PORDENONE – Fare con meno. Gabriele Centazzo, 63enne presidente di Valcucine è entrato nei radar della politica nazionale dopo aver lanciato una proposta di riforma della rappresentanza imprenditoriale di Confindustria a cui ha fatto seguito una proposta di riforma di quella politica.
Nel suo settore ci prova da trent’anni a fare con meno. Un concetto che il designer friulano ha applicato alle cucine, “dematerializzandole”. Utilizzando cioè soltanto i materiali funzionali alla struttura, rigorosamente riciclati – alluminio, vetro e legno – e nuovamente riciclabili. Limitare la sua impronta sull’ambiente è la sua missione. «C’è solo una fabbrica al mondo a impatto zero», dice, «è l’albero». L’ecologia per lui è così importante che, in azienda, il caffè della macchinetta è equo e solidale, e nel dispenser, al posto della Coca, c’è l’Ubuntu Cola. In ditta si dice che sia buona.
Centazzo ha puntato su una cosa: che sia possibile rispettare l’ambiente e allo stesso tempo rendere economicamente sostenibile un progetto. Il suo esempio preferito è il rasoio: «Con tutti i rasoi usa e getta prodotti in un anno si copre per due volte e mezza la distanza tra la terra e la luna. Non è sostenibile. Come risolvere il problema? Investendo il tempo sulla qualità, non sulla quantità. Creando un rasoio bello, con un’anima, che dura una vita. Qui entrano in gioco i concetti di bellezza, di innovazione, e di design. Quando metto l’artigianalità dentro a un oggetto lo rendo vivo, perché c’è una trasmissione di pensiero verso chi lo usa». «Mio nonno aveva un temperino», ricorda, «gli aveva intagliato il manico seguendo delle simbologie che avevano un significato solo per lui. Era il suo temperino. Quando non lo trovava diventava pazzo». L’Italia non può produrre rasoi usa e getta, semplicemente perché non può competere con la leva dei costi.
Gabriele Centazzo, presidente di Valcucine
Deve puntare sull’artigianalità e sull’innovazione, solo così si possono risollevare le sorti della sua economia e della sua cultura: «Perché l’Italia, per salvarsi, ha bisogno di una visione, di un sogno che unisca tutti gli italiani in un unico obiettivo». Lo scorso 15 settembre Centazzo ha acquistato tre pagine sul Corriere della Sera e su Repubblica, pubblicando il suo manifesto, che è diventato un blog, visionariperilrinascimento.it, a cui hanno aderito circa 1.200 persone. Tra loro tanti imprenditori e, incredibilmente, un solo politico: il senatore del Pd Marco Stradiotto. L’unico ministro che lo ha chiamato, confessa, è stata Elsa Fornero: «Era dispiaciuta per le mie critiche alle sue riforme». Poi ha ripetuto l’operazione, stavolta con un timing infelice – era domenica 2 dicembre, giorno del ballottaggio tra Renzi e Bersani – per lanciare una proposta più “politica”.
Quattro i punti salienti del primo intervento, che ospita una vignetta in cui i politici sono raffigurati all’interno di una nave alla deriva: trasformare il carrozzone di Confindustria in un centro di ricerca, introdurre la cogestione alla tedesca in azienda, creare un’agenzia nazionale in difesa dei brevetti, orientare l’università ai bisogni delle aziende. Quattro anche i pilastri: creatività, bellezza, genuinità, etica.
L’Italia secondo Centazzo
La sua cura dimagrante per viale dell’Astronomia è riformarla in una «struttura molto snella che preveda per statuto che il 70% dei contributi vada in ricerca, il 20% per la salvaguardia della bellezza italiana e solo il 10% per i costi della struttura». Centazzo non si sente rappresentato nemmeno da Squinzi, «un bravissimo imprenditore» che ha nominato ben 11 vicepresidenti, con le relative auto blu. «Solo la sede centrale», scrive il designer, «è costata 39,3 milioni di euro». Più dei contributi versati in un anno dagli associati francesi o tedeschi alle rispettive Confindustrie. Per spiegare meglio la situazione, racconta un episodio: «Noi lavoriamo con l’America. Una decina d’anni fa avevamo dei problemi legali e dunque ci serviva un avvocato internazionalista. Abbiamo chiesto a Confindustria Pordenone, che ci ha dato il nome di una persona che ci ha fatto spendere un miliardo di vecchie lire ma non ha risolto nulla. Poi abbiamo scoperto che era un amico del presidente. Meno male che poi ne abbiamo trovato da soli uno bravo che ha rimediato».
Sulla cogestione alla tedesca, che a Valcucine non è ancora riuscito a introdurre poiché «siamo in quattro soci, io sono il più giovane e a volte è difficile convincere tutti», la proposta è semplice: «estenuanti discussioni con i sindacati potrebbero sparire se ammettessimo un rappresentante di fabbrica nel consiglio di amministrazione e dividessimo una piccola parte degli utili, possibilmente detassati, con le maestranze, con l’impegno da parte loro di dividere eventuali sacrifici qualore l’azienda andasse in difficoltà. In tal modo sparirebbe il menefreghismo».
