Passano solo pochi minuti da quando le agenzie battono la notizia e la scomparsa di Rita Levi Montalcini diventa l’argomento di cui tutti parlano sui social network. Tanto è l’affetto e il peso specifico della scienziata premio Nobel e senatrice a vita che tutti sentono l’esigenza di pagare un tributo a una personalità tra le più luminose dell’ultimo secolo: ricordando un episodio privato, un’occasione pubblica o citando una sua frase famosa.
Se n’è andata una domenica pomeriggio di fine 2012, a 103 anni, con un’ambulanza che è arrivata inutilmente alla sua casa romana. Se n’è andata “come si spegne un faro”, commenta la nipote Piera, “senza soffrire”. Come si fosse semplicemente spenta dopo una vita di lavoro e impegno indefessi. Scompare nello stesso anno di Renato Dulbecco, quel medico di una decina d’anni più giovane che incontra sulla nave che portava negli Stati Uniti. Era il 1947, la Seconda Guerra alle spalle e l’America la terra delle opportunità per la scienza. Arriva alla Washinghton University di Sant Louis per ricoprirvi la cattedra di Neurobiologia. Doveva essere una permanenza breve, ma si prolungherà fino al 1977.
Già nei primi anni Cinquanta compie gli esperimenti fondamentali che le aprono la strada verso Stoccolma. Rita Levi Montalcini scopre che c’è una sostanza chimica che è responsabile della crescita delle cellule nervose. Si tratta di una proteina e viene chiamata fattore di crescita nervoso (o NGF, Nervous Growth Factor, in inglese) che ha il ruolo di indirizzare la costruzione delle nuove cellule nervose, indicando come si devono differenziare e specializzare. Nella motivazione con la quale nel 1986 le viene conferito il Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina si legge che “La scoperta del NGF all’inizio degli anni Cinquanta è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell’organismo”. Gli studi trentennali sull’NGF e il Premio Nobel, condiviso con l’americano Stanley Cohen, sono un pilastro della neurobiologia moderna, perché hanno aperto la strada alla scoperta di molti altri fattori di crescita coinvolti nello sviluppo dei tumori e perché la loro comprensione potrebbe aiutare in futuro a curare malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson.
Di sé diceva che non era particolarmente intelligente, ma che tutti i suoi traguardi li aveva raggiunti grazie alla tenacia. Un’umiltà e una semplicità che non ha perso nemmeno quando il 10 dicembre dell’86 il Re di Svezia le consegna il Nobel: nel suo vestito nero con lo strascico gli sorride e piega la testa di lato come a schernirsi. Oppure quando nel 2007, da senatrice a vita decide di votare la Finanziaria indispensabile per mantenere in vita il governo Prodi. L’opposizione l’attacca, con esponenti della Lega che contestano i finanziamenti allo European Brain Reserch Institute da lei diretto e Storace che si offre di portarle le stampelle a casa. Lei non si scompone (“Le sue stampelle ricordano il regime”) e tira dritto come ha sempre fatto in vita sua.
La prima volta è stato quando si è opposta al padre che non voleva che si iscrivesse all’università, convinto che per una donna una carriera avrebbe significato una distrazione da quelli che nella sua visione del mondo dovevano essere i doveri di una moglie. E ha tirato dritto anche dopo che il Manifesto per la Difesa della Razza e le leggi razziali promulgate dal governo fascista, allontanavano dal’insegnamento e dalla ricerca tutti coloro che come lei, figlia di una famiglia ebrea sefardita, non erano ariani. Dopo un periodo di esilio a Bruxelles, terminato bruscamente con l’invasione nazista del Belgio nel 1940, Rita Levi Montalcini torna nella sua Torino e allestisce un piccolo laboratorio nella sua camera da letto per poter continuare le proprie ricerche, un laboratorio che nemmeno un anno dopo ricostruisce in campagna quando rimanere in città non era più sicuro.
Lavoratrice instancabile, di un’intelligenza rigorosa, Rita Levi Montalcini non ha mai rinunciato a prendersi carico in prima persona di un impegno che non si è limitato allo sviluppo e alla crescita della scienza in Italia e nel mondo, comunque testimoniato dalla lunga lista di opere di divulgazione. Con la sua fondazione, la Rita Levi Montalcini onlus, ha distribuito migliaia di borse di studio a ragazzi italiani. Ma uno spazio particolare lo ha sempre occupato il ruolo della donna, troppo spesso costretta ad allontanarsi dalla ricerca e dall’università per una società che non è ancora davvero accogliente per le donne. A questo riguardo, in uno dei suoi ultimi libri, ha scritto che “il futuro del pianeta dipende dalla possibilità di dare a tutte le donne l’accesso all’istruzione e alla leadership. È alle donne, infatti, che spetta il compito più arduo, ma più costruttivo, di inventare e gestire la pace”.