La squadra di Monti, ovvero il ritorno dei morti viventi

La squadra di Monti, ovvero il ritorno dei morti viventi

Per dare un nome alle cose, come è giusto che sia, la riunione di ieri pomeriggio in luogo segreto, materializzatosi in serata nel solito convento da cinepanettone, potrebbe non discostarsi troppo dalla «Notte dei morti viventi». Scorrendo l’elenco dei partecipanti, infatti, è distintamente percebile quel profumo di riesumazione di salme politiche che altrimenti non avrebbero altro destino se non quello d’essere tramortite dall’oblio dei cittadini-elettori. Invece, grazie al professor Monti la disperata truppa di vecchi arnesi della politica riprende miracolosamente vita, ponendoci una domanda che già qualche giorno fa vi avevamo prudentemente girato: si può votare un accrocco di questa portata, anche sotto il nobilissimo ombrello dell’Agenda Monti?

È utile scorrere insieme l’elenco dei partecipanti perché illumina in qualche modo l’operazione di Mario Monti, soprattutto nelle sue pieghe più devastanti.

1) Pierferdinando Casini. Nessuna idea al suo attivo da qualche decennio, è riuscito a intortare il Professore che ormai lo cita come fosse il suo psicanalista di riferimento. Come paziente, Monti ne è completamente dipendente, al punto da essere in totale confusione sui sistemi della politica: si vende una «vocazione maggioritaria» che non esiste (e non esisterà), essendo proprio lui il grimaldello casiniano per il ritorno al proporzionale purissimo. Immarcescibile.

2) Mario Mauro. Già europarlamentare del Pdl, dopo essersi bevuto una ventina d’anni di bubbole berlusconiane, compresa l’inarrivabile storia della nipotina di Mubarak, adesso vorrebbe fare il figo con dichiarazioni del tipo:«Il progetto Monti parla ai cittadini, agli elettori, a chi ha responsabilità politiche sapendo che quello che conta non sono le formule, ma la volontà di concorrere tutti insieme per rendere maggioritaria questa esperienza già alle prossime elezioni». Confuso e infelice.

3) Linda Lanzillotta. È così mesozoica che pur consultando più intellettuali del quartiere, colleghi più informati del sottoscritto, le Pagine Gialle, la Guida Michelin e pure con il supporto mondiale di Google, non siamo riusciti a trovare un partito di riferimento. L’unica notizia che possiamo offrire a parziale conforto del lettore è che la signora è moglie di Franco Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti. Un po’ poco, eh? Vabbè, tocca accontentarsi. Senza fissa dimora.

4) Benedetto della Vedova. Pur essendo baldo cinquantenne, ricordi del medesimo si perdono da una trentina d’anni a questa parte. Anche per lui, il dramma di sostenere più parti in commedia, dal lungo tempo di condivisione berlusconiana, alla parte finale della legislatura in cui è riuscito a peggiorare – se possibile – la sua situazione, dovendo condividere (e assecondare) la tragica versione di Gianfranco Fini sulla casetta di Montecarlo. Divaricato.

5) Nicola Rossi, Andrea Romano, Carlo Calenda. Li comprendiamo in un’unica posizione, essendo la troika pensante montezemoliana di Italia Futura. I tre – per dire della loro lucidità – un bel giorno si presentano con il cappello in mano dagli ex-cugini di Fermare il Declino dicendo: fate di noi ciò che volete. Devastati dall’incertezza del capo LdM, che non si decideva a “salire” in politica, firmano come se niente fudesse i dieci punti del programma dei rivali. Un tradimento in piena regola. In quel momento FiD si mangiava ufficialmente Italia Futura. Solo la sventatezza di Giannino&C. è riuscita a mandare all’aria l’operazione. Per tornare ai nostri eroi e alla loro freschezza. Uno, il giovane vecchio Romano, è stato uno dei preziosi consiglieri di Massimo D’Alema. Complimenti, no? L’altro, Rossi, ritiene che i suoi tre passaggi parlamentari (XIV, XV e XVI legislatura) non siano ancora sufficienti per tornare cittadino comune. Non ci vogliono stare.

6) Pietro Ichino. È forse il caso più spinoso, pencolando tra spionaggio e Chance il giardiniere. Lui, delicatamente, mette a disposizione le sue cose, i suoi studi, poi chi ne fa uso ne fa uso, e poco importa. Solo che, partito come un treno, insieme a Matteo Renzi, adesso il tenero Pietro è in preda a crisi depressive atroci, temendo di occupare a Montecitorio lo scranno tra Mario Tassone, Udc che non schioda da 34 anni, e quell’altro germoglio di Lorenzo Cesa, già condannato in passato. Lo può salvare, forse, una colletta solidale della Fiom. Eroico ma inevitabilmente destinato a essere fagocitato da belve fameliche.

7) Enzo Moavero, Andrea Riccardi, Antonio Catricalà. I tre furboni della Provvidenza succhiano bellamente la scia del Prof., lui consapevole naturalmente. Moavero con qualche titolo in più, avendo condiviso con Monti anni europei. Meriti degli altri due, tali da portare voti in Agenda? Uno è un superdirigente di Stato, votato probabilmente solo dalla sua famiglia, l’altro si vende (con una certa soddisfazione) il ponte solidale con la Chiesa. Anche in questo caso, voti da verificare. Sbarco in Normandia.

8) Corrado Passera. Buon ultimo, per via di un no che pesa. È il caso di queste ore, quello che fa discutere. Anche un tipo sveglio che per tutta la vita ha maneggiato miliardi, il famoso banchiere di sistema, deve abbassare la cresta di fronte a certi paraguru di sistema. È la politica, bellezza. È come se ieri gli avessero detto di ritornare dietro lo sportello.

Ecco, questa sarebbe l’invincibile armata di Mario Monti. Se vi piace, votatela. È un felice impasto di Udc, l’antimodernità fatta politica, Fli, il cui programma di governo si dibatte tra Sabina Began e il cognato del leader, condito dall’ottimismo dei box Ferrari, e naturalmente garantito dalla saggezza del Professore che in tutta questa storia ci mette (o ci perde) la faccia. Auguri.  

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