Sembra proprio che l’argomento più “cliccato” (con diversi miliardi di contatti) sia stato a lungo, e ormai lo è tutt’ora, quello della fine del mondo annunciata per il 21 dicembre 2012, solstizio d’inverno, secondo una controversa profezia di origine Maya. L’attenzione al riguardo è stata alimentata negli anni più recenti da molte occasioni mediatiche, compreso soprattutto il film apocalittico “2012” del regista Roland Emmerich che teorizzava il manifestarsi di una potentissima tempesta solare capace di sconvolgere completamente la Terra, spazzandone via la vita.
All’avvicinarsi della data fatidica, forme di psicosi collettiva sono riemerse qua e là sul pianeta, coinvolgendo anche paesi di solito refrattari agli annunci catastrofici. Ultimo esempio la Russia, dove dalle strade di Mosca alle lande siberiane è partita negli ultimi giorni la caccia all’accaparramento di scorte energetiche ed alimentari con esplicite turbative addirittura all’ordine pubblico. Lì ci ha messo del suo anche il premier russo Medvedev, lasciandosi scappare in un”fuori-onda” che “gli alieni sono tra noi” e in misura tale da intervenire sulla storia dell’umanità.
Ma la profezia dei Maya che ritorna periodicamente nell’immaginario collettivo ha qualche ragion d’essere oppure si tratta di un ben costruito artifizio capace (come è già stato) di stimolare un business vorticoso, un fiorente merchandising (comprese le offerte “last-minute” sulle vacanze con vista sulla catastrofe e i prestiti da non rimborsare se il mondo finisce). E insieme di fornire una effimera ragione di credere alle legioni di insoddisfatti e di ingenui delusi dalla vita abituale e contemporanea ?
Se si interpellano gli studiosi seri della civiltà Maya si scopre che in effetti le iscrizioni di qualche antica stele in pietra preconizzano l’approssimarsi della fine di un “baktun”, ovvero di un’epoca storica, di un ciclo di circa 400 anni. E nel succedersi dei cicli si scadenza finora la storia dell’umanità. Ovvero la conclusione del 13 Baktun dall’inizio considerato dai Maya (circa cinquemila anni fa) individua anche la fine del “Lungo Computo” della vicenda umana. E preannuncerebbe una fase di passaggio segnata da fenomeni eccezionali, da calamità naturali straordinarie, insomma da una stagione di turbolenza e di scuotimento per la vecchia Terra e tutti gli esseri che lì sopra si arrabattano a vivere.
Dalla previsione di un cambiamento epocale, un passaggio che come tutti i momenti di transizione è di per sé tumultuoso e carico di incognite alla terrificante visione della “fine del mondo” il passo è breve, ma del tutto privo di fondamenti appena appena plausibili.
Sembra in realtà di assistere alla replica ipermoltiplicata della favola del “Mille e non più Mille” con cui i nostri antenati medievali avrebbero dato per certo nell’anno Mille la fine improvvisa dell’umanità. Gli storici scoprirono poi, sulla base di prove documentarie irrefutabili, che gli abitanti dell’epoca non erano mai stati neppure sfiorati dall’angoscia di una idea simile. E che addirittura la bufala del “Mille e non più Mille” era stata semplicemente un’invenzione letteraria neppure coeva, ma diffusa da qualche autorevole burlone diversi secoli dopo.
Invece, al di là dell’immaginario collettivo (che la Rete amplifica in misura esponenziale ed estremizza nelle sue conclusioni), c’è un elemento ricorrente di aspettativa di cambiamento che periodicamente riemerge nella storia ed è strettamente legato all’astronomia. Infatti in tutte le civiltà antiche (nessuna esclusa e compresa appunto pure quella mesoamericana dei Maya) l’osservazione del cielo, i movimenti delle stelle e il calcolo delle orbite, delle traiettorie (e di conseguenze più pratiche come il succedersi delle stagioni e l’adozione di calendari relativi) aveva raggiunto livelli di precisione e di esattezza davvero sorprendenti.
Certo, in tutte le parti abitate della Terra tutti gli antichi guardavano “cieli bui” (gli stessi che il nostro ineffabile “governo tecnico” ci voleva imporre di recente, ma a più prosaici fini risparmiosi) : e dovunque (egizi, caldei, cinesi e pure Inca e Maya) hanno colto un andamento regolare e ripetuto, quello che la scienza moderna definisce come “precessione degli equinozi”. Ovvero che l’inclinazione dell’asse terrestre oscilla secondo un moto lunghissimo eppure costante che, ogni 2160 anni, comporta una mutazione evidente nel rapporto con il cielo stellato. E cioè cambia la costellazione nella quale sorge il Sole all’equinozio di primavera. Stiamo infatti uscendo dall’Età dei Pesci ed entrando nell’Età dell’Acquario. E su questo passaggio si è sbizzarrita negli anni scorsi tutta la “mistica New-Age”, una volta superata (e delusa) senza particolari mutamenti l’attesa messianica dell’anno Duemila.
