Roma tornò al Papa e l’Italia ricominciò a crescere

Roma tornò al Papa e l’Italia ricominciò a crescere

Anche quest’anno il paese è cresciuto, come nelle due tornate precedenti. E le proporzioni (4,8 % del PIL) lo propongono alla testa della carovana positiva del Continente e in vantaggio rispetto ai Paesi storicamente più virtuosi. Tutti gli indicatori economici segnalano un progresso (dalla produzione all’aumento dell’occupazione soprattutto dei giovani e delle donne): ma anche gli elementi sociali che misurano la qualità della vita (dalla riduzione dell’inquinamento alla tutela ambientale ai servizi per l’infanzia fino al controllo della spesa sanitaria) ci stanno facendo scalare rapidamente le classifiche internazionali.

La novità più recente è però quella demografica: infatti, per la prima volta da almeno quattro generazioni, nascono in Italia più bambini rispetto al numero dei morti e sono figli della popolazione originaria e non soltanto degli immigrati che avevano sin qui contribuito a mantenere il saldo positivo. Segno di una fiducia verso il futuro finalmente sorretta da una società che appare comunemente indirizzata verso l’avvenire, dopo essersi liberata più facilmente di quanto si fosse ritenuto dei vincoli storici che l’avevano a lungo penalizzata.

Il cambiamento vertiginoso verificatosi in meno di un lustro ha sorpreso tutti gli osservatori internazionali che si vanno interrogando da tempo sul mistero indecifrabile di questa improvvisa e inattesa “meraviglia italiana” e continuano a scavare nella storia recente alla ricerca del fattore decisivo, del “quod” (ed eventualmente del “quid”) che ha mutato l’intera fisionomia del Paese.

L’enigma interpretativo è tutt’ora aperto: ma pare ormai verosimile che il momento di svolta vada cercato in quel passaggio che già gli studiosi individuano nel “rientro da Porta Pia”. Quando cioè l’intera dirigenza italiana (istituzionale, statuale e politica), oppressa dal macigno sempre più grande del debito pubblico e ormai impossibilitata ad aumentare ancora la pressione fiscale giunta al record mondiale di quasi il 60 % del reddito, decise unanimemente e in spirito bipartisan di varcare il Tevere.

Non si era ancora arrivati a celebrare il centocinquantesimo anniversario di “Roma capitale”: e tuttavia la linea espressa nell’udienza pontificia da tutte le massime cariche dello Stato era stata esplicita e condivisa. “Santità – era stata l’invocazione – Si riprenda Roma, è un lusso che l’Italia non si può proprio permettere. D’altra parte ci siamo convinti che hanno sbagliato i nostri progenitori, con una illegittima conquista militare, e così possiamo finalmente riparare a quel lontano atto di violenza…”.

La proposta del tutto inaspettata aveva provocato non poco imbarazzo nel Pontefice, Melchiade II, il quarto papa africano (ma il primo “abbronzato”) salito da poco al soglio di Pietro e che si richiamava nel nome al lontano conterraneo vissuto all’epoca di Costantino e primo beneficiario dell’Editto di Milano dell’anno 313. Certo la Chiesa aveva rinunciato da tempo al potere temporale e tuttavia al Papa era sfuggito il brillìo negli occhi dei più alti esponenti della Curia vaticana, attirati dal ritorno inatteso di un potere esplicito e non più soltanto “mediato”. E così Melchiade II, anche per umana comprensione, si era inopinatamente arreso alla richiesta pressante dei suoi angosciati interlocutori.

