Pochi minuti fa – intorno alle 18 di oggi, lunedì 17 dicembre – è arrivata la notizia che il dottor Ingroia ha presentato al Csm la domanda di aspettativa per motivi elettorali. Torna dal Guatemala, dove non ha soggiornato che pochi giorni in nome e per conto dell’Onu, e si candida alle prossime politiche, in nome e per conto del movimento arancione. Un bel salto, ragazzi. Dire che siamo sconvolti è poco, dire che siamo sorpresi no, questo proprio no. Che Ingroia abbia fatto politica in questi anni è l’unico elemento sul quale siamo tutti d’accordo, lui compreso. La fine, dunque, è nota.
Resta da capire se questa storia ha una sua decenza, se regge sotto il profilo etico, perché è proprio l’etica – o meglio l’elemento moralistico – ad aver costituito l’architrave di un certo coté giustizialista. E quando si parla di decenza dei comportamenti, ci piacerebbe capire se tutta questa corrente di pensiero che ruota intorno al magistrato palermitano contempla anche un sottile e dignitoso malessere, pensando che il dottor Ingroia diventerà deputato (se lo diventerà) grazie alla notorietà conquistata da magistrato e come sia possibile che senza nemmeno un opportuno periodo di decantazione si possa passare disinvoltamente da un mestiere all’altro. (La questione naturalmente investe sia destra che sinistra, ci mancherebbe).
Ci siamo sommamente incazzati, negli anni scorsi, perché il Parlamento si è riempito di giudici e di avvocati che rispondono sempre a qualcun altro o agiscono invariabilmente contro qualcun altro. E che hanno del rispetto dei cittadini un’idea del tutto fumosa, se non inesistente. Riteniamo indecoroso che in Parlamento soggiornino avvocati che lavorano soltanto per un padrone politico, consideriamo un’orribilità istituzionale il poter sfruttare la notorietà di certe inchieste per essere poi paracadutati nelle istituzioni. Sarebbe questo il rinnovamento della classe dirigente?
Per carità di patria, sorvoliamo sul fatto che il dottor Ingroia abbia sempre dichiarato di non volersi candidare per questa tornata elettorale. Ma la richiesta di aspettativa al Csm porta a un’unica conclusione. Il protagonista in serata frena: «Sto ancora riflettendo».
Questa classe politica non si è autoriformata nelle sue parti più evidentemente delicate, non è riuscita neppure a produrre una legge in cui si sancisca che il giudice che entra in Parlamento non può poi rientrare in magistratura, ridiventando terzo per virtù divina (se ci sono profili di incostituzionalità, si provveda a superarli). Questo rischio, almeno, Ingroia non lo correrà, mai terzo nella sua carriera ma sempre accusatore, in toga e senza toga.
Avremmo sinceramente preferito Travaglio in Parlamento, considerandolo molto più intelligente di Ingroia. Ma essendolo, rimane giudiziosamente al Fatto.