Panettone o pandoro? L’eterna sfida dei dolci di Natale

Panettone o pandoro? L’eterna sfida dei dolci di Natale

Immancabili a Natale, ma buoni anche durante il resto dell’anno. Si dice che il panettone sia nato da un’idea di un garzone dopo che il dolce preparato dal cuoco di corte era finito bruciato nel forno. Mentre il pandoro ha origine nella Venezia rinascimentale. Panettone e pandoro sono i dolci per eccellenza di questo periodo. Ma qual è la ricetta originale? E la crisi ha colpito anche i dolci tipici di Natale? Esiste un decreto legge che «impone un minimo di “materia grassa butirrica” del 16% nel panettone e per il pandoro si sale al 20%», spiega Mario Piccialuti, direttore di Aidepi, Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane. Il Natale 2006 è stato il primo con panettoni e pandori “di legge”. E, nonostante la crisi, anche per quest’anno le famiglie italiane non rinunceranno «ai momenti della tradizione, anche gastronomica», prediligendo «per il 60% i prodotti di marca».

Cominciamo dalla storia: come è nato il panettone?
L’eventualità più probabile è che il nome “panettone” derivi semplicemente dal fatto che è un dolce pane grande. Ma la leggenda fa originare il nome da un certo Toni (da cui “Pan del Toni”, panettone). Anzi, ne esistono addirittura due diversi. Il primo era un garzone a servizio di Ludovico il Moro a Milano. Una vigilia di Natale, lo sfarzoso pranzo stava per essere rovinato perché il dolce preparato dal cuoco di corte era finito bruciato nel forno. Così il cuoco, disperato, accettò di presentare in tavola il pane arricchito di uova e frutta secca che il garzone aveva preparato. Neanche a dirlo, questa invenzione semplice ma geniale salvò il cuoco e fece nascere la nuova tradizione. Un altro Toni era invece un povero fornaio, che però aveva una figlia, Adalgisa, di cui si era innamorato Ughetto Atellani, falconiere di nobile origini. Per frequentare la ragazza, Ughetto si finse garzone e per risollevare le sorti della povera panetteria inventò il panettone. Quello che c’è di sicuro, è che a partire dal XV secolo il panettone si diffuse sempre più, prima in Lombardia e poi nel resto d’Italia, fino a diventare il dolce simbolo del Natale. Il panettone è rimasto opera dei panettieri fino all’inizio del secolo scorso, quando è iniziata la produzione industriale e, con essa, l’esportazione di questo dolce tradizionale verso ogni angolo del mondo.

E invece il pandoro?
Il nome pandoro non può che essere la combinazione di “pane”, vista la lievitazione naturale, e “oro”, dal colore della pasta, con quel bel giallo conferito dalle uova. Ma c’è chi lega il tipico dolce veronese agli sfarzosi cibi della Venezia rinascimentale. La città si era enormemente arricchita con i commerci marittimi e ostentava lusso anche nella preparazione dei banchetti, dove non mancavano piatti coperti con foglie di oro zecchino. La forma di stella deriva in realtà dal “nadalin”, un umile dolce familiare che i veronesi consumavano a Natale. La produzione del pandoro come grande dolce lievitato a forma di stella si è affermata stabilmente a Verona dalla fine dell’Ottocento, nelle antiche ed eleganti “offelerie”, i cui maestri pasticcieri avevano spesso studiato a Vienna, imparando le tecniche degli impasti che sono alla base della preparazione di questo dolce. Il pandoro, nel corso del Novecento, ha affiancato sempre più il panettone sulle tavole delle feste degli italiani.

Esiste una certificazione che garantisca la qualità dei prodotti?
Panettone e pandoro sono, per noi italiani, i dolci simbolici per eccellenza. Non c’è Natale senza questi grandi dolci in tavola. E anche per questo ci si aspetta una qualità ben precisa, con i contorni definiti sia nella preparazione che nella cura degli ingredienti. L’Associazione delle industrie del dolce e della pasta (Aidepi, ndr) ha compreso da tempo la necessità di proteggere la denominazione tradizionale di questi dolci contro le produzioni di derivati ottenuti con metodi rapidi o ingredienti inadatti. Già dal luglio 1998 l’associazione aveva presentato al ministero dell’Industria un preciso e dettagliato disciplinare produttivo per ottenere una tutela legislativa della denominazione. Con questa richiesta l’industria dolciaria italiana voleva porre le basi per la definizione di una ricetta garantita e sicura, a difesa della qualità e dei consumatori.

