Nella storia delle democrazie occidentali è difficile immaginare un personaggio pubblico capace di alimentare e catalizzare su di sé un’ostilità al limite dell’odio come Silvio Berlusconi. Verso il quale da quasi vent’anni e in misura esponenziale si registra un’avversione rara per intensità e virulenza. Un sentimento assai vicino al rancore, a un’insofferenza radicale e viscerale, che abbraccia e unifica i ceti sociali e culturali più diversi e lontani, dalle classi combattive e politicizzate dei lavoratori dipendenti, soprattutto i funzionari pubblici più ancora degli operai, ai frequentatori dei salotti letterari e mediatici, da gran parte dell’universo scolastico e accademico agli esponenti dell’establishment economico-finanziario per il quale il Cavaliere continua a costituire un corpo alieno da espellere. Un sentimento che oggi trova un nuovo potente combustibile nel suo ritorno da protagonista nello scenario politico-elettorale. Si tratta di un collante formidabile in grado di ricompattare contro un’unica figura simbolica realtà tanto eterogenee, e che non si arresta neanche nei momenti in cui l’ex capo del governo cade nella polvere.
Perché esiste questo stato d’animo? In quale terreno è necessario indagarne e scoprirne le ragioni profonde? Possiamo andare al di là dei raffinati e dotti ragionamenti degli scienziati della politica e dei costituzionalisti più o meno partigiani per addentrarci in una ricerca esclusivamente sociologica e psicologica? Il nostro quotidiano ha rivolto tali interrogativi al sociologo Alessandro Amadori, fondatore e direttore da nove anni di Coesis Research, prestigioso istituto di ricerche di mercato e autorevole rilevatore delle direttrici di fondo su cui si muove l’opinione pubblica nazionale. Autore di importanti saggi incentrati su temi di forte attualità tra cui Introduzione alla psicologia del linguaggio, Avanti miei Prodi, e soprattutto Madre Silvio. Perché la psicologia profonda di Berlusconi è più femminile che maschile, lo studioso individua nel rapporto emozionale e irrazionale con la leadership carismatica il segreto della relazione che lega nell’amore o nell’odio la società italiana alla personalità dell’ex presidente del Consiglio.
Professore, come può essere spiegato un fenomeno del genere?
Ritengo si tratti di un rapporto di natura più psicologica che sociologica. Nel mondo esistono personalità “invidiogene”, generatrici di invidia: un sentimento profondamente umano e naturale, autolesivo e assai poco produttivo, diffuso anche a livello collettivo. Berlusconi appartiene a pieno titolo a questa categoria. È un individuo di enorme successo e non fa nulla per nasconderlo. È debordante e roboante in ogni manifestazione di sé e non si cela mai dietro a una modestia che non possiede. È un personaggio unico e irripetibile, dotato di un ego smisurato e di un’eccellente capacità di valorizzare le proprie affermazioni in chiave comunicativa. Allo stesso tempo è un “seduttogeno”, un uomo generatore di seduzione. Riesce a segmentare e dividere nettamente l’opinione pubblica sulla base di pulsioni viscerali: o si ama o si odia.
Sul piano squisitamente sociologico vi sono fattori peculiari all’origine di una simile relazione?
Ricordo che opera in un settore nevralgico del “soft power” come quello dei mass media. Un settore cruciale per il suo potere di persuasione e di costruzione della mentalità in un paese profondamente televisivo come l’Italia. Che, a differenza delle altre nazioni occidentali, coltiva un legame viscerale con la tv, terreno ad altissima sensibilità e con forti implicazioni nella formazione del nostro stile di vita. A mio giudizio, è la mescolanza di tali fattori psicologici e sociologici a determinare un legame unico con l’elettorato da parte di un uomo pubblico che è stato il più amato dopo Benito Mussolini e che oggi si trova ad essere il più detestato come Mussolini. Si tratta in ogni caso di un personaggio destinato a restare protagonista nella vita collettiva, nel bene e nel male.
Con il trascorrere degli anni l’ostilità nei suoi confronti non accenna a diminuire, anzi… E stupisce constatarne la virulenza anche quando l’ex premier è alle corde. Quale è il segreto della sua intensità, durata e trasversalità sociale e culturale?
Al contrario degli interessi di classe che sono necessariamente un fatto razionale, i sentimenti emozionali sono sempre irrazionali, istintivi, mutevoli. E ciò che lega il Cavaliere all’opinione pubblica nazionale è una relazione puramente emotiva. Un legame sentimentale con una figura e una leadership carismatica che tra l’altro non rappresenta un unicum nel panorama e nella storia occidentali. Pur nelle loro profonde differenze, penso alle esperienze di Juan Domingo Peròn in Argentina e di Charles De Gaulle in Francia. Ma mi viene in mente anche la realtà della Russia di Vladimir Putin, che tuttavia incarna un archetipo collettivo guerriero e marziale, antitetico rispetto a quello personificato e trasmesso dal fondatore di Forza Italia.
