Roma, è un processo ma sembra un film di Hitchcock

Roma, è un processo ma sembra un film di Hitchcock

Un processo apparentemente semplice, scaturito dalla scoperta di una relazione extraconiugale e culminante in un’operazione mirata a incastrare un marito tradito e vendicativo, grazie all’intervento doloso e illegale di due appartenenti alla Polizia. Così si presenta agli occhi dell’osservatore la lunga vicenda giudiziaria che vede sul banco degli imputati, con l’accusa di corruzione di pubblico ufficiale per atti contrari ai propri doveri, di calunnia e falso in atto pubblico, e di detenzione e trasporto illecito di droga, cinque uomini: Marco Spinucci, un suo dipendente e un suo amico, e due poliziotti di Roma. Teatro del dibattimento che deve comprovare la loro responsabilità per capi di accusa così gravi è la prima sezione penale collegiale del Tribunale di Roma. Ma proprio nell’ultima udienza celebrata pochi giorni fa un clamoroso colpo di scena provocato dalla deposizione del principale imputato ha quasi rovesciato l’impianto costruito dalla Procura capitolina, gettando una luce diversa e impensabile su una storia dai contorni inquietanti.

Marco Spinucci è un trentaquattrenne romano titolare di un’agenzia di pompe funebri nella località Le Rughe, situata a pochi chilometri oltre i confini di Roma nord, sulla Via Cassia che collega la metropoli alla provincia di Viterbo. Nell’autunno del 2004, frequentando un bar vicino gestito da un uomo, ne conosce la moglie, se ne invaghisce e intreccia una relazione con la donna. Un legame a causa del quale il giovane, che vive in casa dei genitori, mette in crisi il suo imminente matrimonio. E che tuttavia prosegue indisturbato fino a quando viene scoperto dal marito di lei. Il quale reagisce duramente e comincia a tempestare Spinucci e i suoi genitori di telefonate e messaggi minacciosi, a ogni ora del giorno e della notte, appostandosi continuamente di fronte alla sua agenzia e arrivando a brandire nei suoi confronti una pistola finta. Gli intima in maniera violenta di interrompere immediatamente ogni rapporto con la consorte, se non vuole subire gravi conseguenze per sé, la sua famiglia, il proprio lavoro. Poi gli offre la possibilità di mettere tutto a tacere e di concludere l’intera vicenda in cambio di 30mila euro. Contemporaneamente anche l’atteggiamento della donna è cambiato: adesso si mostra ostile, distante, fredda, intenzionata a porre fine al loro legame e a tornare con il marito.

Nel giovane, che vive in uno stato di terrore permanente, si fa strada la convinzione di essere stato incastrato in un gioco feroce destinato a distruggerlo. E così si rivolge ai carabinieri della vicina stazione di Formello raccontando le minacce e le intimidazioni sofferte, e invocando il loro repentino intervento per fermare il suo persecutore. Ma ogni volta che questi si presenta al suo negozio l’arrivo dei militari si rivela tardivo e inutile. Spinto dalla necessità di superare l’incubo che sta vivendo e di liberarsi una volta per tutte dal ricatto avanzato dal suo “rivale”, Marco chiede aiuto a un suo amico, che riesce a metterlo in contatto con due agenti di Polizia di sua conoscenza. Al titolare delle pompe funebri essi assicurano il pieno impegno per una definitiva risoluzione del problema. I primi risultati della nuova strategia sembrano essere efficaci: le chiamate dell’uomo si diradano sempre di più, e si risolvono in poche telefonate anonime subito interrotte. Anche le sue “visite” nell’agenzia si riducono notevolmente e un minimo di serenità appare recuperata, anche se la presenza dell’uomo è continuamente incombente e la paura non è allontanata. Nel frattempo sua moglie riprende a cercare il giovane amante, vuole rivederlo ad ogni costo, gli comunica che “il suo compagno è un violento, un tossicomane che la picchia ripetutamente”, e che lei vuole lasciarlo. Ma questa volta Marco non cede alle pressioni sempre più insistenti della donna, che vorrebbe denunciare per il loro carattere ossessivo. 