Dell’”Aquarius Time” e del millenarismo annunciato di una rivoluzione spirituale associata a turbamenti catastrofici del pianeta, anche la profezia Maya è un ennesimo sottoprodotto, invero tirato per i capelli. La Terra non è un corpo morto e spento e non manca di dare le sue scrollate (terremoti, tsunami, cambiamenti climatici con l’alternarsi irregolare di glaciazioni e siccità): e tuttavia preannunciare un fenomeno così imponente come la fine del mondo (in totale assenza di segnali premonitori) e addirittura con un giorno preciso individuato in un lontanissimo passato sembra un pochino esagerato nell’attribuire all’umano potere una simile capacità divinatoria. Forse a questo livello ci sono soltanto le loro eccellenze degli esimi magistrati de L’Aquila che hanno messo sotto processo tutti gli scienziati, accusati penalmente di non aver previsto il recente sisma d’Abruzzo…
Anche perché gli zelanti cultori della profezia Maya e gli apocalittici sostenitori della fine del mondo per il 21 dicembre 2012 trascurano un piccolo particolare: che cioè il 2012 (quello vero) è già passato… Infatti, se non si rifugge dal principio di realtà, occorre considerare che il nostro calendario è sbagliato e viviamo di fatto nel 2019. E’ un fatto notorio e scientificamente accertato ma che si perde regolarmente nel fluire vorticoso di un’informazione che accetta in maniera critica i numeri del calendario in uso senza avere la forza di correggere e di tornare alla fonte dell’errore. Se può interessare, qui di seguito un piccolo ripasso…
Ci si dimentica spesso che il computo degli anni in vigore in gran parte del mondo ha un’origine precisa e un chiaro significato. Infatti il riferimento di partenza è la nascita di Gesù. Avviene così dal sesto secolo, quando papa Ormisda, parendogli sconveniente contar gli anni secondo il regno degli imperatori romani, incaricò di metter ordine un colto e mite monaco scita, Dionigi il Piccolo (chiamato così per la sua umiltà). Dionigi dopo lunghi studi sugli archivi e le fonti disponibili, individuò la data fatidica nel 25 dicembre dell’anno 753 “ab Urbe condita” (dalla fondazione di Roma). E dalla Pasqua del 526 la numerazione degli anni segue questo principio. Dionigi però (gli studi più recenti l’hanno ormai chiarito senza incertezze) si era sbagliato di 7 anni. Infatti non aveva tenuto conto del periodo governo di Ottaviano prima di proclamarsi Augusto imperatore e neppure del numero “zero” (che verrà introdotto più tardi dai matematici arabi).
Retrodatando di sette anni la nascita di Cristo trovavano immediata risoluzione tutte le incongruenze che avevano appassionato gli storici. Erode il Grande poteva aver ordinato la “strage degli innocenti”(muore infatti nel 4 a.C. del computo tradizionale) ; corrisponde il censimento romano che impone a Giuseppe il viaggio a Betlemme; e perfino la “stella dei Magi” ha una sua inconfutabile verità. Sarà Keplero nel 1603 a Praga a constatare la luminosissima congiunzione tra Giove e Saturno nel cielo dei Pesci, congiunzione che si ripete circa ogni 805 anni. E l’evento celeste si era verificato per tre volte nello stesso anno (il 7 a.C.) come confermavano antichi commentari del rabbino Abarbanel e pure papiri egiziani e testi cuneiformi babilonesi decrittati un secolo fa.
Raggiunte da tempo queste certezze, nessuno però si è azzardato a proporre (e a imporre) un aggiornamento del calendario più ancorato alla realtà storica. Anche perché l’errore non riguarda altre culture (come gli islamici che si trovano nell’anno 1434 dall’Egira di Maometto o gli ebrei che invece vivono nell’anno 5773 dalla creazione del mondo); e forse l’eventuale obbligo di modifica susciterebbe nel comune sentire maggiori problemi (e magari più costi). D’altronde l’autorevolezza dei numeri deriva di fatto non tanto dalla precisione quanto dall’utilità sociale, culturale e politica del proprio criterio di organizzazione del tempo e dalla convenzione relativa universalmente accettata. Però la Storia (e le stelle) ci dicono che viviamo nel 2019 e il terrificante solstizio d’inverno del 2012 è da tempo alle nostre spalle, anche se non ce ne siamo proprio accorti.
Certo, è un’illusione pensare di fermare con la logica razionale un moto generalizzato di psicosi debordante o, nel migliore dei casi, un attraente gioco di società e un originale argomento di conversazione. Anche perché la potenza del business collegato alla profezia Maya è ben radicata in un sistema sociale che appare incline a inseguire le voci più disparate e si scoccia dell’analisi critica. E in un ambito così universalmente secolarizzato è certamente più “trendy” rifiutare di esser credenti per preferire invece di esser creduloni…
P.S. Chi scrive coltiva da sempre il dubbio, anche sui suoi convincimenti. E, se per caso si sbaglia, porge le sue scuse qui in anticipo : perché, a fine del mondo avvenuta, non ci sarebbe nessuno in grado di accoglierle…