E Babilonia è sotto minaccia, un oleodotto passerà lungo il tracciato

E Babilonia è sotto minaccia, un oleodotto passerà lungo il tracciato

Non è infrequente che la realizzazione di grandi opere costituisca l’occasione per importanti rinvenimenti archeologici. Non sempre insperati. Anzi. Le indagini preliminari che in Italia le diverse soprintendenze archeologiche impongono ai committenti sono una pratica consolidata.

L’archeologia preventiva, se applicata in modo corretto, prevede un’accuratissima indagine conoscitiva, che consente di “prevedere”, nel limite del possibile, le potenziali preesistenze archeologiche, mentre il ricorso allo scavo deve essere limitato al massimo. Non è forse l’optimum, ma è un deciso passo in avanti. Tanto più che altrove, spesso, non accade nemmeno questo. Così, solo in corso d’opera, cioè scavando, si scopre se c’è qualcosa.

È accaduto di recente per il gasdotto russo-tedesco, nel tratto dal nordest al nordovest della Germania. In Bassa Sassonia le escavatrici hanno disseppellito 117 pezzi d’oro in un drappo di lino, risalenti a 3300 anni fa. Qualche gioiello, ma principalmente spirali di metallo giallo equivalenti a lingotti, provenienti presumibilmente dalle montagne del Kazakhistan, dell’Afghanistan o dell’Uzbekistan. Allo stesso modo è successo per la strada di 70 metri, l’arteria principale dell’antica Salonicco, databile forse al I secolo d. C., portata alla luce durante i lavori di scavo per la nuova metropolitana. Episodi per certi versi “fortunati”, dal momento che è stato possibile documentare quei rinvenimenti, non interrompendo i lavori, ma almeno sospendendoli.

Una storia differente, invece, è quella che viene da Babilonia, la città fondata nel 2500 a. C., conquistata da Ciro II nel 539 a. C. e ripresa da Alessandro Magno due secoli dopo. Un simbolo dell’umanità. Ecco: da gennaio un oleodotto ne mette a repentaglio l’integrità. Un oleodotto avversato in ogni modo da Mariam Omram Musa, la direttrice del sito per conto del Dipartimento iracheno di antichità (Sbah). Per lei a nulla è servito chiedere il sostegno dei potenti di Baghdad ed intentare, insieme al Ministero del Turismo, una causa contro il potente Ministero del Petrolio.

Sulla polverosa collina di fango e sabbia che si affaccia davanti all’antica Babilonia, incuranti di ogni opposizione, si sono succeduti gli ingegneri con i loro rilevatori, poi gli uomini del Ministero del Petrolio e infine, sono arrivati i pesanti mezzi per lo scavo. Hanno scavato le trincee e posato dentro i tubi. Senza alcun controllo, cioè senza la possibilità di verificare se e cosa si nascondesse in quel terreno stratificato, che non è fatto solo di polvere e detriti, come vorrebbero gli “uomini del petrolio”.

Nello stesso tempo si è consumata una doppia violazione ai dettami dell’archeologia, che escluderebbe il passaggio di mezzi pesanti al di sopra di aree d’interesse e richiederebbe, almeno, un controllo archeologico in corso d’opera. Al di là delle ragioni sostenute da Mariam e di quanto ribattuto da chi sostiene il progetto dell’oleodotto c’è un dato inequivocabile: l’opera attraversa le mura esterne entrando nel cuore di Babilonia da nord a sud per 1,5 chilometri. Mura che non soltanto l’archeologia documenta. Come racconta Plinio il Vecchio nel VI libro delle Naturales Historiae, “la città è circondata lungo tutto il suo perimetro, che si sviluppa per 60 miglia, da 2 muri di cinta alti duecento piedi e larghi cinquanta … è attraversata dall’Eufrate, le cui sponde sono fornite di mirabili argini. Vi si erge ancora il tempio di Giove Belo”.

Non è possibile sapere, nel dettaglio, i danni provocati dall’oleodotto. Anche se non è improbabile che lo scavo abbia raggiunto proprio la quota alla quale si trova la facies più antica, quella paleo babilonese dell’età di Hammurabi, datata tra il 1792 e il 1750 a. C.

Babilonia continua ad essere piegata da un braccio di ferro impari. Dell’interesse del più “forte”. Oggi dei signori che governano la ricca industria degli idrocarburi, qualche anno fa di Saddam Hussein. Ora il potere è del Ministero del Petrolio, che assicura che l’oleodotto, che parte da Bassora, fornirà ogni giorno 45 mila barili di prodotti derivati alla capitale. Allora c’era il vecchio dittatore, “il discendente del re Nabucodonosor” che fece ricostruire, a suo modo, più per sé stesso che per la storia, la cinta di mura interne, ristrutturando integralmente il teatro greco e restaurando la fase più antica della Porta di Ishtar, di cui si conserva la fase finale a Berlino. Un restauro tutt’altro che filologicamente corretto.

Dal momento che rende difficile distinguere le parti originarie da quelle ricostruite. Elemento questo che a suo tempo aveva contribuito a motivare il rifiuto dell’Unesco a inserire il sito tra il patrimonio dell’umanità.

Ma molto altro è stata costretta a subire l’antica città. Come descrive con estrema precisione Paolo Brusasco, docente di Archeologia e Storia dell’arte del Vicino Oriente antico all’Università di Genova, nel libro Babilonia. All’origine del mito (Dati Editore, 2012, pagg. 306, euro 26,00). Incuria, saccheggi e i danni compiuti dalle truppe americane e polacche che nel 2003 eressero a Babilonia la base Camp Alpha. Proprio quest’ultima “disavventura”, comportò danni ingenti all’interno della città, specialmente alla Porta di Ishtar e al Palazzo Reale Sud. Ma non solo, funzionali all’utilizzo militare dell’area, si sono spianati alcuni monumenti e si sono realizzate delle trincee, poi colmate con terreno archeologico di Babilonia e di altri siti vicino. Alterando per sempre, in maniera “scomposta”, la sequenza stratigrafica di alcuni settori.

A tutto questo, a partire dal 2009, anno nel quale il sito è stato riaperto, si è aggiunto un turismo indiscriminato. Nell’ottica di incrementare gli introiti, il Ministero del Turismo ha permesso quel che non avrebbe dovuto fare. Così dentro il perimetro della zona archeologica sono state costruite aree da picnic e centri residenziali per gli impiegati della municipalità.

La politica del guadagno immediato, dell’incapacità di progettare il proprio futuro valorizzando il patrimonio archeologico sembra impedire al Paese di darsi un’identità culturale salda. L’Iraq continua a lasciare inesplorato il suo tesoro “antico“, le sue città, i suoi siti. I più di 12 mila noti sono solo una piccola parte di quel che il Paese certamente conserva. Mancano archeologi in situ e poche sono le missioni straniere che hanno il coraggio di raggiungere un Paese che continua ad essere “difficile”.

Si continua a cercare il petrolio, a scavare in lungo e in largo quella terra per trasportare l’oro nero. L’Iraq continua a soffrire della sua petrodipendenza, forse senza saperlo. Si vuole dissotterrare tutti i 100 miliardi di barili esisistenti, dimenticandosi di quel che si è stati in passato. Di quel che si potrebbe ancora essere rispettando le glorie materiali della sua antichità. Valorizzandole adeguatamente. Ritornando a essere un Paese realmente civile. 

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