Un elettore dubbioso ha tratto qualche utile indicazione dalla conferenza stampa del Presidente del Consiglio uscente? In altre parole, si possono trovare buoni motivi (in più) per votare soggetti politici come Casini, come Fini, o come Montezemolo, in nome e per conto del professor Mario Monti? La risposta è sin troppo politicamente facile: no.
Se c’è qualcosa di istituzionalmente fastidioso nell’atteggiamento del premier, parlandone da cittadini, è il (ri)attribuirsi continuo di quello stato di grazia che apparterrebbe all’Uomo della Provvidenza a cui inevitabilmente tendere, pena il disfacimento di ogni progetto di Paese. L’idea, insomma, che si dovrà ricorrere ancora una volta a lui, lui Monti, qualunque cosa accada, qualunque risultato daranno le urne, perché le urne – ormai lo avete capito tutti – non faranno vincere (bene) nessuno. Vive di questa forza, il Professore, di una consapevolezza che trapela evidentemente dai numeri dei sondaggi, sondaggi che gli hanno ispirato frammenti di conversazione molto consapevoli con un vecchio amico come Eugenio Scalfari.
Di questa (sua) inevitabilità-fantasma, il cittadino ne farebbe volentieri a meno, ancora ingenuamente legato al famosissimo «esito delle urne», con tutte le ansie, le passioni, le aspettative, che la “due-giorni” delle elezioni porta con sé. Vorrebbe un Mario Monti luminosamente in campo, vorrebbe vederlo, toccarlo, segnarne materialmente il destino ponendo la sua democratica «ics» sulla scheda elettorale, e poi uscire dal seggio felice di aver contribuito all’impresa di rinnovare insieme lui questo difficilissimo Paese. E ci si risparmi, per carità di patria, la fragile questione del laticlavio eterno che gl’impedirebbe una vera “salita” in campo, come la chiama lui. Ci sono mille modi per essere carne e sangue in politica e le risorse intellettuali per immaginarne una, certo non mancano al Professore.
Invece, da oggi al 24 febbraio, un liberale doc, un renziano che non ama il ticket sospetto Bersani-Vendola, un riformista sincero, un europeista convinto, e molti altre categorie sociali che sono in cerca d’autore, dovrebbero «accontentarsi» di quello che racconteranno – nell’ordine – Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini, Luca Cordero di Montezemolo e, financo, Raffaele Bonanni! Cioè, tutte persone che nel cuore di cittadini consapevoli rappresentano il peggio del continuismo interessato, la quintessenza di una vecchia politica espressione di vecchissimi arnesi.
No, Professore. Lei non può permettere che uno scenario di questa portata sia consumato e lo diciamo da suoi elettori virtuali, perché siamo tutti un po’ elettori virtuali del Mario Monti che ha messo in sicurezza l’Italia e che ha restituito a noi cittadini il decoro e la dignità di un tempo, ma se lei si fa rappresentare da quei soggettoni lì, se quelli sono i sinceri ambasciatori dell’Agenda Monti, allora il voto le farà marameo. Noi non la voteremo e come noi altri che potrebbero fare la differenza.
Si attrezzi, dunque, si faccia egoista, ma al contrario di quanto si è dichiarato ieri in conferenza stampa, quando ha sostenuto che le converrebbe star fuori da tutto perché in questo modo si spalancherebbe la strada verso il Quirinale. Eviti di stare in poltrona con la vestaglia di raso e pantofole con una tazza di thè tra le mani, come una volta Forattini rappresentò impudicamente Berlinguer mentre sotto la sua finestra sfilava un corteo di metalmeccanici. Abbandoni quell’elitarismo da professore, proprio di chi non vuole sporcarsi le mani con la bassa manovalanza.
Non si faccia rappresentare da nessuno, tanto meno da assistiti della Repubblica come Casini, Fini, e i mille altri accrocchi delle loro liste. Semmai vigili su quelle liste, è compito suo, sa? È la dura fatica di un vero riformatore della politica, controllare, vagliare, dire un sacco di no, cercare persone pulite, belle, intelligenti, luminose, con un’idea vera di Paese. È troppo comodo star fuori dal lavoro sporco perché un bocconiano non può occuparsi anche di certificati penali.
Invece sì, professore. Tocca occuparsene. Perché in questo caso, il fascino dell’«assenza più acuta presenza», come direbbe il poeta, diventerà il suo ma anche il nostro tormento.