Te lo do io il comizio: Grillo spacca, gli altri addormentano

Te lo do io il comizio: Grillo spacca, gli altri addormentano

Per infliggersi la punizione definitiva della conoscenza, il cittadino-elettore avrebbe potuto dedicare l’intera giornata di sabato scorso alle convention politiche che hanno riempito, se non proprio di significati, almeno di parole, il vuoto pneumatico del nostro tempo. Sulla scena agivano due soggetti che si definiscono nuovi, come Matteo Renzi alla Leopolda e Montezemolo con la sua «Terza Repubblica» nel nome di Monti, e nella ridotta post-fascista organizzata a Milano da La Russa si poteva udire l’intemerata di Angelino Alfano contro “le facce impresentabili” (Formigoni era in prima fila, in linea d’aria esattamente di fronte a lui). Il tutto in diretta internettiana, comodi in poltrona.

Alla fine di un pomeriggio difficile, ci è apparso sufficientemente chiaro come mai Beppe Grillo, rispetto a questi soggetti, abbia un successo travolgente. E il segreto ci pare risiedere nel linguaggio. (Basta dare un occhio anche distratto all’ultimo comizio di Aosta per il referendum su pirogassificatore sì/no, stravinto da Grillo)

IL RISCATTO DEGLI SCHIAVI – Diversamente da tutti gli altri, il leader 5 Stelle non gioca mai in casa, cioè non attribuisce preventivamente a tutti quelli che vanno ai suoi comizi una consonanza d’intenti (è chiaro che ci vanno per lui, ma Grillo respinge alla radice il solidarismo politico che toglierebbe calore al suo intervento). Piuttosto, in ogni occasione cerca motivi di contrasto utili a sollevare dalla mediocrità i cittadini vessati da tanti anni di cattiva politica, infliggendo loro la durissima punizione d’essere sbeffeggiati in pubblico come soggetti inerti (e inermi) che sino a quel momento hanno subito passivamente ogni possibile ingiustizia e a cui solo lui potrà restituire la dignità di persone.

Guardate, ora, a ciò che succede nelle convention avversarie, dove le differenze comportamentali tra Renzi, Montezemolo, Alfano, Giannino, ecc., si appiattiscono sino quasi a scomparire. Il contesto, innanzitutto. C’è – inevitabile – il senso di una partecipazione al «nuovo» che porta i convenuti a considerarsi parte attiva di un progetto che cambierà l’Italia. C’è una sicurezza caramellata, una tranquillità di fondo, l’idea che tutto scorrerà nella lietezza organizzativa e non si verrà mai identificati come persone dal passato poco lusinghiero (cioè gente che lì stesso verrebbe considerata impresentabile). È certamente molto bello «esserci», ma dall’esterno – per un cittadino che non ha ancora scelto – la noia arriverà con grande, grandissimo anticipo rispetto all’«adunata sediziosa»di Beppe Grillo.

IL MERITO, QUESTO CONOSCIUTO – È il fil rouge, o se preferite la parola d’ordine, che tiene insieme ogni discorso politico che abbia l’ambizione di apparire nuovo. Quasi una litania che si perpetua di teatro in teatro, di convention in convention. Molto ripetuto da Renzi, Montezemolo e Giannino in egual misura, come la chiave di volta del cambiamento. Parliamo dell’ovvio come fosse rivoluzionario: come mai? Il fatto che la società politica ne abbia fatto strame nel corso di tutti questi anni davvero ci autorizza a considerare un pre-requisito, una pre-condizione, come il merito, alla stregua di un elemento rivoluzionario del nostro futuro? Le persone minimamente avvedute danno (e hanno sempre dato) per scontato che il merito sia uno degli elementi di minima civiltà delle società democratiche e avanzate, c’è bisogno di ripeterlo in modo stucchevole e anche un po’ puerile? Stiamo forse sottovalutando il cittadino-elettore?

Sul fronte del merito, Beppe Grillo prende decisamente la via opposta: praticamente lo ignora. Ovviamente non perché lo consideri marginale, ma per il fatto che in tutti questi anni (anche negli anni di puro spettacolo comico, rivederseli please) è già stato per lui un elemento dirimente. Per cui, la vera differenza che oppone ossessivamente nei suoi comizi è più sanguinolenta e populista: il certificato penale. «Sono tutti ragazzi incensurati!», questo è il suo grido di guerra in tutte le piazze d’Italia, sapendo che oggi furti, rapine, scippi, milionari in fuga, ai danni dello Stato, stanno nella pancia dei cittadini come vermacci da espellere.

