Giornalisti vs addetti stampa, il manuale di sopravvivenza

Giornalisti vs addetti stampa, il manuale di sopravvivenza

Questo libro è un “vademecum” per giovani pr decisi a contenere al massimo le ingiurie che, presto o tardi, i giornalisti gli scaglieranno contro utilizzando le coloriture lessicali più varie. Ma è anche una modesta raccolta di trucchetti utili (spero) a chi sta iniziando la professione del reporter per togliersi di torno quegli stessi uffici stampa che, presto o tardi, oltrepasseranno la soglia dell’altrui pazienza con migliaia di telefonate ossessivo-compulsive e valanghe di comunicati sparati a casaccio. Un manualetto tragicomico fatto di aneddoti sperimentati sulla mia pelle, nel quale ci si interroga se sia possibile rendere meno accidentato il rapporto che unisce, e soprattutto divide, il mondo della comunicazione da quello dell’informazione.

Quasi dimenticavo: faccio il giornalista, quindi sto dall’altra parte della barricata: ma è proprio questo il lato bello della faccenda, credo. E non fatevi ingannare dal titolo, che poi è un hashtag, cioè un’etichetta “rubata” a Twitter: #prlessons, lezioni di comunicazione, è stato lanciato da alcuni uffici stampa con molto senso dell’umorismo a seguito di alcuni miei “cinguettii” non proprio di elogio sul loro operato. In effetti non ho alcuna lezione da impartire ma solo un campanellino da suonarvi nelle orecchie, senza troppe pretese ma anche senza buonismi.

Ricordate: io sono il “nemico”, l’uomo da stanare, il target al quale rompere le scatole. Io sono il delatore che non vi risponderà al telefono nel momento in cui il cliente minaccerà di rescindere il contratto con la vostra agenzia se non saprete dirgli, entro mezz’ora, quando uscirà la sua intervista (fatta due mesi prima), a quante righe ammonta e se in pagina ci sarà o meno la sua ridicola foto nella quale indossa sempre, fateci caso, un completo grigio e una cravatta rosa. Al contrario, io sono anche la sanguisuga che vi romperà l’anima la domenica sera quando l’Italia gioca la finale dei Mondiali per quei dati che mi “dovevate”, il losco figuro che pretenderà tutto e subito, in esclusiva, per ieri mattina, possibilmente con il fiocco.

La verità è che tutti i santi giorni della mia vita mi trovo a parlare con qualcuno di voi pr. Che Dio vi benedica e vi abbia in gloria. Anche per gli errori banalissimi che fate, spesso inezie, qualche volta invece delle perle d’incompetenza, sciatteria o d’ingenuità. Raramente di malafede. Ecco, pensate a come potrebbe migliorare la vostra vita se dei giornalisti riusciste a comprendere meglio tempi, ritmi, ossessioni e obiettivi. E scoprire che per entrare nella loro testa, e qualche volta persino nel loro cuore, serve il passepartout, non il piede di porco. Buona lettura.
Cinque cose da imparare subito

Fate un bel respiro e chiedetevi ad alta voce:

1. Perché mando al giornalista 25 allegati e una mail di 8 cartelle che inizia con “sarò sintetico”?
Sappiate che quelli come me, oltre le dieci righe, cestinano il messaggio: ricevo almeno duecento mail al giorno, al netto dello spam. Fate il massimo sforzo per essere concisi e comprensibili. Esercitatevi su Twitter. Lo usate?

 2. Conosco i ritmi di chi lavora in un quotidiano? È saggio chiamare alle 8 di sera?
In questo qualcuno di voi è puntuale come l’ombra gelida della morte e, secondo me, meriterebbe qualcosa di simile a un Tapiro d’oro. A quell’ora nei giornali si scatena il finimondo, quindi a meno che non si tratti di una breaking news tenete a freno le cornette, please. Approfondiremo più avanti.

3. Perché quando scrivo un comunicato penso di essere la reincarnazione di Ugo Foscolo?
Si parla sempre di pessimi articoli, ma li avete letti alcuni comunicati stampa? Hanno una prosa involuta e incomprensibile e non si capisce quale sia la notizia principale. Non siete dei letterati pre-romantici: quando buttate giù un comunicato dovete immaginare di comporre un take d’agenzia. La notizia va sempre nelle prime cinque righe, non mettete mai più di un “che” in una frase ed evitate ridicoli elogi dell’azienda che state comunicando o epiteti strappalacrime come “leader al mondo”. Se volete sperare che il giornalista faccia un indegno (per lui, ma non per voi) “copia & incolla” – magari anche solo per una breve – imparate a scrivere comunicati stringati e scorrevoli. “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” le comporrete un’altra volta. Magari nel tempo libero.

4. Ho messo il cellulare alla fine del comunicato stampa o c’è solo il numero dell’ufficio?
Se volevate più privacy vi conveniva entrare nei Ros oppure iscrivervi a un programma di protezione testimoni. Non avete un telefono aziendale? Vi consiglio questo piccolo investimento, che non credo necessiterà di particolari “leve” finanziarie: 29 euro di telefonino, più 5 euro di sim, traffico compreso. Lo userete solo per ricevere le chiamate dei “nemici”.

5. Perché do voce all’irrefrenabile desiderio di fare io il titolo al pezzo del giornalista?
E già. Secondo quale strana alchimia mi chiedete ancora, dopo anni di frequentazione, di dirvi il titolo dell’articolo o peggio cercate di suggerirmelo con risultati esilaranti, quando non lesivi della vostra dignità? Tanto sapete che la mia risposta sarà sempre “lo leggerai domani in edicola” o “in tempo reale sul Web”. Non prima.

Ma per parlare a un giovanotto fresco di ufficio stampa del rapporto logorante con la categoria dei giornalisti serve definire cos’è un giornalista, anche se sono convinto che, a vostre spese, l’avete già sperimentato. Ed è una definizione che persino l’editore più liberale vi censurerebbe. Tenete conto però che è possibile mettere in campo più di un trucco per far filare lisce le cose. Per esempio è fondamentale iniziare a costruire, come spiegava Stephen King in On writing, la vostra personale “cassetta degli attrezzi” del bravo pr.

Ma che strumenti riporre in questa scatola magica, mi chiederete? Semplice: partite da noi giornalisti, da quello che siamo come persone e dai settori che presidiamo: leggete i giornali più e meglio di quanto i soci del SOP (Sacro Ordine della Penna) non li scrivano e se sapete che mi occupo di media e tecnologia evitate di propormi una notizia sul Puzzone di Moena solo perché avete scoperto su Facebook che vado in vacanza in Val di Fassa (non ho “amici” pr su Facebook). Perché oltre a ferire la gigantografia del mio ego – del quale parleremo tra poco – mi darete l’idea di essere dei professionisti distratti.

E non fate mai i furbetti, vi scongiuro. La pena sarà durissima: se mi proporrete una notizia come un’esclusiva – ed è solo un esempio – e dopo un nanosecondo scoprirò che tanto inedita non è, finirete diritti diritti nella black list di quelli che nella mia, come in altre rubriche telefoniche, sono iscritti sotto l’elenco “NON RISPONDERE 1”, “NON RISPONDERE 2”, “NON RISPONDERE 3”. E così via. Vero che non volete finire nel dream team degli orfani della cornetta? Partiamo con la definizione di giornalista.

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