Viva la FifaSe Inter e Napoli continuano così, la Juve può già considerare vinto il campionato

Se Inter e Napoli continuano così, la Juve può già considerare vinto il campionato

Quando una buona squadra incontra una squadra che gioca con Pirlo, per la buona squadra rischia di essere una cattiva domenica. Eppure, contro la Juventus, Colantuono ci ha provato. Abbandonando il classico 4-4-1-1 che prevede lo sviluppo del gioco sulle fasce con la rapidità di Maxi Moralez, innanzitutto: il 3-5-2 bianconero non avrebbe permesso ai bergamaschi di allargarsi come al solito. E così spazio al 3-4-1-2, con Bonaventura che prima del match riceve l’ingrato compito di marcare a uomo Pirlo. Nulla da fare. Dopo nemmeno 30 minuti la Juve è, allo stesso tempo, avanti 3 gol e ormai campione d’inverno. Una prestazione da spellarsi le mani dagli applausi, quella dei bianconeri, che hanno vinto la partita proprio lì dove Colantuono voleva bloccarla, al centro: zona dove la Juve ha distribuito il 48% del gioco e prodotto il 70% totale degli attacchi. Le armi in più dei bianconeri sono sotto gli occhi di tutti: voglia di mettere all’angolo l’avversario fin da subito, gioco variegato grazie a Pirlo e agli inserimenti di un Marchisio tornato ai suoi livelli, ritrovata freschezza atletica dopo le fatiche di Champions, Antonio Conte. Già, il ritorno in panchina del tecnico è un vero e proprio balsamo per i giocatori: l’abilità di Conte è stata quella di fare squadra e di porsi come leader, da seguire alla cieca. Le sue urla e i suoi incitamenti da bordo campo fanno il resto. Inoltre, nonostante la caccia a Drogba (che sarebbe fondamentale per l’Europa), la Juve supplisce ancora una volta alla mancanza del top player in attacco grazie a un gioco collettivo che prima o poi manda in gol qualcuno, anche uno come Vucinic (a patto che sia in giornata di grazia) che quest’anno allo Juventus Stadium aveva segnato una volta sola. Insomma, la Vecchia Signora è diventata pure cinica. Oltre che ermetica: le proiezioni parlano di 22 gol presi a fine stagione, roba da Milan di Capello.

Detta così, potremmo anche smettere di seguire la serie A. Perché mentre la Juve vola, le inseguitrici si divertono a rialzarsi e cadere a loro piacimento. Il momento più basso del campionato juventino (1-3 in casa con l’Inter) è coinciso con quello della rinascita. Per i nerazzurri è stato il contrario. Da lì in poi, qualcosa si è inceppato e sono mancate soprattutto due cose: continuità e identità, dove la seconda è causa inevitabile della prima. Proprio allo Juventus Stadium Stramaccioni pareva aver trovato la quadratura. E invece gli esperimenti continuano, anche per le assenze. Contro la Lazio il tecnico romano ha confermato l’abbandono del tridente (Palacio fuori) e messo Nagatomo a destra per dare spazio a Pereira a sinistra. Nel primo tempo, l’unica ombra di gioco è stata la seguente: Cassano prende palla sulla tre quarti e prova a lanciare in profondità Nagatomo (che non la prende). E basta. Altro che numeri e analisi tattiche: questa è la prova offerta dai nerazzurri. Nella ripresa ci sarà stata anche sfortuna, ma l’Inter non può pretendere di contrastare e affidarsi a qualcuno là davanti senza un serio costruttore di gioco. Se giochi così, devi sperare nel cinismo, cosa che non sempre funziona (vedi alla voce due pali colpiti). E uno come Guarin, paradossalmente, rischia di diventare un problema: i suoi continui inserimenti sono una manna, ma rischiano di lasciare il centrocampo sguarnito al centro se dovesse perdere la palla: quel compito toccherebbe invece a uno come Sneijder, ma stiamo citando un nome a caso.

Se l’Inter piange, il Napoli non ride. Ma grossi meriti vanno al Bologna e a Pioli, abile a mettere in campo dietro Gilardino due come Gabbiadini e Diamanti abili a inserirsi tra le linee e mandare in confusione i reparti partenopei (vedi il primo gol di ieri sera). Ai padroni di casa non è bastato il 60% di possesso palla per fare sua una partita che da una parte il Bologna ha amministrato ottimamente dal punto di vista tattico, ma che dall’altra ha mostrato ancora il grande limite del Napoli, ovvero il cinismo in zona gol. Eppure Mazzarri aveva letto bene la svolta nella ripresa, con il passaggio al 4-3-3 e Hamsik fra le linee. Ma forse non è un caso che Pioli, contro il tecnico toscano, in serie A non ha mai perso. E forse, non era nemmeno prevedibile un golazo come quello di Kone.

E poi ci sono Roma e Fiorentina, che non fanno altro che confermare i propri trend. Da una parte i giallorossi, che sembrano lanciati ma poi sul più bello cadono. Ieri contro il Chievo ci sono messi di mezzo pure l’arbitro e la nebbia, oltre che un Chievo che ha totalizzato 10 punti in 4 gare. Zeman, dopo la Coppa Italia, ha optato per il turn over lasciando Destro in panchina e scegliendo di mettere in campo il doppio regista (Totti-Pjanic) dietro Osvaldo. I tre là davanti sono i catalizzatori del gioco e la Roma per forza di cose fa la partita: con tre tocchi al massimo la palla è già in zona-gol. Gli ospiti dominano: 61% di possesso, 79% di vantaggio territoriale, 37 cross (a 17), 503 passaggi a 311. Poi però arriva un filtrante per Pellissier che sorprende la difesa giallorossa. Insomma, è la solita Roma. Così come lo è la Fiorentina, che proprio dopo il crollo contro Zeman si riprende facendo suo il derby contro il Siena. Una partita senza storia. Il ritorno di Pizarro è come quello di Conte per la Juve: ne beneficia un’intera formazione. Cosmi ha provato a sorprendere Montella giocando con due punte e rinunciando a difendersi a oltranza. Un vero e proprio autogol: dopo metà primo tempo i viola sono avanti 2-0. Si sa, le grandi squadre si riconoscono dal centrocampo e quello della Fiorentina è di tutto rispetto: Aquilani, Pizarro, Borja Valero con in più Pasqual che contro Angelo fa quello che vuole. Risultato: 62% di possesso palla a 38%, 60% di vantaggio territoriale, 588 passaggi a 349 (di cui l’87% riusciti) , 4 gol e la doppietta di un Toni che sta ritrovando smalto e condizione.
 

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