Ed è riuscita nel suo intento?
Mentre attendeva che si completasse l’iter istituzionale che avrebbe portato all’emanazione del decreto “Disciplina della produzione e della vendita di taluni prodotti dolciari da forno”, pubblicato il 22 luglio 2005 ma entrato in vigore sei mesi dopo, nel 2003 l’Associazione aveva chiesto ai suoi associati, che rappresentano oltre l’80% del mercato dei dolci da ricorrenza, di iniziare già ad applicare quelle che poi sarebbero poi diventate regole di legge. Con l’uscita del decreto ministeriale, il Natale 2006 è il primo con panettoni e pandori “di legge”.

Qual è stata la conseguenza più importante per i consumatori?
La possibilità di riconoscere con un’occhiata il dolce “fatto come tradizione” dagli altri, cioè semplicemente leggendone la denominazione di vendita: i produttori che applicano altre tecniche produttive o non utilizzano solo gli ingredienti ammessi nelle giuste quantità non possono più stampare “panettone” o “pandoro” sulle confezioni, ma devono trovare altri nomi da usare. La norma, però, non ha irrigidito esageratamente la ricetta. I produttori possono inventarsi nuovi dolci, restando, però, all’interno di alcune regole base.

Ma come funziona la produzione? Quali sono i segreti?
Al di là dell’essere i dolci delle feste, panettone e pandoro hanno in comune una tecnica produttiva antica, particolare ed elaborata, l’unica che permetta di ottenere dolci di così grandi dimensioni e lunga conservabilità. Ciò che li distingue da tutti gli altri prodotti da forno è il tipo di lievitazione: nel loro caso, infatti, è naturale, realizzata, cioè, con il lievito madre. Non si tratta dunque di lievito istantaneo, quello normalmente utilizzato per le torte, né di lievito di birra, che può essere utilizzato solo in minima percentuale (1% al massimo), il più usato per il pane, ma di una miscela sempre diversa di microrganismi, principalmente lieviti ma anche batteri lattici, simili a quelli dello yogurt, presenti naturalmente nella farina. Con l’aggiunta di acqua, alla giusta temperatura e dopo un adeguato tempo di attesa, questi microrganismi incominciano a moltiplicarsi e a far fermentare la farina, che lievita lentamente.

In che cosa consiste la lievitazione naturale?
La lievitazione naturale è la forma più antica utilizzata per far gonfiare gli impasti di farina. Oggi la sua produzione ha origine da lieviti madre selezionati, spesso all’interno della stessa azienda dolciaria, così come un tempo, quando si faceva il pane in casa, si conservava una parte dell’impasto lievitato perché facesse a sua volta da starter per le preparazioni successive. Se nella preparazione dei dolci lievitati da ricorrenza si utilizza la lievitazione naturale è perché porta ad alcuni esclusivi vantaggi. Come abbiamo accennato, la lavorazione con il lievito naturale, che prevede più impasti e soste, è preferibile nella realizzazione di impasti voluminosi, come appunto quelli di panettone e pandoro. La fermentazione non solo con lieviti ma con batteri lattici rende più acida la massa fermentata e porta alla creazione di un prodotto più resistente a eventuali successivi attacchi da parte di muffe e quindi più conservabile. La lievitazione lunga rende il dolce più digeribile. Ma l’effetto più gradito è dato dalla creazione di nuove sostanze aromatiche, che arricchiscono e rendono unici gusto e profumo di questi prodotti da forno.

Come funziona il ciclo di lavorazione?
Il ciclo di lavorazione di panettone, pandoro dura circa 20 ore. A queste bisogna aggiungere 15 ore necessarie per la preparazione del lievito madre. Dal primo impasto del lievito al confezionamento, insomma, bisogna calcolare circa un paio di giorni. Le diverse fasi produttive sono precisamente cadenzate. La madre del lievito viene aggiunta alla farina e all’acqua per il primo impasto. Dopo la prima fermentazione si aggiungono altra farina, e poi lo zucchero, il burro e le uova. C’è quindi la seconda sosta per la lievitazione. Arrivano poi uvetta e canditi, nel caso del panettone, solo canditi se è la colomba, e aromi e dopo la terza sosta per la lievitazione l’impasto viene spezzato, arrotondato e messo nella forma a stella, se si tratta del pandoro, o nei pirottini per gli altri prodotti. Sono i contenitori di carta in cui la pasta effettua la sua ultima lievitazione, prima di passare in forno. L’ultima lievitazione, effettuata nel pirottino, fa sì che il panettone risulti più alto del contenitore. Dopo la cottura in forno, l’ultima sosta è per il raffreddamento, prima del confezionamento. Una lavorazione così lunga è evidentemente più laboriosa e impegnativa rispetto alla preparazione di un qualsiasi altro prodotto da forno. È questo il motivo per cui panettone e pandoro non vengono preparati in casa e anche perché sono poche le pasticcerie artigianali che producono in proprio questi dolci.

