Il 7 febbraio scorso ho partecipato a Bologna alla conferenza “America: Still A European Power?” organizzata dall’ateneo bolognese e dalla Johns Hopkins University-SAIS. Il titolo della mia presentazione era “Perché e come gli Stati Uniti e l’Europa sono/non sono riusciti a venir fuori dalla crisi economica”. Mettendo insieme le mie note, ho capito che fornivano una visione abbastanza pessimistica della sostenibilità dell’euro. Questo è, più o meno, quello che ho detto.
In questo intervento io metterò a confronto come gli Stati Uniti e i Paesi dell’Eurozona erano affetti e hanno risposto alla crisi. Non dirò dunque neanche una parola sulle cause della crisi attuale. Sosterrò che le principali differenze risiedono in tre aspetti chiave:
1. Conseguenze permanenti vs. conseguenze transitorie
2. Risposte politiche attive vs. risposte politiche passive
3. Traumi simmetrici vs. traumi asimmetrici
Poi discuterò brevemente di qualche implicazione economica come
1. L’Euro è sostenibile?
2. Quali riforme istituzionali sono richieste?
3. Le riforme attuali (unione bancaria, unione politica, Eurobond) si stanno muovendo nella giusta direzione?
I. L’economia
Produzione
La figura sotto confronta il pil americano (rosso) e quello europeo (blu) dal 2006 (a prezzi costanti, fonte Weo database ottobre 2012), in cui ho normalizzato i valori iniziali a 100. La figura mostra che:
– La recessione americana è cominciata prima di quella europea a causa della crisi dei mutui subprime;
– La recessione europea è più profonda nel suo impatto;
– Gli Stati Uniti hanno cominciato la ripresa dal 2009, mentre la ripresa per l’Eurozona è durata poco e finita nel 2010;
– Nel 2012 la produzione è sopra i livelli del 2006, del 7% negli Usa e solo del 2% in Europa.
Disoccupazione
– Dopo una brusca crescita nel 2007-2008 la disoccupazione negli Usa è scesa nel 2010, ma con un piccolo aumento successivo;
– La disoccupazione nell’Eurozona continua a crescere senza segnali di cambiamento.
Così abbiamo l’evidenza che la crisi ha effetti molto più persistenti in Europa che negli Usa. Sembra che in Europa siamo in un altro cerchio di “isteresi”, simile a quello che è accaduto dopo la prima crisi petrolifera del 1973. La questione è se questo sia la conseguenza di differenti atteggiamenti politici in Europa e in America o se entrano in gioco altri fattori.
II. L’atteggiamento politico
Politica fiscale: deficit e debiti
Mentre il rapporto del deficit sul pil non può essere interpretato come un indicatore di stimoli fiscali, è in ogni caso interessante comparare i numeri americani con quelli europei:
– La crescita del rapporto deficit/pil negli Usa è molto più pronunciato che nell’Eurozona (12 vs. 5 punti di pil dal picco a valle) e questo avviene nonostante la recessione sia più profonda in Europa (con pil più bassi e crescita del deficit dovuti agli stabilizzatori automatici)
– L’atteggiamento espansionistico in Europa ha avuto vita breve ed è stato subito sostituito già dal 2009
– Come conseguenza la crescita nel rapporto debito/pil è maggiore negli Stati Uniti che in Europa
Politica monetaria
La prossima figura è presa in prestito da Gros et al (2011). Confronta gli acquisti di titoli da parte di Federal Reserve (blu), Bank of England (rosso) e Bce (verde) riguardo ai livelli di pil. Mentre affidarsi a un singolo indicatore per misurare le politiche monetarie potrebbe non essere del tutto appropriato, le grandezze coinvolte qui risultano più mirate:
– La misura degli interventi della Bce è circa un quinto dei quelli della Fed, circa il 4% dei pil confrontato a più del 20%
Riassumendo, anche assumendo moltiplicatori fiscali di tipo conservativo, la differenza negli atteggiamenti fiscali tra Europa e Usa (sette punti di pil dal picco alla valle) si muove in una lunga direzione verso la peggiore performance dell’Eurozona comparata agli Stati Uniti (5 punti cumulativi di crescita) anche senza considerare la meno aggressiva politica monetaria dell’Europa
III. Asimmetrie
Dietro le risposte aggregate, la crisi ha fatto aumentare le asimmetrie in Europa. Un esempio è il confronto tra Italia (rosso) e Germania (blu):
– Nel 2012 , il pil in Italia è del 6% sotto il livello del 2006, mentre il pil tedesco è l’8% sopra quello del 2006, una differenza più ampia del confronto tra America ed Europa nel complesso;
Sfortunatamente questo pattern è abbastanza generale. Dalla banca dati Fred della Fed di St. Louis ho ricavato le serie temporali dei pil degli Stati americani e ho calcolato, per ogni anno, il coefficiente di variazione. Ho fatto lo stesso per i pil dei Paesi europei (dati dall’ultimo Weo) e ho ricavato la figura qui sotto (i valori iniziali sono normalizzati a uno):
– Dal 2006 la dispersione tra i pil dei Paesi dell’Eurozona è cresciuta considerevolmente, vicino al 3%, mentre quella tra i Paesi americani si è abbassata dell’1%
Ci sono diverse possibili spiegazioni per questo:
– Shock asimmetrici: al contrario degli Usa, i Paesi dell’Eurozona sono stati colpiti da diversi shock (il boom del credito e la crisi bancaria in Irlanda e Spagna, la crescita della produttività in Italia e Portogallo, gli squilibri fiscali e monetari in Grecia)
– Risposte politiche asimmetriche: al contrario degli Usa, nell’Eurozona abbiamo avuto strette fiscali nei Paesi che soffrivano per gli shock più gravi
– Istituzioni diverse: al contrario degli Usa, i Paesi europei hanno isolato il mercato del lavoro con gradi differenti di protezioni occupazionali e differenti sistemi di contrattazione salariale, differenti sistemi bancari e fiscali e questo ha avuto conseguenze diverse sulle risposte delle diverse economie
IV. Implicazioni
Questi recenti sviluppi in Europa hanno aggravato i peccati originali dell’Euro, che si chiamano:
– Mancanza di una mobilità lavorativa internazionale che ha guidato a una disoccupazione persistente
– Mancanza di flessibilità salariale e dei prezzi in molti Paesi europei
– Mancanza di un budget centrale europeo che garantisca uno schema di sicurezza (un dollaro in meno di ricavi in Texas innesca 40 centesimi di trasferimenti extra dalla Fed, un euro in meno in Spagna provoca un trasferimento di meno di un centesimo da Bruxelles)
Questo suggerisce che
– Il sistema rinforzato di prestiti in Europa, introdotto per contenere rischi morali e per prevenire la monetizzazione del debito, ha solo causato un impatto recessivo sull’Eurozona: il sistema manca di ogni modalità per affrontare gli shock asimmetrici che si sono verificati nei vari Paesi. Questo è quello che rende l’euro non sostenibile. Ed è difficile immaginare che il grado di integrazione nel mercato del lavoro europeo possa avvicinarsi a quello americano;
– Ogni forma di unione politica senza trasferimenti non aiuta. Il problema è che l’ammontare richiesto è politicamente irrealizzabile;
– Al contrario dell’unione bancaria, il fondo Esm o peggio gli Eurobond, aiutano solo a contenere i sintomi ma non curano la malattia, che si sta sempre più aggravando.
Articolo originariamente pubblicato sul blog di Paolo Manasse