Le ferrovie elvetiche non sono un modello: anche in Svizzera vince la gomma

Le ferrovie elvetiche non sono un modello: anche in Svizzera vince la gomma

Sono in molti, in Italia ma non solo, a considerare il sistema ferroviario svizzero un modello di eccellenza. Eco della proverbiale puntualità elvetica è giunta fino in quel di Cupertino: i programmatori di Apple hanno deciso di riprodurre l’orologio che campeggia nelle stazioni della Confederazione sull’iPad (gli svizzeri, sorpresi per non essere stati informati del progetto, hanno poi sottoscritto un accordo con Apple che prevede il pagamento di un’adeguata compensazione monetaria: l’orologio è infatti un marchio depositato di proprietà delle ferrovie di Berna dal 1944). L’ammirazione sembra essere fondata su solide basi: sia in termini qualitativi che quantitativi l’offerta di servizi per passeggeri e merci non ha probabilmente eguali in Europa.

IL MODELLO ELVETICO

L’esempio svizzero può quindi essere preso come riferimento per valutare in quale misura una politica di forte sostegno al trasporto ferroviario, che ne elevi significativamente le prestazioni, possa modificare la scelta del modo di trasporto da parte di persone e imprese e contribuire al cosiddetto riequilibrio modale? (Il reddito medio procapite della Svizzera è superiore di circa il 25 per cento alla media europea e può prefigurare la situazione economica media a livello continentale in un futuro – auspicabilmente – non troppo remoto).
Proviamo a rispondere all’interrogativo sulla base dei dati resi disponibili da Litra, associazione cui fanno capo società ferroviarie, aziende di trasporto pubblico oltre che imprese di costruzione ed enti locali. (Accanto all’impresa federale, operano 44 società private proprietarie di 2.133 km di rete, su un totale di 5.124 km). I dati raccolti coprono un arco di tempo che va dal 1950 al 2010.

Sessanta anni fa, un cittadino svizzero effettuava in media nell’arco di un anno 242 spostamenti con mezzi motorizzati. Nel 2010 il numero di viaggi pro-capite era salito a poco più di mille, equivalenti a tre movimenti al giorno. Nello stesso periodo la popolazione è cresciuta da 4,7 a 7,7 milioni di abitanti e, quindi, la mobilità complessiva è aumenta di sette volte. È altresi aumentata la distanza media di ciascun viaggio da poco meno di 13 km a 14,4 km cosicché i chilometri complessivamente percorsi si sono moltiplicati di un fattore pari a otto (quattro volte tra il 1950 e il 1970 e due volte nei successivi quattro decenni).

La quota modale della ferrovia ha conosciuto un rapido declino fino al 1980 passando da oltre il 50 per cento al 13 per cento della mobilità per poi stabilizzarsi su tale livello nel ventennio seguente e risalire al 17,3 per cento nell’ultimo decennio. L’auto detiene attualmente una quota della mobilità complessiva delle persone pari al 76,3 per cento; se si escludono gli spostamenti in aereo e si considerano i soli trasporti terrestri, la percentuale dell’auto sale al 79,2 per cento. Il valore si dicosta di poco dal dato relativo all’Europa (UE-27) dove la mobilità privata rappresenta l’82,5 per cento del totale (82,9 per cento nella UE-15). In valore assoluto la percorrenza pro-capite in auto in Svizzera risulta di pari a 11.800 km contro una media di 9.460 nella UE-27 (10.300 km della UE-15).

La “diversità” elvetica non è quindi riconducibile a un minor uso dell’auto quanto piuttosto al predominio, nell’ambito dei trasporti collettivi, dei treni rispetto agli autobus: se in Svizzera i servizi su gomma hanno una rilevanza del tutto marginale (2,6 per cento), in Italia, ad esempio, detengono una quota di mobilità pari al 12,2 per cento, più che doppia rispetto alla ferrovia.

