Padre Decaminada, il nuovo don Verzé che preoccupa il Vaticano

Padre Decaminada, il nuovo don Verzé che preoccupa il Vaticano

Colpa della crisi economica, dei conti che non tornano, della spending review del super-commissario alla sanità del Lazio Enrico Bondi. Colpa di una lenta ma irreversibile erosione che ora è giunta ad un punto di caduta, quella delle migliaia di suore che per lunghi anni hanno fatto funzionare, con tanta abnegazione e costi bassi, gli ospedali cattolici di tutto il mondo e ora, calate le vocazioni, non riescono più a sostenere uno dei cuori pulsanti della carità cristiana, l’apostolato della salute. Colpa, però, anche di figure che tornano nella storia recente e remota della Chiesa come evergreen, faccendieri che – magari in tonaca – approfittano della buona fede e, a volte, dell’ingenuità dei fedeli per stornare i fondi delle offerte e impiegarli in traffici opachi, scalate di potere, alleanze inconfessabili finalizzate ad un arricchimento molto mondano e per nulla evangelico. Don Luigi Verzè era uno di loro. Il disastroso buco di bilancio che ha lasciato all’ospedale San Raffaele di Milano peserà ancora per lunghi anni su medici, infermieri e pazienti. Ora è padre Franco Decaminada, a lungo onnipotente patron dell’Istituto dermopatico dell’Immacolata (Idi), a Roma, a suscitare l’interesse dei magistrati e l’imbarazzo del Vaticano.

In estate il procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi, il pubblico ministero Michele Nardi e Giuseppe Cascini della Direzione distrettuale antimafia hanno iscritto i vertici del gruppo nel registro degli indagati ipotizzando l’associazione per delinquere finalizzata all’appropriazione indebita e all’evasione tributaria. L’inchiesta – raccontata con dovizia di particolari da Ilaria Sacchettoni sul Corriere della sera, Emiliano Fittipaldi sull’Espresso e dalla trasmissione televisiva Report, che questa sera tornerà sulla vicenda – ha fatto emergere dettagli tutti da appurare (un casale in Maremma, un’impresa immobiliare, la malaccorta acquisizione di un centro per la produzione di farmaci anti-tumorali). E avrebbe appurato un dissesto finanziario di circa 800 milioni di euro all’origine del fatto che i 1.800 lavoratori del gruppo (oltre all’Idi, il San Carlo di Nancy, sempre a Roma, e Villa Paola di Capranica nel Viterbese) non ricevono lo stipendio da quattro mesi. Una situazione che si è aggravata dopo che i vertici ella congregazione religiosa hanno esautorato, dopo pochi mesi e senza molte spiegazioni, il prefetto di garanzia, Vincenzo Boncoraglio, che, con l’interim di direttore generale, era riuscito a preparare uno studio per il rilancio dell’ospedale: pareggio di bilancio nel 2013 e 160 esuberi contro il doppio ipotizzato. I dipendenti hanno protestato issandosi con le tende sul tetto dell’Idi, occupando la cappella del San Carlo di Nancy e, ora, tracimando in piazza San Pietro all’Angelus del Papa. Domenica scorsa e poi, di nuovo, con un flash mob organizzato ieri, giorno dell’Immacolata concezione, in teoria giorno di festa per i Concezionisti proprietari del polo ospedaliero.

A sostegno dei lavoratori dell’Idi sono già intervenuti il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il segretario del Pd Pierluigi Bersani, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che domani ha convocato un tavolo al Campidoglio e ha già contattato il ministro della Salute Renato Balduzzi prospettando uno sblocco parziale dei fondi. Ieri è intervenuto il Papa. Con poche, ponderate parole che testimoniano la vigilanza di Benedetto XVI sulla vicenda: «Desidero rivolgere l’auspicio – ha detto Ratzinger salutando il “gruppo di preghiera” dell’Idi – che possano trovare soluzione i problemi che affrontano le varie Istituzioni sanitarie cattoliche». Gli uomini del Papa fanno attenzione a non farsi “tirare per la giacchetta” dai Concezionisti, che, tra l’altro, sostengono di aver ricevuto dal Vaticano l’autorizzazione al concordato preventivo per la provincia italiana della congregazione religiosa, un’insolita procedura di fallimento pilotato che coinvolgerebbe non già l’ospedale in crisi ma la loro intera branca italiana.

L’ospedale, in realtà, non dipende dalla Santa Sede. Ma la congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione sì. La segreteria di Stato vaticana, inoltre, ha discretamente inviato, nei mesi scorsi, un visitatore apostolico che ha controllato i conti dell’Idi. E chi ha assistito al tentativo – poi sfumato – promosso dal cardinale Tarcisio Bertone di rilevare l’ospedale San Raffaele con fondi presi, in parte, dallo Ior (Istituto per le opere di religione), ha ipotizzato che la Santa Sede potesse dare una mano anche con l’Idi. Tanto più quando sono a rischio migliaia di posti di lavoro. Tanto più quando i nove ospedali religiosi romani dell’Aris (Associazione religiosa istituti socio-sanitari), dal Gemelli al Fatebenefratelli sull’isola Tiberina, sono sul piede di guerra per la spending review del commissario Bondi. Tanto più dopo che anche il Vicariato di Roma è intervenuto per esprimere la propria “apprensione” per i destini della sanità cattolica nella città del Papa. E tanto più dopo che sono emerse le responsabilità di religiosi più interessati ai propri affari che alla cura dei fedeli. Una categoria di persone che – dallo scandalo pedofilia agli intrighi dello Ior alle torbide vicende legate agli immobili di Propaganda fide – Papa Ratzinger non ha mai tollerato.

dal blog Papale Papale di Iacopo Scaramuzzi

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