C’è il tema delle alleanze e quello del rinnovamento. I nodi della legge elettorale e delle eventuali primarie che dovranno selezionare i parlamentari. Ma anche la necessità di conservare fino alle elezioni il consenso raggiunto nelle ultime settimane. Appena vinto il confronto con Matteo Renzi, per il segretario democrat Pierluigi Bersani si aprono nuove sfide. Grane non indifferenti. Spesso veri e propri grattacapi, da cui passa inevitabilmente il futuro del suo Partito democratico.
Anzitutto il tema alleanze. Da qualche mese Bersani ha già chiarito quale sarà la sua linea. Un accordo con Nichi Vendola e i socialisti. Ma anche un dialogo con le forze moderate. Insomma, una maggioranza parlamentare che faccia convivere Pier Ferdinando Casini e Sinistra Ecologia e Libertà. Ora lo scenario è cambiato. Dopo le primarie, nel fronte dei progressisti è aumentato il peso di Vendola. Il sostegno a Bersani nella settimana prima del ballottaggio non sarà privo di conseguenze. La sconfitta di Renzi ha rafforzato l’intesa tra Pd e Sel (a scapito di un accordo con i centristi dell’Udc). Non è un caso se ieri sera al cinema Capranica di Roma, al termine della festa elettorale, Giuseppe Fioroni si è fatto fotografare sorridente assieme al governatore pugliese.
Per studiare le nuove alleanze sarà fondamentale la legge elettorale. Prima della partenza per Tripoli – dove stasera Bersani inizierà un lungo tour internazionale per accreditarsi in vista della candidatura a Palazzo Chigi – questo pomeriggio il segretario ha tenuto una riunione al Nazareno sulla riforma del Porcellum. Da mercoledì il provvedimento sarà in aula al Senato. Qualcuno è convinto che un accordo con il centrodestra sia già stato trovato. La soglia minima per ottenere il premio di maggioranza sarà fissata al 40 per cento. Conti alla mano, per Bersani potrebbe essere un problema. Per avere la maggioranza in Parlamento – senza accontentarsi del “premietto” al primo partito – diventerebbe obbligatorio un accordo con Casini.
Ma nel partito c’è anche chi è convinto che alla fine la legge elettorale non sarà cambiata. Con buona pace di Napolitano, rimarrà in vigore il Porcellum. Il segretario del Pd non può dirlo, ma per lui sarebbe la soluzione migliore. È questo l’unico sistema per ottenere la maggioranza dei seggi alla Camera – al Senato non è detto – senza l’obbligo di dover raggiungere percentuali troppo alte. Chi prende più voti alle elezioni, conquista il 55 per cento dei seggi. In questo modo non si dovrebbero neppure gestire imbarazzanti accordi con l’Udc. Anche questa ipotesi non è indolore. Se restano le liste bloccate del Porcellum, chi li sceglie i parlamentari?
Al Nazareno assicurano che se la legge elettorale non sarà modificata, verranno organizzate primarie per individuare deputati e senatori. Bersani corre due grandi rischi. Il primo è legato al regolamento. Nessuno sa come si svolgeranno le selezioni. Nel partito ci sono già posizioni diverse sul corpo elettorale. Da una parte c’è chi vuole aprire le primarie a tutti, dall’altra chi vorrebbe limitarle agli iscritti. Non è un mistero che una nuova polemica sulle regole potrebbe danneggiare seriamente l’immagine del partito. Altro dubbio: i candidati di Sel come saranno scelti? Il partito di Vendola avrà dei posti riservati in Parlamento o parteciperà alle primarie con il Pd? Il secondo grande rischio è legato a Matteo Renzi. Con le primarie per i parlamentari, il sindaco rottamatore potrebbe portare a Roma quasi la metà dei nuovi deputati e senatori. Dopotutto Renzi ha dalla sua il 40 per cento circa degli elettori di centrosinistra.
Ma c’è anche un indubbio vantaggio. Le primarie per i parlamentari toglierebbero dall’imbarazzo Bersani, costretto a svecchiare il partito. Il rinnovamento della classe dirigente è un passaggio obbligato. Il segretario lo ha chiarito pochi minuti fa: «Un cambiamento dei contenuti, dei programmi, delle cose da fare – le sue parole al Nazareno – Ma anche una nuova generazione in campo, nuove persone». Oggi non tutti i dirigenti sono pronti a farsi da parte. Per un D’Alema ha già assicurato che non si candiderà in Parlamento, ma continuerà a «dare una mano» al partito, c’è una Rosy Bindi che chiederà una deroga per tornare a Montecitorio. Ora Bersani potrebbe evitare di affrontare la questione. Assicurando la deroga ai dirigenti che ne faranno richiesta, ma costringendoli a conquistarsi il seggio attraverso le primarie.
Il rinnovamento del partito sarà inevitabile. Passa da qui una delle principali sfide di Bersani. Il segretario dovrà riuscire a conservare fino alle elezioni i voti portati in dote da Matteo Renzi. Il successo delle primarie è anche questo: nei sondaggi il Pd ormai sfiora il 34 per cento. La scommessa è rimanere su queste cifre – e magari aumentarle – in vista delle Politiche.
Per raggiungere l’obiettivo è necessario tener conto del programma renziano. Anche nei rapporti con il governo Monti. Il Partito democratico non può improvvisamente prendere le distanze dall’esecutivo. Gli elettori del sindaco di Firenze sono contrari a un ritorno del Professore a Palazzo Chigi, non all’esperienza del governo tecnico. Una nuova offensiva vendoliana – il leader di Sel ha appena confermato che «la carta di intenti archivia l’agenda Monti» – potrebbe allontanare buona parte di questo elettorato.
Soprattutto, Bersani deve rinverdire i vertici del partito. Il motivo principale del successo renziano è legato proprio al tema della rottamazione. Impossibile non tenerne conto. Ecco perché il segretario è pronto a dare spazio a una nuova leva di giovani dirigenti. Da Matteo Orfini a Stefano Fassina, passando per la direttrice di Youdem Chiara Geloni e la portavoce del comitato per le primarie Alessandra Moretti. Tutto stando ben attento a non incrinare i delicati equilibri interni al partito. Al momento non c’è alcun rischio scissione, ma è meglio non provocare strappi. Ai renziani dovrà essere riconosciuto il giusto spazio. Ma non troppo, per evitare la reazione dei dirigenti rimasti fedeli al segretario. Maurizio Migliavacca, dirigente del partito, avrebbe già cencellianamente fissato il numero dei deputati renziani a ottanta.