Ne ho avuti di scontri sul tema del rapporto fra giornalisti e comunicatori. In genere, nel pieno del pathos della discussione affermo «Almeno io dico con serenità chi sia il mio padrone…» . In realtà la trovo una polemica profondamente sterile e ingiustificata che nasce non tanto dai significati dei termini «giornalista» e «comunicatore» quanto da come il primo percepisce il secondo e viceversa, sia da come ambedue si percepiscono, il tutto condito da un sistema dell’informazione, quello italiano, che mostra contraddizioni e crepe peggio di un palazzo sul punto di crollare. Ma andiamo con ordine.
Sono un giornalista, ho lavorato per molti anni a Repubblica e ora faccio il comunicatore per una grande banca, credo quindi di poter parlare con l’esperienza di chi ha vestito tutte e due le casacche. Il giornalista soffre di un complesso di superiorità sociale (si ritiene appartenente all’Intelligencija e gestore di un potere ovvero quello dell’informazione). Tutto questo condito dall’immagine romantica del cronista senza paura che sfida i poteri forti pur di far emergere la verità.
Dall’altra parte il comunicatore soffre di un complesso d’inferiorità professionale. Il successo del suo lavoro dipende dal giornalista. Se questo pubblica, bene, altrimenti fallimento totale. Da una parte, poi il giornalista, forte del suo potere d’interdizione, guarda dall’alto in basso il comunicatore, considerandolo un mero passacarte prezzolato, e quest’ultimo mastica amaro e serba rancore, pressato com’è dalla propria azienda, per la quale ogni proprio sussurro meriterebbe la prima pagina del Wall Street journal.
Sin qui i luoghi comuni ma la realtà, oggi ma forse da sempre, è ben diversa. L’informazione è un sistema complesso nel quale collidono interessi forti e contrapposti. Il giornalista risponde all’editore, che è il suo datore di lavoro, e alla sua concessionaria di pubblicità. Il comunicatore risponde alla sua azienda. Ambedue sono chiamati a mediare fra la propria etica professionale, la visione di sé e le esigenze economico-politiche delle aziende (si, perché anche i giornali sono aziende) per cui lavorano.
Anche il giornalista è un comunicatore. Comunica la realtà mediando fra Scilla e Cariddi delle esigenze politico economiche della propria azienda editoriale, dei propri rapporti, dei propri interessi. Anche il comunicatore è un giornalista, che trova notizie (che riguardano la propria azienda), costruisce storie e le propone al proprio pubblico.
Il concetto è che un giornalista, prima che essere un eroe romantico, è un professionista della comunicazione esattamente come il comunicatore aziendale. Quest’ultimo, poi, viene accusato (vero Michele Fusco o Riccardo Celi?) di fornire solo false notizie, veline, di tacere i fatti, di essere, insomma, un bugiardo professionista per interessi «altri» . In realtà chi si occupa dei rapporti con la stampa per una grande azienda ha come primo comandamento non quello di tacere la verità ma che l’informazione sulla sua azienda sia la più corretta e veritiera possibile.
Ora immagino i sorrisini di commiserazione ma, chi fa bene il mio mestiere punta a questo e cerca di collaborare con il collega che scrive, per costruire insieme la notizia o la storia nella maniera migliore possibile, senza infingimenti o autocensure. Per far questo DEVI essere un giornalista, devi capire cosa sia una notizia, devi saperla identificare, trattare, proporre, argomentare per poi poter collaborare con il collega che scrive per ottenere che la storia sia la più precisa e veritiera possibile.
È roba vecchia, questa contrapposizione fra giornalisti e comunicatori, superata e inutile. Siamo ambedue professionisti della comunicazione. La chiave sta, come sempre nell’etica e nella deontologia professionale, oltre che nella correttezza delle aziende. Ci sono aziende che tentano di «forzare la mano» in vari modi ai giornalisti? Certo. Ci sono aziende che influenzano gli editori con la leva pubblicitaria Ovvio che sì. Ci sono editori e concessionarie di pubblicità che vincolano l’attività dei propri giornalisti e la indirizzano? Naturalmente. Ci sono giornalisti che non possono scrivere contro gli interessi dei propri editori? Ma che lo dico a fare?
Il problema è sistemico. Sta nel modello stesso del sistema dell’informazione (dove, per esempio in Italia, non esistono editori «puri» ) e non ha certo senso una sterile polemica fra colleghi. Ho avuto modo di rispondere anche duramente a colleghi che hanno scritto prima di me su Linkiesta. Colleghi che hanno diretto testate per le quali la raccolta pubblicitaria veniva e viene prima di tutto o che hanno lavorato per giornali che certo non brillano per margini d’indipendenza, proprio perché sono «di proprietà» e non editi da un editore puro. Insomma, cerchiamo di stare un po’ più alti e di non confermare il vecchio adagio che «solo il contadino sa come si semina» che tradotto suona più o meno che spesso, chi scaglia la prima pietra non è innocente.