Lei afferma che la psicologia profonda del Cavaliere è più femminile che maschile.
L’ex capo del governo ama occuparsi molto più di relazioni che di contenuti. A differenza di Mario Monti, che come un personal computer è interamente proteso verso il merito delle iniziative e per nulla attento alla ricerca del rapporto con l’universo mediatico e con l’elettorato. Per Berlusconi non è importante che quel legame sia positivo o negativo, idilliaco o conflittuale. Gli stessi continui e repentini cambiamenti di opinione e direzione che ne contraddistinguono la strategia anche nelle ultime ore sono funzionali alla ricerca della relazione comunicativa più efficace e non della decisione migliore. Apparentemente concentrato su prerogative e caratteristiche maschili, in realtà il Cavaliere nasconde un’inclinazione e un profilo femminili. La sua stessa affettività sottostante i comportamenti esteriori è densa di elementi femminili e materni. Ma tali fattori sono profondamente radicati nella realtà e nella mentalità italiana, in un paese maschilista che tende ad assumere atteggiamenti femminili. Ed è proprio qui la ragione originaria del singolare e intenso rapporto tra Berlusconi e una società da sempre affascinata da figure che combinano il maschile e il femminile. Anche Mussolini, in fondo, è il più “femminile” fra i dittatori del Novecento.
Il Cavaliere dunque è la proiezione delle tendenze prevalenti nel nostro tessuto collettivo e non fa altro che adattarsi alle sue pieghe?
Guardi la Chiesa, che storicamente presenta un codice e un linguaggio improntati al perdono, alla mediazione, all’accomodamento. Un modello di comunicazione femminile, maturato fin dai tempi della sua radicale opposizione all’egemonia guerriera dell’Impero germanico di Federico Barbarossa. E la resistenza armata nei suoi confronti, così come tutti gli altri conflitti in cui lo Stato pontificio venne coinvolto, fu delegata dai papi ai governi alleati. La stessa Lega Lombarda creata dai liberi comuni italiani con il memorabile giuramento di Pontida era orientata a preservare un mondo basato sulla convivenza armonica, sull’equilibrio e sul compromesso. Una vocazione femminile, sul piano civile e politico, del tutto antitetica alle mitologie e simbologie virili rivendicate e richiamate ossessivamente dai militanti e dai dirigenti del Carroccio. Pensi inoltre alla vicenda della Democrazia cristiana, acutamente paragonata a una “grande madre politica nazionale” e ribattezzata Balena Bianca. Non vi era un suo rappresentante di spicco che avesse tratti propriamente maschili, improntati al valore della decisione, dell’efficienza, dell’autorevolezza indiscussa. Consideri infine lo spirito dialogante, bonario, accondiscendente, tollerante, che Pier Luigi Bersani ha interpretato nella sua corsa trionfale alle primarie del centro-sinistra in competizione con il messaggio radicale e decisionista incarnato da Matteo Renzi. Come rivelano in modo cristallino i risultati del voto gli italiani preferiscono di gran lunga leader accuditivi e rassicuranti. Quanto alle attività produttive in cui eccelliamo nel mondo spiccano l’estetica, la moda, il cibo, l’accoglienza e il turismo: tutti campi che hanno a che fare con lo spirito femminile.
Ma allora perché una figura che dà voce e corpo a una propensione così radicata nel paese provoca su di sé un tale livello di ostilità?
Per uno sdoppiamento irrisolto e grave che noi italiani viviamo nel passaggio dalla famiglia alla società. Nell’universo domestico il legame fondamentale si sviluppa tradizionalmente con la figura materna e nella trasmissione culturale ereditaria vi è la prevalenza del ruolo della madre, simbolo del focolare. Il rapporto con la dimensione e con il processo decisionale nel terreno politico ed economico è invece decisamente maschile, incentrato sul primato della produttività immediata, dei risultati e della competizione, della forza e della decisione. Così finiamo per vivere una scissione evidente, una forma di schizofrenia latente, tra codici e linguaggi conflittuali. E una gran parte dei cittadini non riesce ad accettare che una personalità seduttiva, comunicativa, accomodante e femminile come il Cavaliere possa ricoprire le più alte e delicate cariche pubbliche, per le quali sono necessarie fermezza, polso, lungimiranza, impopolarità.