La quota Generali a Cdp, è da 50 anni che era di Bankitalia

La quota Generali a Cdp, è da 50 anni che era di Bankitalia

Dopo cinquant’anni Bankitalia scende dal Leone alato di Trieste. «Al fine di prevenire ogni rischio di conflitto di interesse, anche solo apparente o potenziale, in seguito alla istituzione dell’Ivass», l’authority che, in seno a via Nazionale, vigilerà sulle assicurazioni, oggi è arrivato il via libera al conferimento del 4,5% di Generali al Fondo strategico italiano (Fsi) –  controllato dalla Cassa depositi e prestiti – da parte dei rispettivi consigli d’amministrazione.

L’operazione prevede un aumento di capitale suddiviso in due tranche: la prima, riservata a Palazzo Koch, prevede – contestualmente alla cessione della partecipazione – l’emissione di nuove azioni ordinarie e privilegiate (1/3 ordinarie e 2/3 privilegiate) corrispondenti al 20% del capitale sociale di Fsi, in modo tale che «il corrispettivo globale di sottoscrizione (inteso come somma del valore nominale e dell’eventuale sovrapprezzo di tutte le azioni Fsi sottoscritte dalla Banca), pareggi esattamente il valore di conferimento attribuito alla Partecipazione» (art. 5 dell’accordo).

Nella seconda, la Cdp con l’eventuale partecipazione di Fintecna conferirà 2,2 miliardi di euro al fondo guidato dall’ex Morgan StanleyMaurizio Tamagnini, a cui si aggiungerà la quota sottoscritta da Bankitalia nella prima tranche, per un totale di circa 5 miliardi di euro (i 4 miliardi complessivi messi sul piatto da Cdp più il valore della quota in Generali). «Il valore della partecipazione in Generali ai fini del conferimento in Fsi», recita la nota stampa, «sarà determinato, in linea con il Codice civile, sulla base del prezzo medio ponderato espresso dalle negoziazioni di borsa delle azioni Generali nei 6 mesi antecedenti il conferimento». Ovvero circa 766 milioni di euro. 

Infine Fsi metterà sul mercato la partecipazione entro il 2015, retrocedendo a via Nazionale «sotto forma di dividendi delle azioni privilegiate, le eventuali plusvalenze calcolate come differenza tra il valore dell’azione a fine 2012 (ultimi 5 giorni di negoziazione) e il valore di conferimento». Infine, saranno rimborsate alla Banca d’Italia le azioni privilegiate. Per quanto riguarda la governance di Generali «il voto sarà di norma espresso a favore della lista di minoranza presentata da qualificati gruppi di investitori istituzionali», favorendone l’attività di controllo.   

Si spezza dunque il primo, storico legame tra Palazzo Koch e Trieste. Generali e Banca d’Italia sono legate l’una all’altra da tempo immemore: la prima è il terzo azionista della seconda, con una quota del 6,3% dietro a Intesa Sanpaolo e Unicredit, mentre la seconda, per l’appunto, controllava fino a oggi il 4,5% della compagnia assicurativa. Una partecipazione, quest’ultima, che risale alla notte dei tempi e di cui si sa poco: risale alla metà degli anni ’60 e «rappresenta una riserva di valore per lo svolgimento dell’attività istituzionale e per il trattamento pensionistico del personale assunto prima del 1993», spiega un portavoce di Palazzo Koch. Che specifica: «Non c’è un coinvolgimento diretto del fondo quiescenza dei dipendenti nella gestione della quota, perché a tutti gli effetti le azioni Generali sono di proprietà della Banca d’Italia, come gli altri investimenti azionari».

«Quando sono arrivato in Banca d’Italia, nel 1977, la partecipazione in Generali esisteva già. Allora, tramite il sindacato, il personale aveva appena stretto un accordo con la banca per riformare la Cassa pensioni, riversando le attività dei dipendenti della banca in un fondo in cambio di un corrispettivo», ricorda Angelo De Mattia, ex funzionario di Bankitalia vicino al governatore Antonio Fazio, ora editorialista di MF-Milano Finanza

Sul 6,3% del Leone nel capitale di Bankitalia, al pari degli altri azionisti privati, è tuttora aperta un’annosa questione che il governo tecnico non ha avuto modo di affrontare. Si tratta dell’art. 19 comma 10 della legge 262/2005 che disciplina il suo trasferimento in mani pubbliche:

10. Con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, è ridefinito l’assetto proprietario della Banca d’Italia, e sono disciplinate le modalità di trasferimento, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici.

Il ministro Tremonti, come riferirono le cronache finanziarie, aveva in programma la rinazionalizzazione dell’istituto centrale acquistando le quote dei privati per 800 milioni. Un’operazione che non andò mai in porto. E il regolamento che avrebbe dovuto disciplinare il trasferimento delle quote di Palazzo Koch in mano ai privati non è stato mai varato, ma la norma è ancora in vigore. Spetterà dunque al prossimo esecutivo abrogarla o riformarla.

Non è nuovo nemmeno il tentativo di conferire a un soggetto terzo la partecipazione di Bankitalia nel capitale delle Generali. Nel 2007 un emendamento alla finanziaria stilata dal ministro Padoa-Schioppa prevedeva l’accorpamento della vigilanza assicurativa dell’Isvap nelle funzioni di Bankitalia, con la conseguente cessione del 4,5% del Leone in un blind trust. Fu il premier Romano Prodi ad opporsi, in quanto non c’era il tempo materiale per approvarla con il dovuto approfondimento. 

Se, informalmente, la presenza di Bankitalia è sempre stata considerata come una golden share de facto, la cessione alla Cassa depositi e prestiti – controllata dal ministero del Tesoro al 70% – tramite il fondo Fsi, nato per volontà di Tremonti allo scopo di scoraggiare la scalata di Lactalis a Parmalat, di fatto formalizza la situazione. Non a caso, la scorsa settimana, l’ex amministratore delegato e oggi responsabile per le attività assicurative, Sergio Balbinot, è stato ascoltato dal Copasir, l’organismo parlamentare che esercita un controllo sui servizi segreti.