Per Roma in realtà poi era cambiato poco, per l’Italia invece molto. Sotto le insegne pontificie la Città Eterna era ritornata al suo tran-tran di accoglienza e servizio a turisti e pellegrini, con traffico ridotto e maggiore agio alla sua storica vocazione, sgravata com’era stata dal carico umano e dalla concentrazione amministrativa di uno Stato intero. E il governo della città era stato affidato allo SMOM (il Sovrano Militare Ordine di Malta) e alla cura manageriale dei Cavalieri di Colombo (quegli italo-americani che per diverse generazioni avevano fatto fortuna oltre Oceano). Come per il Quirinale, antica residenza dei Papi, aperto ai turisti con il trasloco dei Musei Vaticani, e tante altre iniziative di “ottimizzazione” di un patrimonio artistico-culturale che non ha avuto e non ha uguali al mondo…

L’Italia, invece, si era trovata costretta a “spalmare” rapidamente la sua capitale sull’intero territorio. Così obbligata ad una selezione spietata del sovraccarico normativo sedimentatosi , per strati geologici successivi, nel corso dei decenni. Ad esempio la semplificazione ineludibile portava, “obtorto collo”, a far respirare le imprese (medie e piccole in particolare) passate all’improvviso a 38 adempimenti l’anno verso lo Stato contro i 320 precedenti… E nell’inedita emergenza toccava agli innumerevoli uffici e organismi pubblici “inventarsi” una ragione plausibile della propria sopravvivenza , al punto da coprire ed esercitare funzioni sociali fino ad allora rimaste di fatto abbandonate.

In particolare per le magistrature centrali e amministrative sempre meno rinchiuse nel giuridicismo interpretativo da Azzeccagarbugli e piuttosto impegnate a svolgere un diverso ruolo “creativo”. Come i principali esponenti del Consiglio di Stato che, tra le loro nuove sedi di Nardò e Lampedusa, avevano organizzato con sapienza ed efficacia l’imbarco di migliaia di burocrati verso l’altra sponda del Mediterraneo dove, secondo i nuovi accordi di cooperazione internazionale, erano destinati a costituire l’ossatura di un moderno regime amministrativo nei Paesi usciti dalle convulsioni della “primavera araba”.

Oppure nella convivenza necessariamente fruttuosa con le amministrazioni locali, divenute meno succubi e più protagoniste rispetto a quelle statali e stimolate ad una concorrenza efficiente nella gara del servizio ai cittadini. Un esempio per tutti: privo di una sede centrale, il ministero della Pubblica Istruzione aveva perduto il record mondiale (un tempo diviso con l’esercito degli Stati Uniti) del numero di dipendenti pubblici superiore al milione. Lasciando per forza di cose alle regioni la gestione del personale, aveva trovato nuova linfa nello svolgere dal sito di Pescara le più agili funzioni unitarie di indirizzo e di controllo…

D’altronde l’immateriale reticolato della comunicazione digitale e della relativa interlocuzione tra gli enti pubblici aveva dimostrato sul campo l’assurdità della concentrazione fisica in un solo luogo, sciogliendo almeno parzialmente la piaga della corruzione endemica fino a prima covata e alimentata nel nido accogliente della pachidermica pubblica amministrazione.

Ma, al di là della dieta forzata alla macchina statale, l’Italia, orbata
di Roma, si era riscoperta quasi naturalmente più moderna e più “laica”. Senza mettere in discussione il ruolo della religione nel discorso pubblico, aveva tuttavia costruito con concreta serenità un regime di maggior trasparenza dei rapporti con tutte le confessioni, inventandosi una forma di piena compatibilità tra i “valori non negoziabili” cari alla Chiesa e quei nuovi “diritti civili” già affermati negli altri Paesi dell’Occidente.

Come se l’introduzione dei confini e la diversità territoriale finisse alla lunga per sancire una separazione leale e sciogliesse il groviglio di interessi opachi e quella realtà di relazioni incestuose dalle venature affaristiche che tanto male avevano fatto nei decenni precedenti all’immagine della Chiesa e all’imparzialità dello Stato. In fondo qui, e proprio in Italia, si consumava così la la vittoria postuma della ribellione di Martin Lutero e della sua invettiva “Los von Rom” (e cioè “via da Roma”)…

P. S. Qui sopra una cronaca plausibile all’apertura dell’anno di grazia 2023… 

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