Ai piani alti del Partito Democratico si sgomita per entrare nel listino bloccato di Pier Luigi Bersani. Ma a quelli bassi, tra malumori e incertezze, nelle circoscrizioni locali ci si attrezza per una campagna elettorale lampo, della durata di appena dieci giorni, con Natale Santo Stefano di mezzo. Con il rischio che il voto del 29 e 30 dicembre possa avere ricadute sugli schemi di governo che segnano anche una giunta di centrosinistra di un comune importante come quello di Milano. Ma la stessa cosa vale anche per Torino, dove i fedeli di Piero Fassino stanno cercando una collocazione: le correnti stentano a scomparire. Saranno pure delle «buffonarie» come sostiene Beppe Grillo, ma la sfida è partita.
Succede tutto nel Pd, che con le primarie prova a ripartire dai territori, dalle province, per cercare di contrastare l’avanzata dei meet up del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo e contrastare il radicamento sul territorio della Lega Nord. La questione si consuma in tutta Italia, ma in particolare al Nord, in regioni come Piemonte, Lombardia e Veneto, con le ultime due fondamentali per il numero di seggi nel confronto con il centrodestra dove Silvio Berlusconi vuole arrivare in alleanza con la Lega Nord: in Lombardia si corre anche per le regionali
Diversi i paletti che impone il regolamento e che colpiscono le varie correnti. Rispetto ai sindaci, si potranno candidare solo quelli di comuni con meno di 5mila abitanti. In Lombardia vengono messi fuori due esponenti molto vicini a Matteo Renzi, come Eugenio Comincini (sindaco di Cernusco) e Lorenzo Guerini (Lodi), che avevano già detto però che non si sarebbero candidati.
A tenere banco non è solo lo scontro tra renziani e bersaniani, tra nuova e vecchia nomenklatura, ma pure la linea politica del Pd di Bersani, che alcune schegge «impazzite» potrebbero far saltare. «Ma su questo ci penseranno le direzioni provinciali a tagliare», spiega un esponente di peso dei democratici che non sembra fidarsi delle 500 firme: nel regolamento c’è scritto che potrebbero esserci delle decisioni «dicrezionali». Non è un caso che proprio in Piemonte, tra i possibili candidati, come raccontato anche dallo Spiffero di Torino, ci sia Sandro Plano, presidente della Comunità Montana e No Tav d’eccezione. Di casi come il suo se ne contano diversi tra le varie circoscrizioni provinciali.
A Bergamo fa rumore invece la candidatura di Giorgio Gori, lo spin doctor di Matteo Renzi. L’ex direttore di Canale 5, iscritto da pochi mesi al Pd, dovrà in questi due giorni racimolare le firme di 500 iscritti, poi sperare nel giudizio della direzione, quindi portare gente a votare il 29 o il 30 dicembre. Bergamo non è una città come le altre. Qui a candidarsi potrebbe essere Antonio Misiani, il tesoriere dei democratici, uomo di fiducia di Bersani, che in un posto in un parlamento ci spera. Non è detto quindi che anche il suo nome possa alla fine comparire nel listino di Bersani o in quello dei capilista.
Se le indiscrezioni si riveleranno confermate, infatti, ci dovrebbe essere un 30% di candidature sicure, con 130 candidature blindate. Ma gli altri? E gli equilibri a livello locale? A palazzo Marino, comune di Milano, dove governa il sindaco Giuliano Pisapia è già partita una ridda di voci e veleni che stanno già mettendo a dura prova la giunta. A quanto pare tra i possibili candidati ci potrebbero essere la vicesindaco con delega all’Istruzione Maria Grazia Guida, poi Lucia Castellano che è assessore alla Casa e quindi Pierfrancesco Majorino, assessore al Welfare. Non c’è nulla di certo, anche perché a livello locale sgomitano anche altri come il coordinatore cittadino del Pd di Milano Francesco Laforgia.
Non solo. Su Milano, un big come Piero Ichino, giuslavorista, che ha sposato la linea di Renzi, correrà anche lui alle primarie. Mentre invece si vocifera che Ivan Scalfarotto, altro renziano potrebbe trovare posto nel listino bloccato. Schemi che saltano, nuove simmetrie che si compongono. Barbara Pollastrini, che è parlamentare da quattro legislature e non ha chiesto deroghe, non correrà invece per le primarie. Stessa cosa accade in Veneto, dove Paolo Giaretta, storico senatore democratico, ha deciso di passare la mano. La regola, al momento, prevede che per il numero di seggi delle provincia ci sia almeno, come minimo, il doppio dei candidati.
In provincia di Monza e Brianza a correre dovrebbe essere Giuseppe Civati, detto Pippo, che potrebbe trovarsi di fronte Alessia Mosca, vicina a Enrico Letta. Per trovare le firme c’è tempo fino a giovedì alle 20. Roberto Caputo, consigliere provinciale del Pd, scrive in una nota: «Peccato che con le regole stabilite ieri dalla Direzione nazionale si sia persa ancora una volta un’occasione. Primarie sì, ma a dir poco blindate».