Un singolare mutamento quello di lei, accompagnato da parole inequivocabili, che sembrano essere il preludio dell’episodio nevralgico al centro del quale ruota l’intera vicenda processuale. È l’8 ottobre del 2005 e il marito di lei ha dato appuntamento a Spinucci nel piazzale antistante il supermercato Pam sulla Via Formellese, a poca distanza dai rispettivi esercizi commerciali. Marco è in macchina ad aspettare. Per motivi di sicurezza e di cautela ha voluto farsi accompagnare da un suo dipendente, che in quel periodo ha intrecciato una storia con la figlia del titolare del bar. E proprio la ragazza si trova in compagnia del padre mentre entrano nel parcheggio di fronte al supermarket. Ad un tratto giunge nell’area una volante della Polizia, condotta proprio dai due agenti allertati da Spinucci, che si avvicina all’autovettura e avvia una perquisizione, giustificata come attività di prevenzione di possibili rapine nella zona. Nel veicolo, all’interno del vano porta-oggetti vicino allo sportello destro, vengono trovati cinque involucri contenenti 3,4 grammi di cocaina, di poco eccedenti la soglia del possesso personale. L’uomo è sorpreso e non sa spiegare il motivo della presenza della droga. Quindi subisce una denuncia a piede libero per detenzione illecita di sostanze stupefacenti e il mezzo è sottoposto a sequestro. Al momento della redazione del verbale né lui né la figlia contestano la dinamica e i risultati dell’operazione compiuta dagli agenti, e la storia sembra finire così. Ma quattro mesi più tardi, il 13 febbraio del 2006, la sesta sezione della Squadra mobile di Roma riceve da padre e figlia una denuncia dettagliata, seguita all’inizio di marzo da un analogo esposto della moglie. A loro giudizio l’iniziativa realizzata l’8 ottobre dell’anno precedente è l’apice di una macchinazione concepita dal titolare delle pompe funebri per incastrare e neutralizzare sul piano giudiziario il suo rivale sentimentale.

Le bustine di cocaina sarebbero state inserite nella macchina proprio dagli agenti complici del giovane. Accuse gravissime a carico di Spinucci e soprattutto nei confronti degli appartenenti delle forze dell’ordine, che vengono subito vagliate dall’assistente della Mobile M. P. Il quale avvia una serie di accertamenti investigativi che sfociano in una perquisizione a tappeto, da parte dei suoi agenti, nell’abitazione dei genitori del giovane. Al termine della quale il suo telefono portatile viene sequestrato e lui è sottoposto a un lungo interrogatorio. Le risultanze delle indagini vengono allora trasmesse alla Procura di Roma e al magistrato Stefano Fava, che decide di chiedere un’incriminazione durissima nei confronti del ragazzo e dei suoi presunti complici. 

Gli inquirenti, sulla base del lavoro compiuto dagli investigatori, sono convinti che nei tabulati telefonici dell’utenza intestata a Spinucci siano individuabili le tracce delle numerose conversazioni tra il giovane e i due agenti e solidi indizi per ipotizzare l’organizzazione del complotto ai danni del rivale. Un piano diabolico che a loro avviso sarebbe comprovato dal pagamento della somma di 1.500 euro dall’uomo ai poliziotti grazie all’intermediazione del suo amico, il conoscente dei due agenti. In altre parole, Marco avrebbe versato un assegno all’amico che poi l’avrebbe cambiato in contanti consegnati direttamente ai poliziotti. Si configurerebbe un reato infamante soprattutto per le persone in divisa: la corruzione di pubblici ufficiali affinché compiano atti contrari ai propri doveri. Funzionari chiamati a rispondere anche delle accuse di detenzione e trasporto non autorizzato di stupefacenti e di falso in atto pubblico, per aver redatto un verbale menzognero nei confronti del titolare del bar e della figlia. Ultimo capo di imputazione, che coinvolge il titolare dell’agenzia, il suo dipendente, e i due poliziotti, è quello di calunnia per avere simulato un crimine inesistente e molto grave a carico del gestore del bar. 

Le richieste del pubblico ministero, i cui presupposti vengono fermamente negati da tutti gli accusati, sono state accolte dal giudice per l’udienza preliminare e il processo è iniziato alla fine di maggio del 2007. Una vicenda travagliata che ha visto continue interruzioni e ostacoli, oltre al cambiamento del rappresentante dell’accusa, ruolo attualmente ricoperto da Elisabetta Ceniccola. E che forse ha conosciuto il suo punto di svolta il 7 dicembre, quando nel corso della sua deposizione Marco Spinucci ha per la prima volta rivelato tutti i dettagli dell’incubo vissuto a causa di una relazione sentimentale improvvisa, burrascosa e ossessiva. Ricostruzione che ha rovesciato clamorosamente l’impianto investigativo alla base delle accuse, suscitando stupore e dubbi nello stesso pm. La quale è ora in attesa di ricevere da Piergiorgio Manca, avvocato difensore del principale imputato, elementi e riscontri probatori in grado di scagionare il proprio assistito e cambiare radicalmente la direzione di una vicenda che in ogni caso presenta una macchia vergognosa sull’onore e la rispettabilità delle forze dell’ordine. Se prevarranno le ragioni dell’accusa, infatti, vi sono due poliziotti responsabili di avere falsificato prove per calunniare e incastrare un uomo, e per aver ottenuto denaro in cambio della simulazione di un reato. Se invece la difesa riuscirà a capovolgere i contenuti del processo, allora un gruppo di agenti della Squadra mobile della Capitale si è reso artefice di un’indagine superficiale, sommaria, e persecutoria da ogni punto di vista.