Si deve a Eric J. Hobsbawm, lo storico inglese morto lo scorso ottobre, la ideazione dell’espressione “invenzione della tradizione”. Scrive Hobsbawm (tutte queste citazioni sono riprese dal suo saggio Come si inventa una tradizione, che apre il volume L’invenzione della tradizione, Einaudi 1987) che «le “tradizioni” che ci appaiono, o si pretendono, antiche hanno spesso un’origine piuttosto recente, e talvolta sono inventate di sana pianta».
E prosegue: «Nel termine “tradizione inventata” rientrano tanto le “tradizioni” effettivamente inventate quanto quelle emerse in modo meno facilmente ricostruibile nell’arco di un periodo breve e ben identificabile – un paio d’anni, magari – e che si sono imposte con grande rapidità. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, la trasmissione radiofonica del discorso di Natale del re (istituita nel 1932) è un esempio del primo caso, mentre la nascita e la diffusione delle pratiche legate alla finale di coppa della Lega di calcio sono un esempio del secondo. È evidente che non tutte queste “tradizioni” assumono un identico carattere di permanenza, ma ciò che ci interessa qui non è tanto la loro longevità, quanto la loro comparsa e la loro capacità di prendere piede».
E conclude: «Per “tradizione inventata” si intende un insieme di pratiche, in genere regolate da norme apertamente o tacitamente accettate, e dotate di una natura rituale o simbolica, che si propongono di inculcare determinati valori e norme di comportamento ripetitive nelle quali è automaticamente implicita la continuità col passato».
Forse che, si potrebbe osservare, il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica (soprattutto nel peso politico che gli è attribuito, più che nella semplice costruzione formale del rito) non è anch’essa – similmente al discorso di Natale del Re -, una tradizione inventata? Ma fino a che ci limitiamo al dato sui riti pubblici della politica il discorso in un qualche modo non è sorprendete. Lo diventa, invece, se concentriamo l’attenzione sul Natale e sui suoi cerimoniali, come ci propone Claude Lévi-Strauss in questo suo testo uscito per la prima volta nel 1952.
L’area di ciò che chiamiamo sacro – o meglio che riconosciamo come sacro – infatti non può essere soggetta al tempo. Non tanto perché non siamo disposti a riconoscere che esso si possa anche trasformare – del resto chi può in tutta onestà dire che il Natale della propria infanzia è eguale al Natale di oggi – ma perché non siamo disposti a riconoscere che c’è stato un tempo in cui non c’era. Perché se così fosse il sacro verrebbe meno a una sua caratteristica – e dunque per ciò stesso cesserebbe di presentarsi come sacro: sarebbe soggetto al tempo. E non è possibile pensare un tempo in cui quel sacro semplicemente non c’era. La conseguenza, infatti, sarebbe che ci potrebbe essere un tempo, domani, che quel sacro scomparisse. Diciamocelo. Quanti sono disposti a riconoscerlo, o anche semplicemente ad ammetterlo?
Nel frattempo: Buon Natale [db]
Claude Lévi-Strauss, Natale inventato.*
Con le caratteristiche che gli riconosciamo, il Natale è essenzialmente una festa moderna e questo malgrado la molteplicità dei suoi caratteri arcaizzanti. L’uso del vischio non è, almeno immediatamente, una sopravvivenza druidica, perché sembra sia tornato di moda nel Medioevo. Dell’albero di Natale si trova menzione per la prima volta in alcuni testi tedeschi del XVII secolo, in Inghilterra se ne ha traccia nel XVIII secolo e in Francia solo nel XIX secolo. Littré sembra conoscerlo poco, o almeno in una forma molto differente dalla nostra, poiché così lo descrive (alla voce “Natale”) : «In alcuni paesi un ramo di abete o di agrifoglio variamente addobbato, guarnito soprattutto di dolciumi e giocattoli da distribuire ai bambini con grande festa da parte loro». I diversi nomi al personaggio che ha il compito di distribuire i giocattoli ai bambini, Babbo Natale, San Nicola, Santa Claus, dimostrano che si tratta di un fenomeno di convergenza e non di un prototipo antico conservato ovunque.
Ma la versione moderna non inventa nulla: si limita a ricomporre disordinatamente un’antica celebrazione la cui importanza non è stata mai completamente dimenticata.
(…)
Se nei tempi preistorici non vi fosse mai stato quel culto degli alberi che si è poi perpetuato in diverse usanze folcloristiche. L’Europa moderna non avrebbe inventato l’m “albero” di Natale. Ma si tratta di un’invenzione recente. Tuttavia questa tradizione non è nata dal nulla. Infatti, sono perfettamente documentate altre usanze medievali: il ceppo di Natale (divenuto un dolce a Parigi) fatto di un tronco talmente grosso da ardere tutta la notte; i ceri natalizi, di una grandezza tale da assicurare lo stesso risultato; la decorazione degli edifici (alla maniera dei Saturnalia romani) con rami verdeggianti: edera, agrifoglio, abete. Infine, nei romanzi della Tavola Rotonda è menzionato un albero soprannaturale interamente coperto di luci. In questo contesto l‘albero di Natale appare come una soluzione sincretica, che concentra cioè in un solo oggetto esigenze fino ad allora presenti ma separate; albero magico, fuoco, luce durevole, verde persistente. Viceversa, Babbo Natale, nella sua forma attuale, è una creazione moderna; e e ancora più recente è la credenza (che obbliga la Danimarca a tenere un apposito ufficio postale per rispondere alla corrispondenza di tutti i bambini del mondo) che lo fa risiedere in Groenlandia, possedimento danese, e che lo vuole in viaggio su una slitta trainata da renne. Si sostiene anche che questo aspetto della leggenda si sia sviluppato soprattutto durante l’ultima guerra, per via della permanenza di forze americane in Islanda e in Groenlandia. Eppure le renne non sono casuali, poiché documenti inglesi del Rinascimento menzionano trofei di renne esibiti in occasione di danze natalizie, e cioè anteriormente a ogni credenza di Babbo Natale e, più ancora, alla nascita della sua leggenda. Elementi molto antichi sono dunque mescolati e rimescolati, con la successiva aggiunta di altri; formule inedite che perpetuano, trasformano o fanno rivivere usanze antiche.
* Claude Lévi-Strauss, Le Père Nöel supplicé, in “Les temps moderne”, VII, n. 77, marzo 1952, pp.1577-1579.