Mi consentoBersani non commetta l’errore di regalare Ichino a Monti

Bersani non commetta l’errore di regalare Ichino a Monti

Partiamo dal titolo: Bersani non regali Ichino a Monti. Così le cose le chiariamo sin dal primo rigo. Perché, di fatto, la campagna elettorale è cominciata. Manca qualche ora all’annuncio di Mario Monti, un annuncio che speriamo sia il più chiaro possibile. In ogni caso, si stanno delineando tre schieramenti, al di là di Beppe Grillo. Quello che potremmo definire centrista-europeo; quello facente capo a Berlusconi, un’anomalia italiana difficilmente inquadrabile ma comunque di destra; e uno di sinistra (o centrosinistra).

Sì, ma di sinistra come? E questo è il punto, questa è la domanda cui dovrà rispondere Bersani. Chiamato oggi in causa nell’intervista di Pietro Ichino al Corriere della sera. Uno schieramento di sinistra che non può essere certo definito la sinistra dei comunisti intesa in senso berlusconiana. Una sinistra nitidamente di stampo europeo, e su questo non ci piove. Una sinistra più matura, che già da sei anni si ritrova sotto la casa comune del Partito democratico. Ma forse non ancora una sinistra che in Europa potrebbe essere definita laburista. Una sinistra oggi probabilmente ancora più socialdemocratica (che, comunque, non è una cattiva parola) e che pure al suo interno annovera politici come Marco Follini e altri, discendenti politici di una tradizione democristiana.

Una sinistra che stavolta, probabilmente per la prima volta, ha affrontato nel proprio seno una competizione vera per la leadership, con le cosiddette elezioni primarie per scegliere il candidato dello schieramento alle prossime elezioni politiche. Un confronto, quello tra Bersani e Renzi, che ha smosso le acque paludate del Pd e, seppure con le insufficienze e le superficialità fisiologiche di ogni campagna elettorale, ha squadernato due modi di intendere la sinistra oggi. Probabilmente banalizzando e cedendo anche agli stereotipi, ne è emerso un Bersani più sinistra classica, alleato con Nichi Vendola e tutti i “vecchi” del partito, e un Renzi più innovativo che ha finito però col cadere nella trappola del cliché che si è lasciato cucire addosso: un giovane rottamatore un po’ troppo arrogantello e sensibile al soldo.

Fin qui gli stereotipi. Ma c’è anche una realtà e, soprattutto, una differenza antropologica tra le due sinistre. Bersani, nel suo tentativo di accorpare il più possibile, può far finta di non vederle, eppure ci sono. E, come sempre avviene in politica, i nodi riaffiorano sempre se nessuno si prende la briga di sbrogliare la matassa. E la matassa ha due grovigli su tutti: agenda Monti e mercato del lavoro. Alla convention finale di Matteo Renzi, Pietro Ichino tenne un discorso splendido in cui smontò una serie di luoghi comuni e illuminò ancora una volta le linee guida di una sinistra realmente riformista (ah, cosa sarebbe stato se Renzi avesse avuto Ichino come stella cometa invece che regalare la platea a un parvenu della politica come Davide Serra).

Ma torniamo a Ichino. E alla sua idea di sinistra. Oggi il giuslavorista al Corriere dice: «Resto nel Pd, certo. Ma mi candido alle primarie solo se il segretario corregge Fassina e si pronuncia in maniera netta a favore della linea Monti. L’Agenda Monti deve essere al centro della prossima legislatura. Il punto cruciale non è il ruolo istituzionale che avrà il professore dal marzo prossimo, ma quell’agenda, cioè la nostra strategia europea. Questo è oggi, e resterà sicuramente ancor per qualche anno, il discrimine fondamentale della politica italiana. Stiamo lavorando perché il Pd resti saldamente sul versante giusto rispetto a questo spartiacque».

Parole che meriterebbero una presa di posizione chiara da parte di Bersani. Che ovviamente non arriverà. Non può farlo, almeno non può farlo in modo netto. Al ragionamento di Ichino, però, Bersani potrà opporre il leale e incondizionato appoggio dato dal Pd al governo Monti, oltre che una consolidata e indiscutibile natura europeista del partito. Pur senza, va detto, mai sembrare semplici esecutori di direttive altrove elaborate. A differenza di altri partiti, mai nessuno nel Pd ha osato, nemmeno sotto forma di battuta, mettere in discussione l’Europa. Così come i bersaniani potranno facilmente opporre che le primarie le ha vinte con Fassina e contro Ichino e quindi… Ma il segretario è persona intelligente e accorta, ed è un politico di lungo corso, troppo esperto per non capire la complessità e della situazione. Tocca a lui riuscire a dar vita a una politica che fagociti il meglio dell’esperienza renziana per poter dare al Pd una sana iniezione di laburismo. Insomma, sta a Bersani riuscire a far riunire allo stesso tavolo Ichino e Fassina, e far sì che Ichino non resti il solito panda da esporre in vetrina, magari solo nelle condizioni più avverse.

E la risposta del giuslavorista all’ultima domanda dell’intervista (“E se Monti le proponesse di fare parte di un suo governo?”) dovrebbe far riflettere a lungo il segretario del Pd. «Conoscendo le sue idee – dice Ichino al Corriere – i suoi programmi e le sue qualità personali, sarei onorato di far parte della squadra, anche per l’amicizia antica che mi lega a lui. E non lo considererei affatto incompatibile con la mia appartenenza al Pd». Sarebbe un peccato per Bersani perdere Ichino. Ora sta al segretario del Pd trovare una punto d’equilibrio tra la socialdemocrazia di Hollande e la sinistra alla Ichino e alla Fornero. Vaste programme, avrebbe chiosato qualcuno. 

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