Anna Carrieri, che ha 54 anni e vive a Taranto nei dintorni dell’Ilva, si è ammalata di mielite (sindrome del sistema nervoso centrale che provoca un danno al midollo spinale) ed è rimasta paralizzata. Sebbene non sia facile stabilire una correlazione certa tra la malattia della signora e l’inquinamento prodotto dall’Ilva, la signora Anna ha potuto provare che nei suoi capelli, quindi nel suo organismo, si trova una quantità elevata di metalli pesanti assunti per inalazione. La diagnosi è di un centro specializzato di Chicago cui ha inviato un campione dei suoi capelli. Anche se non è scientificamente accertata la fonte di contaminazione, è molto probabile che anche gli altri residenti dei quartieri limitrofi all’Ilva abbiano nel loro organismo quantità elevate di metalli pesanti.
A Taranto, circa 300 pecore e capre sono state prelevate dai veterinari dell’Asl e portate al macello per essere abbattute. Sono state contaminate da diossina e Pcb (Policlorobifenili) nei pascoli attorno all’area industriale della città (due greggi di Statte e Monteiasi) e l’Istituto zooprofilattico di Teramo ha certificato il superamento dei valori di legge. La contaminazione delle pecore avviene attraverso l’erba che brucano, ma le diossine, che si depositano preferibilmente nelle sostanze grasse, passano nel latte e nel formaggio che arriva sulla nostra tavola. Questo significa che anche uomini e donne, come le pecore, possono essere contaminati da diossine e Pcb, senza che sia necessario abitare a Taranto o nei dintorni.
In concomitanza con la partenza del processo che vede imputati 13 dirigenti Enel della centrale Federico II di Brindisi per getto di cose pericoloso, danneggiamento delle colture e insudiciamento delle abitazioni (processo già rinviato al 7 gennaio prossimo), Greenpeace ha tappezzato la città pugliese di manifesti: «Le centrali a carbone della tua città hanno nuovi filtri. I polmoni di…». La foto, il nome e l’età del bambino completano la frase. «Con questa campagna intendiamo richiamare l’attenzione su un dato che non deve essere mai dimenticato – spiega Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia – gli impatti sanitari delle centrali a carbone di Brindisi, come quelli di qualsiasi impianto alimentato con la stessa fonte, sono enormi; e la popolazione più esposta a quei mali sono i bambini, spesso colpiti dagli inquinanti ancor prima di nascere».
La campagna è supportata da dati scientifici contenuti in un comunicato dell’associazione: «In riferimento alla popolazione di Brindisi, uno studio del 2011 realizzato dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Lecce e di Pisa con l’Unità operativa di Neonatologia dell’ospedale Perrino di Brindisi, la Asl di Brindisi e l’Università di Pisa segnala un eccesso nelle patologie neonatali riscontrate nel capoluogo pugliese del 18 per cento rispetto alla media europea, con uno scarto che raggiunge quasi il 68 per cento in riferimento alle patologie congenite cardiovascolari».
E “Se fossi una pecora verrei abbattuta?”. La domanda è stata posta da una signora nel 2008 quando ad Acerra (Napoli) furono analizzate le pecore cresciute accanto a una fabbrica chimica dismessa. Ora questa domanda è diventata il titolo di un libro (Liliana Cori, Scienzaexpress, 2011) in cui un immaginario filo rosso lega luoghi, inquinamenti, inquinanti, ambiente, animali e… persone. «Era l’inizio del 2008 e cinque persone si erano fatte fare le analisi, scoprendo di avere nel sangue, oltre ai soliti globuli rossi, bianchi, piastrine, un po’ di sostanze strane: diossine, metalli, solventi», si legge. Liliana Cori, antropologa e autrice del libro, esperta di comunicazione ambientale e ricercatrice all’Istituto di Fisiologia clinica del Cnr, parte dalle storie e arriva a spiegarci cos’è «il biomonitoraggio umano che si fa in laboratorio per conoscere l’esposizione a inquinanti. Con l’esame di sangue, capelli, urine, unghie, grasso, quali sostanze estranee al nostro corpo si trovano, come si fa a calcolarle, cosa significa tutto ciò?».
L’analisi del capello che la Signora Carrieri di Taranto ha fatto fare a Chicago rimanda a programmi di biomonitoraggio umano avviati negli Stati Uniti a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, e che hanno attraversato diverse fasi: dai pesticidi (agricoltura) al piombo (benzina automobili) alla cotonina (fumo di sigaretta), per arrivare via via alle duecentododici diverse sostanze attualmente monitorate. Ma, avverte la Cori, «si fanno studi in laboratorio e si comprende la tossicità per l’uomo di tutta una serie di prodotti chimici, ma poi non sappiamo qual è il loro effetto nel nostro corpo; se c’è qualche effetto di quell’insieme particolare e sempre diverso di prodotti chimici estranei che si trovano nei tessuti quando vengono analizzati; se c’è una dose soglia che funzioni come limite che non va oltrepassato». Qui si apre la riflessione sulla necessità di una discussione pubblica che stabilisca se e «come orientare la ricerca di produzioni alternative meno inquinanti». Continuare a investire principalmente nella realizzazione di nuovi farmaci per la cura? Prevenzione primaria o cura della malattia?
Ma le “storie” di contaminazione non riguardano solo Brindisi, Taranto o la Campania. Le storie che racconta l’antropologa del Cnr sono quelle di Gela, in Sicilia, della Valle del Sacco nel Lazio, di Brescia in Lombardia. Un’infinitesima parte dei 12.600 siti inquinanti di vario tipo accertati in Italia, sparsi in 1.350 comuni che coprono una superficie pari al 3% di quella complessiva del Paese. Come dire l’Umbria. Per non parlare dei “soli 57” siti catalogati come Siti di interesse nazionale (Sin) per le bonifiche, di cui “solo 44” analizzati nell’ambito dello studio S.e.n.t.i.e.r.i., di cui “solo uno”, Taranto, dispone di dati aggiornati.