Sul Piave non si è fermato solo l’austriaco invasore: neanche Babbo Natale è mai riuscito ad oltrepassarlo. Eh già, il fiume che fa da confine tra varie cose, è anche il punto di separazione del mondo di Gesù Bambino, che porta i regali il 25 dicembre, da quello di san Nicolò, che invece distribuisce doni il 6 dicembre. Lo spiega il sociologo Ulderico Bernardi nel suo libro Cara Piave (tra i tanti cambiamenti avvenuti c’è anche quello di genere: il Piave, come vari altri fiumi veneti, era femminile fino alla Prima guerra mondiale, poi è diventato il dannunziano «fiume maschio trascinava grappoli di cadaveri austriaci, da Nervesa al mare»).
Le cose stanno più o meno così: la destra Piave, quindi parte del Veneto, Lombardia, pianura padana e via via verso sud e fino alle Alpi e oltre, è il regno di Gesù Bambino (che poi diventerà Babbo Natale e vedremo come), mentre sulla sinistra Piave furoreggia san Nicolò. Da entrambi le parti si registrano ampie sacche di resistenza in nome di santa Lucia (13 dicembre), per esempio a Mantova, o parte del Friuli. La diffusione di san Nicolò avviene lungo due grandi assi: uno terrestre che sale da Oderzo verso Belluno, valica le Alpi si allarga nel mondo tedesco e nelle pianure pannoniche dell’Ungheria (san Nicolò in Austria e nella Germania meridionale usa i coniglietti per per portare i regali ai bambini) per raggiungere San Pietroburgo e quindi la Russia. Il secondo asse è costiero e il santo dei regali transita per Trieste, l’Istria e scende giù fino a Zara e alla Dalmazia.
E Bari, dove il corpo del santo è conservato? Spiega Bernardi: «La città pugliese più che celebrare la festività del dono è il luogo di san Nicola, arrivato come reliquia dalla Cappadocia», portato nel 1087 quando la sua città natale, Myra, viene conquistata da musulmani (dopo i baresi, anche i veneziani – invidiosi – raccattano qualche rimasuglio delle ossa del santo e le portano a San Nicolò del Lido che diventa il protettore della flotta, ma non si lasciano commuovere per i regali ai bambini: Venezia sta sulla destra Piave e fa parte del regno di Gesù Bambino).
Breve digressione: il Piave è stato per secoli una barriera naturale formidabile. Ora è ridotto a un rigagnolo sempre mezzo asciutto, ma il motivo è che il 90 per cento della sua acqua non scorre più nel fiume, bensì in gallerie all’interno delle montagne. Lì alimenta un sistema di centrali che da solo fornisce il sei per cento dell’energia elettrica italiana. Oggi il Piave è il fiume più artificializzato d’Europa e certo non sarebbe più in grado di fermare non solo un esercito, ma nemmeno un misero plotone. Invece ai suoi tempi incuteva rispetto: per questo gli italiani nel 1917 lo hanno scelto come linea di resistenza. E non è quella l’unica battaglia che si è combattuta sulle sue sponde: francesi e, ancora una volta, austriaci se le sono date lungo il Piave nel 1809, al tempo delle guerre napoleoniche.
Era un fiume impetuoso, il Piave, difficilissimo da attraversare e infatti ha diviso persino la lingua; ha spartito il territorio del “cior” da quello del “tor”: dalla sinistra Piave fino a Zara nei vari dialetti veneti “prendere” si dice “cior”, dalla destra Piave fino a Brescia, invece, la parola è “tor”. L’acqua divide pure le fiamme: tutti i vari riti del fuoco dell’Epifania (pan e vin in Veneto, pignarul in Friuli, lis cidulis in Carnia) si svolgono a partire dalla sua sponda sinistra, dall’altra parte niente falò.
Ma ora torniamo a Gesù Bambino/san Nicolò. Un’ulteriore divisione si ritrova nell’Europa del Nord dove, nell’area più orientale i regali li porta san Nicolò, mentre nella Scandinavia e in parte della Germania è santa Lucia a occuparsi di far felici i bambini. Il grande cambiamento avviene con l’emigrazione negli Stati Uniti d’America, quando i parenti rimasti in patria spediscono i regali per san Nicolò ai bambini figli degli emigrati, ma dall’Europa centro-settentrionale ci si mette un bel po’ ad arrivare a destinazione, dopo aver attraversato l’Atlantico. Ecco quindi che san Nicolò, cioè Santa Claus, porta i regali in ritardo, non più all’inizio di dicembre, ma verso la fine del mese e in tal modo si sovrappone, fino a sostituirlo a Gesù Bambino. Cambia però abbigliamento: mentre san Nicolò è un vescovo con tanto di mitria e pastorale, Santa Claus/Babbo Natale indossa un berretto che ricorda molto da vicino il camauro papale rispolverato da Benedetto XVI. Inoltre alle origini ha una casacca verde che diventa rossa solo verso gli anni Trenta del Novecento, per esigenze commerciali: viene rivestito quando la Coca-Cola lo sceglie come testimonial e lo rimpannuccia con i colori sociali.
Tutte queste celebrazioni ruotano in ogni caso attorno al solstizio d’inverno (21 dicembre) e alcuni spostamenti di data sono dovuti al cambio di calendario: gli ortodossi celebrano il Natale il 6 gennaio (in corrispondenza dell’Epifania cattolica) perché continuano a seguire il vecchio calendario giuliano. Quando papa Gregorio XIII introduce il calendario che si chiamerà, per l’appunto, gregoriano, nel 1582, si perdono per la strada un po’ di giorni, con il risultato dello sdoppiamento del Natale tra cattolici e ortodossi.
Ulderico Bernardi conclude: «Il solstizio d’inverno è il momento dell’anno in cui la terra è più sterile e in corrispondenza del massimo della sterilità, abbiamo il massimo delle celebrazioni e delle feste. In questo modo l’essere umano rivendica la propria superiorità sulla natura. E sono sempre celebrazioni di comunità, in cui ci si riunisce e si rinnova il patto di convivenza all’interno del gruppo».