BRUXELLES – Rilanciare l’economia Ue tagliando proprio sui settori di punta, anzitutto quelli dedicati alla ricerca e allo sviluppo. A giugno i leader si erano impegnati per il cosiddetto “Growth Compact”, il “Patto per la crescita” in nome della ripresa e della competitività europea. Quando si tratta però di metter mano al portafoglio, com’è il caso del quadro finanziario pluriennale 2014-2020 in fase negoziale, casca il proverbiale asino.
Lo si sta vedendo in queste settimane in vista del difficilissimo vertice Ue del 22-23 novembre, che sarà interamente dedicato appunto al bilancio settennale dell’Unione. La Commissione Europea ha presentato un bilancio 1.033 miliardi di euro (1,08% del pil dell’Europa a 27), ma vari paesi, soprattutto i contributori netti (tra cui c’è l’Italia, che pure in rapporto al Pil è il paese che più paga e meno riceve), dicono che sono troppi soldi. La Germania vorrebbe un tetto dell’1% del pil, che equivale a un taglio di circa 130 miliardi di euro rispetto alla Commissione, ma i britannici e vari nordici, Svezia in testa, chiedono qualcosa come 200 miliardi di meno. Proprio oggi il presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy ha presentato un nuovo negotiating box, come viene definito in gergo la bozza negoziale. Una bozza, per la cronaca, che prevede un taglio di circa 80 miliardi rispetto alla proposta della Commissione (il 29 ottobre la presidenza di turno cipriota aveva proposto un taglio di circa 50 miliardi) e manda su tutte le furie l’Italia: secondo l’ambasciatore presso l’Ue Ferdinando Nelli Feroce, la bozza fa «grossi passi indietro», soprattutto per l’Italia: si lasciano intatti gli sconti a Gran Bretagna, Germania, Svezia e Olanda che gravano soprattutto sulle nostre spalle; si peggiora (per l’Italia) il calcolo del coefficiente di prosperità e della disoccupazione (che ridurrà i contributi in base ai fondi di coesione, aumentando così il saldo netto italiano); e infine si riducono i fondi per lo sviluppo rurale di cui beneficia il nostro paese. «La possibilità di un accordo ora è più lontano, anziché più vicino», ha tuonato il diplomatico. Tra i grandi vincitori della nuova bozza sarebbe la Polonia, che si vedrebbe aggiudicare di fatto quasi tutti i soldi che verrebbero tolti all’Italia.
La quale si ritroverebbe ad essere ancora più contributore netto di quanto non sia già ora. Al di là degli interessi nazionali, tuttavia, salta agli occhi che evidentemente ai governi Ue il rilancio dell’economia interessa proprio pochino. Basta guardare il punto 1a dell’ultima bozza dedicato a «competitività per crescita e occupazione»: a questo cruciale capitolo viene dedicata una cifra complessiva pari a un massimo di 152,6 miliardi di euro, con un taglio del 12% rispetto alla proposta – già piuttosto limitata – della Commissione Europea. Certo, è già un po’ meglio della proposta della presidenza di turno cipriota, che il 29 ottobre aveva ipotizzato un taglio di ben il 16% (per fermarsi a 146,3 miliardi). Resta comunque che sono davvero pochi soldi, se si pensa che la Commissione aveva previsto per il solo programma Horizon2020 (rivolto a rilanciare proprio la ricerca e lo sviluppo, l’innovazione, le nuove tecnologie) 80 miliardi di euro per i 7 anni, mentre il Parlamento Europeo voleva portarlo a 100 miliardi. Invece anche questo programma rischia di soffrire dei tagli generali, se saranno orizzontali e saranno veramente del 12%, scenderà sotto i 70 miliardi di euro.
Non basta: se si guarda la ripartizione di un altro grossissimo capitolo cruciale per lo sviluppo, sempre contenuta nel punto 1a, la Connecting Europe Facility, che dovrebbe rilanciare investimenti in trasporti, energia e telecomunicazioni, rimane una cifra ancora più bassa della già irrisoria proposta della Commissione, che parla di 50 miliardi di cui 10 provenienti dai fondi di coesione: nella bozza Van Rompuy, persino da qui si vanno a racimolare risparmi, per scendere a 46,29 miliardi, la cui ripartizione grida vendetta: appena 29,6 miliardi di euro per i trasporti contro i già irrisori 31,7 preventivati dalla Commissione, e appena 8,2 miliardi per l’energia (uno dei capitoli più costosi per l’industria) e infine 8,32 miliardi per le telecomunicazioni.
Mentre si taglia a man bassa sul fronte dei sviluppo e ricerca, molto più ridotti sono invece i tagli per la vecchia politica agricola, che continua a mangiarsi quasi metà del bilancio comunitario. La bozza di Van Rompuy prevede un taglio pari alla metà di quello previsto per la crescita, e cioè il 6% (ed è già meglio della proposta cipriota che invece ipotizzava circa un taglio di solo il 2,5%), ma si resta comunque a 364,47 miliardi di euro, oltre 200 miliardi di più rispetto ai fondi destinati a ricerca e sviluppo. Possibile che non si potesse dare una sforbiciata in più per rimpolpare i settori forieri di vera crescita? Tagliati, peraltro, sono soprattutto gli aiuti per lo sviluppo rurale (di cui profitta l’Italia, che in totale nel settore agricolo rischia di perdere 4 miliardi di euro), molto più di quelli diretti ai coltivatori, carissimi alla Francia. Traduciamo: dovendo scegliere dove far calare la mannaia, la scelta è proprio sui settori più cruciali a difesa di quelli più vecchi. Se Stoccolma (tra i più falchi tra i falchi) definisce il bilancio Ue «roba da anni Cinquanta, non da Ventunesimo secolo» non le si può dare tutti i torti.