Il segreto del tifo? Cercatelo nell’impasto di un panettone

Il segreto del tifo? Cercatelo nell’impasto di un panettone

Ho capito cos’è il tifo. Quello vero, perso, definitivo, estremo, senza ritorno, inappellabile, inarrivabile, incomprensibile. L’ho capito da un panettone, una delle situazione più dolci che si possano immaginare. Dalla preparazione di un panettone, per essere precisi.

Seguitemi, non sto vaneggiando. Tra l’altro so di che cosa parlo, non solo perchè sono stato uno dei più grandi tifosi rossoneri che la storia ricordi (e non ho mai visto Berlusconi allo stadio, Confalonieri sì), ma anche perchè, a un certo punto della vita, ho deciso di veder l’erba dalla parte delle radici, trasformandomi in un improbabile giornalista sportivo. Credevo in quel modo di capirne di più, di quel fenomeno intricatissimo che è la passione calcistica, pensavo che avrei analizzato meglio il garbuglio di emozioni che attanagliò il primo uomo che cadde – tifoso – sulla Terra e diede la stura a più generazioni di piccoli, folli, ominidi che tutte le maledette domeniche (un tempo, adesso anche di lunedì a mezzogiorno) popolano gli stadi.

Per arrivare alla fonte primaria, alla verità rivelata sul tifo, è bastato che una mattina di pioggia decidessi di bermi un caffè in un bellissimo posto di Roma, io milanese qui da vent’anni, dopo aver speso una vita calciofila in cui credevo di avere visto di tutto e invece non avevo (ancora) visto nulla. Eppure mi sono imbattuto in riti propiziatori di ogni genere e gusto, immaginando che dietro insospettabili esistenze di insospettabili professionisti si celassero abitudini così scaramantiche che, esibite, avrebbero portato i parenti stretti a chiamare la neuro. Al fondo, concedevo al tifo quel surplus di generosa comprensione (essendone stato parte) che rendeva sommamente digeribile una questione che le donne (ah, le donne) purtroppo non hanno mai capito. Pazienza, contente loro.

Sta di fatto che stamattina, appunto, con l’idea di salutare un vecchio amico mi sono presentato nel suo nuovo “luogo”, dove si mangia, si chiacchiera, di beve bene, si fa il pane meglio. Lui è Pierluigi, stirpe Roscioli, «gente tranquilla, che lavorava» (cit. da “Il ragazzo della via Gluck”) e con il fratello Alessandro ha deciso di complicarsi la vita rendendo migliore quella di chi li frequenta.

«Come sta, dottor Fusco?», mi urla da lontano, esordio classico dell’omone tatuato vestito di bianco (ma non sporco di farina). Come rispondergli male, maluccio, abbastanza, abbastanza bene, così così, insomma, potrebbe andar meglio? Con uno così, entusiasta, se non gli dici «benissimo» è capace di metterti sotto il naso un bignè alla crema di primo mattino per tirarti su il morale. Lo vedo dietro un vetro che impasta, io cliente al banco e non immagino ancora nulla, se non che lì dietro c’è un forno, il suo amatissimo forno. «Venga di qua, venga di qua, si faccia portare da uno dei ragazzi». Mi incuneo e lo raggiungo al tempio.

Sul bancone di marmo, c’è un impasto largo, giallo e meraviglioso che l’omone in bianco massaggia con la sapienza della migliore delle ragazze del dottor Chenot, centro benessere, Merano. La sua creatura (che un bel giorno si chiamerà panettone) si modella, si stira, si allarga, si comprime a seconda dei colpi che il “dottore” le assesta, amorevole ma fermo. «Vede dottor Fusco, è proprio quello che non le piace», dice così perchè nell’impasto compaiono macchie nere come antri bui, sono scaglie di cioccolato, da cui il prodotto finale: panettone al cioccolato. Questa storia ci divide da sempre, io sono antico e voglio il classico uvetta e canditi, lui vive la sua modernità cioccolatosa. Con lui, due agili assistenti ai quali, in quel momento, tocca solo assistere alla creazione.

Mentre le chiacchiere fanno il loro corso, tra un «come va» e un «ma che bel giallo paglierino l’impasto», avverto come una sensazione strana, come se qualcuno mi urlasse nelle orecchie, fastidiosamente, insistentemente. Allontano la testa, come in un riflesso condizionato, e cerco di capire perchè in un forno dove si sta impastando uno splendido panettone ci sono dei pazzi che strepitano come cornacchie ma non si vedono, dove sono cazzo? Insomma chi cazzo è che urla in questo modo belluino?

Un comizio, degli incidenti di piazza in diretta, che cosa può essere non riesco a capirlo. Le emissioni inurbane arrivano da una radio, finalmente la vedo. Mi giro verso l’omone in bianco e vedo che sorride in maniera compiaciuta ma in fondo non esibita. Come a sostenere la cosa, non menandone eccessivo vanto. (ma è purissima finzione, l’omone è visibilmente commosso).

«Scusi Pierluigi, ma cos’è ‘sta roba?». Nuovo sorriso. Poi, laconico come un ragioniere che ti sta per licenziare: «Lazio-Roma, 6 gennaio 2005, il gol di Di Canio. Il ritorno di Di Canio, dopo la lunga parentesi in giro per l’Europa. Lui è lì sotto la curva, li ha purgati ancora, capisce, dottor Fusco?»

Adesso ho capito. Ha capito il segreto del panettone. Grazie Pierluigi.

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