Qual è la ricetta?
Se la lavorazione è tra le più complesse nel mondo della pasticceria industriale, gli ingredienti che compongono i dolci da ricorrenza italiani sono invece i più semplici, quelli alla base di qualsiasi torta casalinga. Leggendo l’elenco degli ingredienti in etichetta che, come è noto, va in ordine decrescente di peso, si può verificare come al primo posto, che si tratti di panettone, pandoro o colomba, c’è sempre la farina, in genere di tipo “0”. In effetti, la farina è l’ingrediente preponderante, in percentuale è molto più dello zucchero. Oltre allo zucchero, troviamo tra i primi ingredienti il burro. È una componente fondamentale, sia per quanto riguarda la creazione dell’aroma che per garantire sofficità alla pasta. Nella preparazione di questi dolci non si può certo lesinare con le uova, che danno gusto e colore all’impasto. La proporzione tra farina, zucchero, burro e uova cambia un po’ tra panettone, pandoro e colomba. In particolare, il pandoro risulta un po’ più ricco di zucchero e burro. La presenza nell’impasto di canditi e uvette caratterizza il panettone tradizionale. Non è solo una questione di gusto: si è scoperto che hanno anche una funzione tecnologica. Questi due ingredienti, infatti, aiutano a mantenere la giusta umidità del prodotto, liberando poco alla volta l’acqua in essi contenuta ed evitando così che la pasta secchi troppo. Ma oltre a tanti amanti dei canditi, c’è chi invece preferisce la pasta senza aggiunte: per loro sono a disposizione panettoni e colombe senza nulla aggiunto all’impasto.

Le proporzioni tra gli ingredienti sono definiti dalla legge?
Per ogni dolce sono definite le quantità minime di uova, che siano intere o tuorli: il tenore in tuorli deve coprire almeno il 4% del peso. Quanto al burro, se per panettone e colomba si impone un minimo di “materia grassa butirrica” del 16%, per il pandoro si sale al 20%. E si parla solo di burro, essendo vietati tutti gli altri grassi, con la sola eccezione del pregiato burro di cacao. Uvette e scorze di agrumi canditi devono raggiungere, nel panettone, come minimo la già notevole percentuale del 20%; nella colomba, le scorze coprono almeno il 16% del peso. Ma i gusti sono gusti, e quindi… Anche il panettone “di legge” può essere prodotto senza canditi e/o senza uvetta, basta che questa assenza sia indicata chiaramente sulla confezione.

Quali sono i controlli lungo il ciclo produttivo?
Tutto il ciclo produttivo del panettone e del pandoro, dalla selezione della materie prime fino al confezionamento del prodotto finito, è controllato in modo capillare dalle industrie produttrici, in particolare con riferimento agli aspetti igienico-sanitari, per i quali le industrie dolciarie si conformano alle linee guida definite dal Manuale di corretta prassi igienica e Haccp (Hazard Analysis and Critical Control Points, letteralmente “Analisi del pericolo e punto critico di controllo”, ndr), predisposto dall’Aidi e validato dal ministero della Salute. Un metodo di lavoro che garantisce completamente il consumatore. Le grandi industrie investono sulla sicurezza e sull’igiene, per esempio creando ambienti protetti per la produzione, dove l’aria in ingresso viene filtrata per evitare che passino spore di muffe o altri organismi in grado di contaminare i prodotti.

Cosa ne pensa dei prodotti “speciali” (panettoni farciti con crema, cioccolato ecc.)?
Penso che sia il “territorio” in cui si può sbizzarrire la fantasia e la creatività dei produttori… anche per andare incontro alle richieste dei consumatori, che da un lato rimangono legati alla tradizione ma in parte desiderano anche provare nuovi prodotti e abbinamenti. Nei prodotti tradizionali la legge rende possibile aggiungere “farciture, bagne, coperture, glassature, decorazioni e frutta, nonché altri ingredienti caratterizzanti”, ma con due regole. Che non ci siano altri grassi diversi dal burro e che il prodotto finito contenga almeno il cinquanta per cento dell’impasto base. Le ricette preziose ma al tempo stesso equilibrate dei dolci lievitati tradizionali italiani reggono senza problemi il tempo che passa e anzi sono ogni anno più di successo. La loro perfezione è dimostrata anche dalle scelte degli italiani, che continuano a preferire, in larghissima misura, le tipologie tradizionali. L’industria, però, non lesina in fantasia e ogni anno offre alternative golose per chi abbia voglia di provare nuovi dolci o trovare alternative con gusti diversi, primo tra tutti il cioccolato.