Nata nel 1980, Valcucine è sempre stata un’azienda di nicchia. Oggi dà lavoro a 176 persone ed esporta praticamente in tutto il mondo. Ha archiviato il 2011 con 40 milioni di euro di ricavi, debiti per 17 milioni, utile pari a 200mila euro, una marginalità di 1,4 milioni e un milione di euro investito in ricerca e sviluppo. Il 2012, assicura Centazzo, si chiuderà in linea con l’anno precedente, perché la Russia è andata bene ma l’America al di sotto delle aspettative.
La sede di Valcucine a Pordenone
Al quartier generale di Pordenone c’è sia la fabbrica che lo showroom: i materiali arrivano prevalentemente dal vicino distretto del mobile del Livenza. Una terra di terzisti che va da Treviso a Pordenone, dove chi non è fallito ha iniziato a vendere semilavorati all’Ikea. Dei terzisti dice: «Esiste terzismo e terzismo, e anche qui c’è innovazione. La Bmw pagherà di più chi è in grado di fare l’ingranaggio funzionale al suo motore con la massima precisione e affidabilità. Con la creatività e ricerca possono vivere anche i terzisti, perchè si vendono le idee con i prodotti». Il prezzo delle cucine è variabile, si va dai circa 10mila euro della “Meccanica”, pensata per i giovani e ispirata dal “meccano”, fino a modelli che superano i 50mila euro.
Un modello Valcucine
Centazzo, che nel 2011 ha ricevuto il Premio dei premi per l’innovazione dalle mani di Giorgio Napolitano, non si stanca di ribadire che l’innovazione va insegnata e va difesa. Su quest’ultimo punto, la proposta è creare un’agenzia a difesa dei brevetti e della tipicità italiana che preveda «la possibilità di depositare gli elementi da difendere con un minimo versamento in percentuale sul fatturato del prodotto realizzato nei Paesi nei quali l’agenzia stessa garantisce la difesa dalle contraffazioni (ad esempio, lo 0,05%)». E parlando della distanza siderale dell’insegnamento universitario dal mondo delle aziende, racconta di quella volta che «abbiamo chiesto al Politecnico di Milano di studiare una finitura in titanio su cui non rimanessero le impronte delle dita. Dopo mesi ci hanno presentato un prototipo totalmente inadeguato. Voglio dire che oggi in Italia le imprese sono più avanti dell’università nella ricerca, e non va bene». «Il problema della mancanza di un connubio tra industria e università», osserva «è anche colpa di una certa sinistra, che vedeva l’industria come un’ingerenza all’autonomia degli atenei». E «a noi industriali non servono ragazzi imbottiti di nozioni incapaci di elaborare un pensiero».
Al contrario, la ricerca va orientata ai protocolli. E qui entra in gioco il suo amico Oscar Farinetti, creatore di Eataly. «Ci vogliamo molto bene», dice Centazzo, che non fa mistero di averlo spinto alla politica – «non mi ha mai detto di sì, ma mentre si negava sorrideva sotto i baffi» racconta – immaginandolo come responsabile di un maxi ministero che unisca turismo, beni culturali e agricoltura. «Farinetti è in grado di raddoppiare il turismo in Italia tra tre o quattro anni», sostiene Centazzo, che osserva: «Eataly ha fatto successo grazie ai protocolli: ad esempio il gelato al fiordilatte prodotto con latte delle mucche che mangiano soltanto fieno. Ed è riuscito, grazie al marketing, a farlo pagare di più. Il risultato è che la gente è contenta, e i contadini vengono remunerati per via del prezzo più alto».
Centazzo spiega la sua filosofia con parole semplici e lunghe pause, seguendo con lo sguardo il filo del ragionamento. Prendendosi il tempo necessario. Parla del contesto «io vengo dalla montagna. Eravamo cinque fratelli e quando ero piccolo passavo i pomeriggi nel bosco. Mi arrampicavo sugli alberi come una scimmia, mia madre non sapeva mai dov’ero», e delle letture: «Il dilemma nucleare di Carlo Rubbia (scritto nel 1987, anno del disastro di Chernobyl, ndr) è ancora attualissimo. Poi Zygmunt Bauman, che è un mio idolo, uno dei più grandi pensatori al mondo. In un libro racconta che il suo amico Cornelius Castoriadis ha studiato tutta la vita per capire ciò che non andava nella nostra società, poi sul letto di morte ha capito: la nostra società ha smesso di pensare». In questi giorni sta finendo Lampi di pensiero di Juhani Pallasmaa, «una straordinaria decodifica dell’architettura»
Nel secondo manifesto, pubblicato nei giorni del secondo turno delle primarie, questo imprenditore visionario ha elaborato cinque richieste alla politica, che arrivano da un ipotetico “partito del non voto” per «influenzare, con una forza dirompente, la formazione di un governo composto dalle migliori eccellenze in ogni campo»: conoscere la squadra di governo dei partiti prima del voto, un tetto massimo di tre mandati, annullamento dei finanziamenti ai partiti, dimezzamento di tutti i costi della politica, e dimezzamento dei parlamentari delle due Camere. Un programma da rottamatore, anche se Centazzo preferisce non svelare le sue preferenze politiche, per non essere tirato per la giacchetta. «Ci sono due realtà: una futuribile in cui si può creare un mondo migliore con il sogno, e qui ci puoi mettere Vendola, e un’altra per cambiare il treno dell’economia e del capitalismo, sul quale sono dentro anch’io. La mia ipotesi non è utopica, ma si può fare se tutto il mondo cambia. Ma tutto cambia se il pensiero cambia, come diceva Albert Einsein».