Troppo Stato in quell’agenda*
Per diminuire in modo significativo la spesa pubblica, e quindi consentire una flessione altrettanto rilevante della pressione fiscale, è necessario ridurre lo spazio che lo Stato occupa nella società, cioè spostare il confine fra attività svolte dallo Stato e dai privati. Limitarsi a razionalizzare la spesa all’interno dei confini oggi tracciati (la cosiddetta spending review) non basta. Nel 2012 il governo ha tagliato 12 miliardi di euro; altri 12 miliardi di risparmi sono previsti dalla legge di Stabilità per il 2013. Troppo poco per ridurre la pressione fiscale. Abbassare la spesa al livello della Germania (di quattro punti inferiore alla nostra) richiederebbe tagli per 65 miliardi. Per riportarla al livello degli anni Settanta (quando la nostra pressione fiscale era al 33 per cento), si dovrebbero eliminare spese per 244 miliardi.
Di ridurre lo spazio che occupa lo Stato non si parla abbastanza nel programma che Mario Monti ha proposto agli italiani. Anzi, finora il governo Monti si è mosso nella direzione opposta. Ad esempio ha trasferito Snam rete gas, l’azienda che gestisce la distribuzione del gas, dall’Eni, di cui lo Stato possiede il 30%, alla Cassa depositi e prestiti, di cui possiede il 70%, cioè l’ha in sostanza nazionalizzata. Non c’è bisogno di ripercorrere la storia dell’Iri (l’Istituto per la ricostruzione industriale) per ricordarci quanto sia costato ai contribuenti l’intervento pubblico nell’economia. Basta fare i conti di Alitalia. Cinque anni fa il governo Berlusconi si rifiutò di vendere l’azienda ad Air France. Invece ne scaricò i 3,2 miliardi di debiti lordi sui contribuenti e indusse alcuni imprenditori ad acquistarla, con l’impegno «implicito» a intervenire se le cose fossero andate male. Come era facile prevedere, Alitalia oggi è sostanzialmente fallita. Il governo deve ora fare fronte al suo impegno verso i nuovi azionisti. Peraltro in un’operazione della quale a suo tempo fu regista l’attuale ministro Passera. Circolano persino ipotesi di un ingresso delle Ferrovie dello Stato, cioè una ri-nazionalizzazione. Invece bisognerebbe andare nella direzione opposta: privatizzare la Cassa depositi e prestiti, come i governi degli anni Novanta seppero fare con l’Iri […]
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*di Francesco Giavazzi e Alberto Alesina, dal Corriere della Sera, 27-12-2012, pag. 1
Sulla crescita solo principi senza proposte*
E l’agenda Monti si fece carne. Con qualche ora di anticipo sul Santo Natale, la buona novella centrista è apparsa sul Web: 24 pagine di linee programmatiche, divise in quattro capitoli: Europa, Crescita, Welfare, e un interessante “Cambiare mentalità e comportamenti.” A grandi linee le proposte sono assolutamente condivisibili e in alcuni casi, come quello della scuola, addirittura rivoluzionarie per l’Italia. Ma l’agenda è priva di numeri e di dettagli. Più che un programma economico di rilancio, è un manifesto politico, che rigetta le posizioni delle estreme (Berlusconi e Vendola), per ritagliarsi un grande spazio al centro.
L’agenda comincia non sorprendentemente con l’Europa. Al di là di dichiarazioni di principio ( “L’Italia deve battersi per un’Europa più comunitaria e meno intergovernativa, più unita e non a più velocità, più democratica e meno distante dai cittadini”) non ci sono ne’ nuove idee, ne’ proposte concrete su come realizzare questi obiettivi. C’e’ solo una dichiarazione di metodo: dall’Europa non si ottiene sbattendo i pugni sul tavolo, ma convincendo gli altri delle nostre ragioni. Un’ affermazione profondamente giusta, ma anche una rivendicazione dello stile Monti in contrapposizione a quello Berlusconi.
La parte più deludente è quella sulla crescita: non per i principi enunciati (altamente condivisibili), ma per l’assenza di proposte concrete […]
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*di Luigi Zingales, dal Sole 24Ore, del 27-12-2012, pag.1
L’agenda Monti dopo cena
Complice il Natale, tra una cena e un’altra, isolato, con la famiglia, mi sono letto l’Agenda Monti. Tutta quanta ed in dettaglio. Lettura anche piacevole, scritta in modo scorrevole, senza troppe liste, ne’ dettagli, ne’ numeri. (Certo, per uno come me questo e’ un problema, me ne lamentero’ in seguito; ma dal punto di vista esclusivo della lettura, dopo un buon cappon magro abbondantemente innaffiato da Sharis Livio Felluga – che poteva esser peggio ma mi aspettavo meglio – e’ andata bene cosi’.)
L’analisi economica sottostante l’Agenda Monti e’ sostanzialmente condivisibile: la crisi ha richiesto interventi fiscali di emergenza volti a rassicurare investitori e partner politici e commerciali dell’affidabilita’ dell’Italia come debitore, della sua capacita’ di sostenere sacrifici per garantire i debiti; nel medio periodo pero’ il paese deve tornare a crescere e nel contempo ridurre il rapporto debito-pil per evitare ricadute; la crescita richiede liberalizzazioni profonde, in molti settori e mercati, e minore imposizione fiscale su famiglie e imprese; la riduzione del rapporto debito-pil non puo’ quindi ragionevolmente avvenire solo attraverso nuova crescita (perche’ la crescita richiede minore imposizione e quindi maggior debito, coeteris paribus) ma necessita invece di importanti tagli di spesa pubblica.
L’unico (ma importante) neo dell’analisi e’ la mancanza di riferimento alcuno ai mercati finanziari e soprattutto al settore bancario (tranne un generico “migliorare l’accesso al credito” a p. 8). La sua organizzazione industriale poco competitiva, la sua inefficiente governance che lo porta a dipendere in modo perverso dal settore pubblico, la sua sottocapitalizzazione e la struttura del suo portafoglio, eccessivamente esposta verso il debito pubblico, dopo la crisi, sono gravi e pericolosi vincoli alla crescita del paese. L’omissione e’ grave non solo perche’ vizia l’analisi, ma perche’ essendosi Monti da sempre occupato del settore bancario, sia accademicamente che come consulente, essa potrebbe segnalare una sorta di sottomissione ideologica e/o psicologica che avremmo preferito non dover rimarcare.
La filosofia dell’Agenda, stabilita esplicitamente gia’ dalla prima pagina e declinata poi a mezzo di esempi verso la fine, e’ quella della economia sociale di mercato. In buona sostanza, liberismo economico associato ad sistema di welfare e ad un sistema fiscale redistributivo che lo finanzi. Non c’entra molto con l’analisi di cui sopra. E’ una etichetta che Monti vuole sia attaccata a se’ e al suo programma – una garanzia per la Chiesa, i moderati ovunque essi siano, e anche per certa sinistra. […]
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*di Alberto Bisin, da noiseFromAmerika.org, 26-12-2012