LA FORZA DI STARNE FUORI E LA DELEGA AI CITTADINI – Questa è l’eccitante vertigine alla base dell’idea grillesca del Potere, la conquista di Roma attraverso gli altri, i suoi soldati, le sue truppe, i suoi eserciti. Con lui fuori, guru esterno con paraguru (Casaleggio) ancora più esterno. È chiaro che sugli elettori che debbono ancora scegliere, questo (interessato e apparente) disinteresse finisce per fare la differenza, rispetto a quelli che agiscono (legittimamente) in prima persona. E visto che il comico oppone il certificato penale come fattore dirimente, la sua scelta di stare fuori dai giochi strettamente parlamentari risponde anche a questa logica, dal momento che gli pende una condanna per omicidio colposo ormai passata in giudicato.

Per aumentare in modo esponenziale e dirompente, da una parte il senso di autostima dei cittadini e dall’altra il loro senso di riconoscenza/dipendenza nei suoi confronti, Beppe Grillo gioca la carta della delega del Potere. «Sarete voi a entrare in Parlamento, sarete voi a spazzarli via. Tutti!». Arriva persino a dire – gioco retorico-populista – che lui non conta, che può fare ben poco, se non offrire la sua visione del mondo alla causa.

IN NOME E PER CONTO DEL LEADER – La cerimonia di queste convention è sempre uguale a se stessa. Anche Renzi, baldo trentasettenne, ha innovato davvero poco rispetto al mesozoico Montezemolo. C’è un innesto corposo di testimonianze giovanili, con le loro rinunce, i loro sacrifici, le loro aspettative, c’è – regolarmente – la spruzzata multietnica politicamente corretta, ci sono le donne-maestrine q.b., gli imprenditori con belle storie alle spalle e quei filmati terribili con le famiglie felici. Nessuna sorpresa, poche emozioni vere. Quelli/e che parlano, generalmente, “accompagnano” il leader senza lasciare una traccia sensibile, sono il suo sguardo all’interno della società ma pochi hanno la personalità per essere ricordati (da Montezemolo interventi con pochissimo cuore di Dellai, Tinagli, Olivero, Riccardi con la felice eccezione della professoressa Giannini, linguista e rettore dell’università per gli Stranieri di Perugia, e così lo stesso da Renzi, dove solo Pietro Ichino, che certo non può essere considerato una creatura del sindaco fiorentino, ha lasciato il segno).

Il dislivello con la centrifuga emozionale di Grillo è talmente evidente che un certo sapore un po’ democristiano appare come un contrappasso quasi inevitabile. C’è da ripensare la formula?

Da Grillo, nulla di tutto questo ha valore. In nome e per conto del leader nessuno può parlare, nessuno ne ha titolo, nessuno ne ha facoltà. Si potrà anche interpretare questa rappresentazione come un limite enorme allo sviluppo della democrazia (interna), ma per il momento ciò rappresenta la sua forza. Le uniche voci che Grillo ammette al suo fianco sono i cosiddetti “tecnici”, quegli studiosi delle materie più varie (ma soprattutto ambiente e territorio) con cui il comico ha stretto un rapporto importante nel corso degli anni e da cui ha ricevuto i fondamentali per poter parlare con una certa qual cognizione di causa (non sempre, ovviamente). Grillo è un orecchiante straordinario, se i suoi spettacoli (ben prima della politica attiva) hanno subito una mutazione progressiva lo si deve esattamente ai continui panels cui si è sottoposto (chiedere lumi all’amico fraterno Antonio Ricci di “Striscia”, al quale Grillo manda spesso “rivelazioni” fanta-scientifiche).

IL LINGUAGGIO DEFINITIVO – Soltanto Matteo Renzi, per un tratto della sua campagna, ha tenuto la comunicazione di Grillo. Non a caso sono stati i lunghi giorni della rottamazione, in cui il sindaco doveva solo disfare e poteva permettersi di non creare. In quel frangente, con dei nemici così autorevoli come D’Alema, Bindi & C., ha dato il meglio di sè, flagellando senza pietà e trascinando le folle. Alla fine ha sì ottenuto la sonante vittoria di un duplice abbandono: Veltroni-D’Alema!, ma anche un’infelice conseguenza: un certo smarrimento politico con relativo appiattimento della originaria irruenza. Da qui ne discende una possibile malizia: che non si aspettasse di poterli abbattere davvero, che pensasse di poterci giocare contro per tutta la campagna?

Sulla rottamazione degli umani-politici, invece, Grillo ha ancora sterminati territori. Saranno spalancati sino al momento del voto. Viaggerà a occhi chiusi, con il pilota automatico. Poi, andati «a casa tutti!», inizierà il difficile. O l’impossibile?