Veniamo ora al trasporto merci. I dati Litra consentono di analizzare separatamente i traffici interni, o con origine/destinazione nel paese, da quelli di transito. Se guardiamo ai primi, l’evoluzione dal 1950 a oggi è simile a quella del traporto di persone: la ferrovia, che deteneva circa due terzi dei traffici (espressi in termini di tonnellate-km), è scesa al 25 per cento. La quantità di merci trasportata su ferrovia nel 2010 è paragonabile a quella di venti anni prima; nello stesso periodo la strada è cresciuta del 30 per cento e rappresenta attualmente il 74 per cento dei flussi (il restante 1 per cento è riconducibile a vie di navigazione e impianti fissi), di poco superiore al valore medio europeo pari al 72,7 per cento.

Prima dell’apertura del traforo stradale del Gottardo (1981), la ferrovia deteneva il quasi monopolio dei traffici di transito (97 per cento delle tonnellate trasportate). Nei due decenni successivi la gomma è cresciuta fino al 24 per cento dei traffici. Nel nuovo secolo, nonostante l’introduzione della tassa sul traffico pesante commisurata alle prestazioni (Ttpcp) che comporta un esborso medio aggiuntivo per l’attraversamento della Svizzera di circa 250 euro, equivalente a un aggravio del costo del trasporto dell’ordine del 60 per cento, e la previsione di generosi sussidi alla ferrovia (145 euro per spedizione o 2.080 euro a treno per un totale di 152 milioni di euro all’anno), la quota modale della strada è ulteriormente salita al 28,5 per cento. Nello stesso periodo, peraltro, la stipula dell’accordo sui trasporti terrestri tra il paese elvetico e l’Unione Europea ha portato il peso massimo consentito per i mezzi pesanti da 28 a 40 tonnellate e così, pur essendo la quantità di merce trasportata su gomma quasi raddoppiata (da 5,4 a 9,9 milioni di tonnellate) il numero di veicoli in transito è rimasto invariato, anzi è leggermente diminuto da 736mila a 696mila (il carico medio dei veicoli è cresciuto da 6,4 a 13 tonnellate).

STRADE POCO UTILIZZATE

Il traffico su gomma – che la Svizzera si propone di ridurre nei prossimi anni grazie alla realizzazione di due nuovi tunnel ferroviari con una spesa intorno ai 10 miliardi di euro – comporta peraltro un utilizzo molto modesto della rete stradale: si tratta di circa 2.400 veicoli al giorno che equivalgono all’impegno di una singola corsia autostradale per meno di tre ore (il 3 per cento della capacità giornaliera di un’autostrada a due corsie per senso di marcia). La percorrenza complessiva dei mezzi in transito sul territorio elvetico risulta pari a 200 milioni di km all’anno, equivalenti a 600 milioni di km percorsi da auto corrispondenti all’1 per cento del traffico sull’intera rete pari a circa ai 58mila milioni di km (54mila percorsi da auto e 4mila da mezzi pesanti). Un teorico azzeramento dei tir in transito, risultato che sarebbe universalmente giudicato un grande successo, avrebbe quindi un’incidenza del tutto marginale sul traffico stradale. E la ricaduta sarebbe ancor più irrilevante in termini di riduzione delle esternalità considerata l’evoluzione tecnologica dei veicoli nonché il costante miglioramento dei livelli di sicurezza (dal 1980 a oggi sulla rete autostradale italiana il tasso di mortalità per i veicoli pesanti si è ridotto del 90 per cento).

A livello nazionale neppure la migliore ferrovia sembra quindi in grado di modificare in modo apprezzabile i rapporti di forza con la strada. Investire risorse ingenti sulla rotaia può determinare benefici rilevanti per gli utenti, ma non per la collettività (con la possibile eccezione di qualche potenziamento di linee di accesso a grandi aree metropolitane): sembra lecito domandarsi per quale ragione debbano essere i contribuenti a farsi carico quasi per intero degli oneri per gli investimenti.

*Francesco Ramella si è laureato in ingegneria meccanica e ha ottenuto un Dottorato di ricerca in Trasporti presso il Politecnico di Torino. Libero professionista. Ha pubblicato articoli attinenti la politica dei trasporti e l’ambiente su Il Sole 24 Ore e La Stampa.

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