Qual è lo stato del mercato italiano? Cosa preferiscono gli italiani: pandoro o panettone? 
Gli ultimi dati disponibili, relativi al Natale 2011, mostrano una sostanziale tenuta, con una produzione pari a 88.350 tonnellate, per un valore di 590,9 milioni di euro e con un aumento in valore rispetto all’anno precedente del +1,6%. L’incremento per il panettone nella versione tradizionale +1%, unito alla forte contrazione della tipologia del “senza canditi” rivela che i consumatori hanno preferito un ritorno alla tradizione, anche se sono andati bene anche le versioni “speciali” (+2,9%). Sostanziale stabilità per il pandoro tradizionale (+0,3%), mentre quello speciale scende del -1,3% rispetto al 2010. Un’altra curiosità: il panettone è preferito dagli uomini e dalle persone più mature, mentre il pandoro trova i suoi estimatori principalmente tra i giovani e le donne.

Importiamo prodotti dall’estero?
No per fortuna lo esportiamo noi! La propensione all’export è circa del 10 per cento.

Esiste una produzione all’estero?
Il mercato sudamericano è monopolizzato da un produttore di origini italiane, che produce in Brasile quantitativi ingenti di un dolce simile al nostro panettone e altri dolci tipici italiani, e ha cominciato a invadere il mercato nordamericano e, sembra, stia preparandosi a sbarcare anche in Cina, dove però si è organizzata anche una produzione locale. Anche in Argentina un produttore dolciario ha brevettato per tutto il Sudamerica il nome “pandoro”, per cui un produttore italiano che voglia esportare il dolce veronese su quei mercati deve utilizzare un nome diverso. Una iniziativa analoga è stata avviata in Colombia per il nome “panettone”. Attenzione però: questi prodotti sono ben lungi dall’essere fatti secondo la ricetta prevista dal decreto, anche se sull’incarto spesso riportano la dicitura “traditional Italian recipe”.

La contraffazione alimentare interessa anche questo prodotto?
Esistono purtroppo dei prodotti che, pur non rispettando la ricetta prevista dalla denominazione, sono, nella loro presentazione, talmente equivoci da poter essere scambiati per quelli originali. Il ministero dello Sviluppo economico, sollecitato dall’Associazione, è intervenuto nuovamente nel dicembre 2009 a tutela del consumatore, ricordando che sono da ritenersi ingannevoli: 1.le modalità di presentazione dei prodotti di imitazione che “richiamano in maniera inequivocabile i lievitati classici di ricorrenza (forma del prodotto, forma della confezione, immagine) e che si distinguono da essi solo per il fatto di utilizzare, in maniera poco evidente (fondo della scatola, caratteri piccoli, ecc.) denominazioni alternative”; 2. le modalità di commercializzazione se “nei punti vendita le due categorie di prodotti (originali e di imitazione) sono posti gli uni accanto agli altri, confondendo i consumatori e arrecando illecita concorrenza agli operatori corretti”.

Il comparto ha risentito della crisi?
Per il prossimo Natale, pur nell’impossibilità di dare dati certi visto che la stagione è solo ai primissimi giorni, sembrerebbe possibile parlare con un cauto ottimismo, sostenuto anche dalla rilevazione che, soprattutto in tempi difficili, le famiglie italiane non rinunciano ai momenti della tradizione, anche gastronomica, e prediligono, come conferma una recentissima ricerca di SymphonyIRI sulle scelte d’acquisto in tempi di crisi, per il 60% i prodotti di marca. A questo dato si aggiunga che il consumatore, mai come al giorno d’oggi, ha a disposizione una varietà di prodotti amplissima, in grado di soddisfare ogni preferenza, sia di ricetta, sia, perché no?, anche di packaging, con un occhio anche all’ambiente: alcuni prodotti per i più piccini hanno infatti la possibilità di riciclare l’incarto come decorazione o gioco di Natale.

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