prevalentemente fascisti e il Pci era l’unica, dicesi l’unica, forza antifascista che contendeva da posizioni di minoranza il campo all’egemonia della destra.
Nel mio Pci c’era meno Urss di quanto oggi raccontano i suoi critici. Forse era filo-sovietica una parte della sua classe dirigente, ma venivamo ospitati anche noi che non amavamo l’Unione sovietica. Nel mio Pci c’era il centralismo democratico, ma ci si scazzava su tutto con profondi contrasti fra correnti che non venivano organizzate in modo plateale ma esistevano. Dalle mie parti la maggioranza era amendoliana, c’erano tanti ingraiani, i più giovani diventavano sempre più berlingueriani. Parlavamo lingue diverse ma convivevamo.
Nel mio Pci c’era l’apparato ed era formato quasi sempre da ex operai che avevano fatto l’esperienza di fabbrica e che avevano scelto il partito non come rifugio dalla disoccupazione ma come scelta di vita, per dirla con Amendola. Io lasciai il mio molto ben retribuito lavoro nella casa editrice Laterza per fare il “rivoluzionario di professione” a poche lire mese dopo mese incerte. Eravamo probabilmente supponenti, ci sentivamo al centro del mondo, capisco chi ci detestava e ci detesta. Quella storia nella sua grandezza e nelle sue miserie è finita.
La tessera del Partito Comunista Italiano dell’anno 1973
Solo un cieco e un non udente non ha visto e ascoltato il dramma dello scioglimento del Pci. Un pezzo di vita italiana vero, pieno di conflitti anche nelle stesse famiglie. La mia si spaccò irreversibilmente. Dopo di allora cominciò una lunga traversata in cui la colpa che primariamente commettemmo fu quella di non elaborare la storia che avevamo vissuto e anche quella di farci demonizzare da chi era stato fuori, soprattutto quella genia di italiani che erano stati democristiani con la Dc, berlusconiani con Berlusconi, forse oggi grillini con Grillo. Penso che avremmo dovuto scegliere la strada socialista.
L’unica grande colpa che non perdono al mio ex partito è di aver sempre sottovalutato la questione socialista. Si fa ancora in tempo a rimediare. Quello che non accetto è l’idea che noi che veniamo da così lontano, nel tempo e da molti di voi, dobbiamo passare la vita che ci resta a chiedervi scusa. Se domani sarà una bella festa democratica, forse un po’ di merito l’abbiamo anche noi che ci siamo fatti le ossa in un partito democratico e di popolo. Vedo che alcuni miei amici, compresi questi carissimi de Linkiesta, proclamano ad ogni piè sospinto che si sta avvicinando il tempo per voltare pagina rispetto al Pci. Dopo vent’anni staremmo ancora lì?
Io penso che chi sceglierà Bersani non vuole ridare vita al vecchio partito, né che tocchi a Renzi scioglierlo avendoci già pensato il dimenticato Achille Occhetto. Mi sorprende che tutti quelli che ci accusano di vivere nel passato chiedano alle culture del passato le ragioni per demonizzare chi ha avuto un certo percorso di vita. Siamo quel che siamo perché ci siamo impastati fra di noi e con quella parte di società che stava a sinistra. Se ci dite comunisti non fate torto a noi, ma a voi stessi che non riuscite a capire come mai tanta parte di italiani che viene da quella storia viene chiamata in battaglia quando bisogna correggere le storture della società. È vero, rassegnatevi, siamo ineliminabili, noi e i nostri figli. Non c’è pulizia etnica che faccia al caso. Chiedetevi come mai tanta parte di quella cultura politica, depurata dai feticci e dalle regole di chiesa, sopravviva ancora e soprattutto dia forza a progetti nuovi.
Forse la ragione non sta nella sopravvivenza di apparati, categoria comoda per demonizzare e non per analizzare, ma in quel singolare modo di immaginare la politica come servizio pubblico di massa. Poi seppelliamo il Pci, rottamiamo quelli di una certa età o che vengono da lì. Va tutto bene, ma se guardandovi intorno domattina vedrete accanto ai “nativi” del Pd tanti vecchi e vecchie compagne del Pci qualche domanda dovrete farvela anche voi. Odiateci liberamente, ma non vi raccontate come se foste sopravvissuti ai gulag o a una democrazia popolare. Troppo disprezzo verso l’Italia di ieri ha portato ai pessimi risultati della Seconda repubblica e non aiuterà la nascita della Terza.
*Originariamente apparso come post nel suo blog su Linkiesta “Mambo”