Troppe prime donne e addio a «Fermare il declino»

Troppe prime donne e addio a «Fermare il declino»

Nel suo blog Alberto Crepaldi si domanda opportunamente come mai i sepolti vivi di Fermare il Declino abbiano smarrito la bussola. E come la strada intrapresa diversi mesi fa, semmai li stia conducendo a un malinconico oblio. Molti sostenitori, scrivendo a LK, si sono ribellati a questa visione delle cose, opponendo un pregevolissimo ribollir d’iniziative, ma è un po’ la storia antica dell’inflazione reale e di quella percepita. Se davvero, come raccontano gli iscritti, al suo interno Fermare il Declino è così vivace, all’esterno l’impressione è quella di un funerale di terza classe.

Le ragioni sono sostanzialmente tre:
a) le singole personalità non fanno una squadra (la somma non fa il totale);
b) il dilettantismo politico;
c) la preoccupante incapacità di raccontarsi ( a fronte di un programma irraccontabile).

Partiamo dalla seconda, il dilettantismo politico, perché al fondo comprende anche la prima. Non più tardi di qualche mese fa Italia Futura, peraltro nata con largo anticipo, si consegnò armi e bagagli alla benevolenza di Giannino & soci. I migliori cervelli di Montezemolo si presentarono da FiD con il piattino in mano pietendo una fusione naturalmente in perdita per IF e di tutto guadagno per Fermare il Declino. Rossi, Romano, Tinagli e Calenda, probabilmente sfibrati per i mille dubbi del Re tentenna Montezemolo lo abbandonarono sostanzialmente al suo destino, vergando in pompa magna i dieci punti del programma «nemico». Per FiD un piccolo trionfo. Al punto che si immaginò per novembre una grande convention comune per sancire la nascita del nuovo mostro a due teste, ma a guida saldamente gianniniana.

Cosa è potuto succedere per mandare in frantumi un progetto di così ampia intensità? È successo che all’interno di FiD hanno capito troppo tardi ciò che avrebbero dovuto intuire sin dall’inizio: ch’erano tutte primedonne, nessun portatore d’acqua, nessun terzinaccio, tanto meno nessuna comparsa. Tutte personalità complesse che non legavano tra loro, se non apparentemente. Mancava il collante, mancava l’anima, mancava (forse) un capo riconosciuto, il che per tutta una prima fase iniziale ha costituito anche la parte più entusiasta del movimento, ma che con lo scorrere del tempo ha assunto i tratti distintivi dell’anarchia. Anarchia liberale? Forse un po’ troppo liberale.

Se avete avuto il buon cuore (lo so, vi stiamo chiedendo troppo) di seguire i ragazzacci di Giannino in questi ultimi mesi, avrete certamente notato che ognuno ha giocato la sua partita senza preoccuparsi degli altri. Egoista maximo è Luigi Zingales, afflitto da autocertificazione estetica davvero ragguardevole, il quale tra libri in uscita e dotti interventi giornalistici a larghissimo raggio si è completamente dimenticato di un’idea di squadra. Altro desaparecido è il professor Boldrin e il suo silenzio è particolarmente gravido di significati, dovendo a lui – noi estranei al movimento – tutta l’aneddotica anticasta di spessore modesto e populista. E dove si è nascosto Alessandro de Nicola, altro autorevole componente del movimento? Anch’egli non pervenuto.

In questo deserto delle passioni condivise, cosa poteva fare il povero Oscar Giannino se non giocarsi quei dieci punti distintivi del programma come gioielli del Nilo? Abbiamo già scritto, tempo addietro, della «leggerezza» di questo programma, della sua impalpabilità, abbiamo sottolineato come non basti mettere a verbale «riforma della giustizia» per poterlo considerare un punto distintivo con cui sollevare d’entusiasmo gli italiani. Ma Giannino ha fatto di più e di peggio. Lo ha incapsulato, quel programma, ne ha depositato il marchio al Grande Registro delle Invenzioni, ne ha decretato la purezza e da lì non si è più mosso. Ha deciso che gli altri, tutti gli altri, avrebbero dovuto convergere su di lui e sui quei dieci punti, pena il disfacimento di ogni intesa. Un modo sopraffino e nichilista per non stringere «mai» accordi con nessuno.

E qui si apre la terza ragione di fallimento, che è l’irraccontabilità di quel programma. Sollevando i dubbi del caso, i dirigenti di FiD ci hanno rimandato alle centinaia di pubblicazioni prodotte in passato dai vari professori. Mossa ingenua, puro dilettantismo politico. Il cittadino/elettore ha bisogno di un racconto, il racconto dell’Italia che sarà, ha la necessità di avvertire un calore politico, una speranza condivisa, sente la necessità di comprendere i problemi attraverso un dialogo anche facile, anche semplice, ma genuino e soprattutto diretto. Vi pare possibile, autorevolissimi professori di FiD, che noi si torni a casa la sera, stanchi del lavoro, con le vostre cartelline sotto braccio?

Ps. Ma una cosa, dal cuore, non vi perdoniamo, cari, autorevolissimi, dirigenti di Fermare il Declino. Avete resuscitato Luca di Montezemolo. No, questo non possiamo proprio perdonarvelo. 

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