Mentre la voglia di uscire continua a essere molta, c’è un Paese che ancora vuole entrare nell’euro: la Lettonia. Altro che secessione dall’eurozona, o svalutazione della moneta per rilanciare l’economia. Riga vuole andare veloce ed adottare l’euro quanto prima. Dopo essere passata rapidamente dal paradiso all’inferno, ora sembra aver trovato una stabilità da far invidia. Non è un caso che, da Danske a Nomura, passando per J.P. Morgan, siano diversi i report delle banche internazionali che vedono nella Lettonia una delle sorprese del 2013.
In un periodo storico in cui l’appeal della zona euro è basso, specie fra i Paesi impegnati nel consolidamento fiscale, la Lettonia spinge per adottare la moneta unica entro il primo gennaio 2014. E dire che, fra il 2008 e il 2009, il Paese era allo sbando. Fra le tentazioni di una svalutazione del Lats, la divisa nazionale, e di un ripudio del debito, la Lettonia decise di scegliere la via più difficile, quella della riduzione della spesa pubblica. Del resto, l’ottica era quella di lungo periodo. Riga voleva entrare nell’eurozona, sicura che una maggiore integrazione a livello europeo è l’unica strada possibile.
La decisione ultima spetta però alla Commissione europea. Il prossimo anno sarà infatti l’organismo europeo guidato da José Manuel Barroso a dover dare il placet a Riga. Il governo conservatore guidato dal Primo ministro Valdis Dombrovskis ha già completato l’iter parlamentare. Questo nonostante l’opposizione stia chiedendo, a gran voce, un referendum popolare. Tuttavia, come ha rimarcato anche la scorsa settimana Dombrovskis, già ministro delle Finanze, chiamare alle urne i lettoni potrebbe rallentare in modo significativo un processo considerato cruciale per lo sviluppo del Paese. «L’euro darà una spinta alla Lettonia, che potrà avere più vantaggi commerciali con gli altri Stati membri», ha detto Dombrovskis. I cittadini lettoni sembrano crederci, specie perché è stato proprio Dombrovskis a guidare il Paese fuori dalla peggiore crisi dalla fine dell’Unione sovietica.
La Commissione europea vuole spulciare al meglio i conti pubblici lettoni prima di esprimersi. Dopo la recessione del 2009, in cui il Pil crollò del 17,7%, nel 2010 il primo miglioramento, con un Pil in contrazione dello 0,9 per cento. Nel 2011 il rimbalzo, con l’economia in crescita del 5,5%, anche grazie a un bailout internazionale, una massiccia svalutazione interna e una serie di accordi commerciali fra Riga e la Cina. E dire che l’economia lettone, complice una politica monetaria ballerina e una bolla creditizia, era praticamente in ginocchio. A tal punto che nel 2008 il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman scrisse, dalle colonne del New York Times, che «la Lettonia è la nuova Argentina». Toccato il fondo, Riga ascoltò i consigli del Fondo monetario internazionale (Fmi), allora guidato da Dominique Strauss-Kahn. L’istituzione di Washington suggerì di non svalutare la propria moneta nel tentativo, estremo, di rilanciare l’economia. Meglio piuttosto una svalutazione interna, in modo da rilanciare la competitività. Vi si oppose l’Ue, che non riteneva questa soluzione utile alla causa lettone. A questa via, dopo gli anni del bengodi, il Fmi chiese al governo lettone di unire una riduzione della spesa pubblica, nonché una serie di riforme strutturali sotto il profilo previdenziale. Non solo. Chiese anche di completare il processo di privatizzazione iniziato con il crollo dell’Unione sovietica. Tutti suggerimenti che furono presi e adattati all’economia del Paese.
Il motivo del rilancio lettone è soprattutto merito di una politica fiscale più cautelativa che nel passato. Ma non puramente di austerity. Sono stati ridotti gli sprechi, specie nel settore pubblico, ma non è stata seguita alla lettera la ricetta del Fmi. Un fattore che ha creato diversi screzi fra l’istituzione di Washington e Riga. Eppure, poche settimane fa, è stato lo stesso Fmi a dire che le misure introdotte dalla Lettonia sono state lungimiranti, specie nel non far pagare il conto della crisi ai più deboli, innalzando le imposte nelle fasce minori. E nonostante le spinte di numerosi economisti, che volevano una svalutazione del Lats, si è andati avanti con il programma di svalutazione interna. Perfino il capo economista del Fmi, Olivier Blanchard, era scettico che questo mix, svalutazione interna e consolidamento fiscale, potesse funzionare. O perlomeno, non senza una svalutazione della divisa nazionale. Si è dovuto ricredere nello scorso giugno.
Le previsioni per i prossimi anni sono positive. Secondo i dati della Commissione europea, per l’anno in corso l’economia lettone crescerà del 4,3%, mentre rallenterà, seppur di poco, nel 2013 e nel 2014, con una crescita stimata del 3,6% e del 3,9% rispettivamente. In aumento il rapporto debito/Pil, che passerà dal 41,9% previsto per l’anno in corso (in calo dello 0,3% rispetto al 2011) al 44,9% del 2014. Numeri che dovrebbero permettere l’introduzione dell’euro secondo i tempi previsti. Il tutto sperando che l’ingresso nella moneta più travagliata degli ultimi due anni non causi altri squilibri.