Portineria MilanoSilvio tenta Maroni. Ma la Lega non doveva lasciare Roma?

Silvio tenta Maroni. Ma la Lega non doveva lasciare Roma?

Quando Roberto Maroni si presenta al consiglio federale della Lega Nord le agenzie di stampa hanno già raccontato del suo incontro ad Arcore con Silvio Berlusconi. I lanci sono chiari: si va verso un accordo tra Pdl e Carroccio in Lombardia e a livello nazionale. Nelle stanze di via Bellerio l’umore non è dei migliori. I colonnelli «rottamatori», anti berlusconiani di ferro, non la prendono bene. E per tre ore mettono sotto torchio il segretario federale che prima fa saltare la conferenza stampa (dove si doveva fare il punto sulle alleanze in regione ndr) e poi rimanda tutto a venerdì prossimo, quando si vedrà di nuovo con il Cavaliere: c’è ancora una settimana per lavorare sugli accordi elettorali.

Bobo la giustifica così ai suoi: «Lasciatemi fare, farò il bene della Lega, non il mio, abbiate fiducia e non interferite in queste fasi delicatissime». Anche per questo motivo, al termine del consiglio, viene firmato un documento dove Maroni viene incaricato di gestire le alleanze con ampio mandato e a sua discrezione. I più arrabbiati, però, sono i veneti, che per voce del sindaco di Verona Flavio Tosi lanciano l’unica (al momento) exit strategy: «Se ci sarà l’alleanza in Lombardia con il Pdl, se Berlusconi deve essere, allora non candiamoci a Roma come avevamo promesso».

In sostanza la Lega prende tempo. Ma appare in grande difficoltà. Il vertice di Arcore tra Maroni e Berlusconi conferma che il dialogo tra i due non si è mai interrotto. E che l’ex presidente del Consiglio conta di annoverare anche i leghisti nella coalizione «spacchettata» che va a poco a poco formandosi in vista delle elezioni politiche. In via Bellerio sono convinti che Mario Monti alla fine non si candiderà proprio perché lo chiede Berlusconi. Per questo motivo il Carroccio si trova al solito a un bivio. O provare la corsa in solitaria in Lombardia, con scarse possibilità di vittoria contro Umberto Ambrosoli e Gabriele Albertini, oppure tentare un’alleanza con il Pdl a livello regionale camuffando quella nazionale: l’election day e la politica dei due forni alla vecchia maniera Dc non lasciano molto spazio di azione.

Gli spazi, però, sono stretti. Molto stretti. Troppe sono le variabili sul tavolo. Maroni ha apprezzato l’apertura del Cavaliere sull’abolizione dell’Imu, ma non è bastato ai colonnelli leghisti per convincersi di un’allenza che anche secondo i sondaggi viene data per perdente. Non a caso è Tosi da qualche giorno a mettere sempre più paletti alle alleanze con il Pdl. C’è uno stop persino sulla candidatura a premier di Angelino Alfano che proprio Maroni aveva rilanciato sabato scorso. «E’ un Silvio ringiovanito» ha detto invece il primo cittadino di Verona. Insomma, sulla decisione finale pendono troppi interrogativi.

Ma la sabbia nella clessidra incomincia a esaurirsi. Molto dipenderà da quello che farà Mario Monti e di conseguenza da quello che deciderà di fare Berlusconi. L’ipotesi di «un’agenda Monti» da far firmare a chi ci sta non sembra piacere al Cavaliere che aspetterà questa settimana per capire le forze interne al Pdl o di quel che ne rimane. Di conseguenza poi toccherà a Maroni sciogliere la riserva. In queste ore Bobo avrebbe continuato a fare pressioni perché si faccia da parte, ma Silvio lo continua a ripetere: «Sono insostituibile».

Problemi su problemi. Nel frattempo la Lega ha presentato il suo nuovo simbolo. Non ci sarà più il nome di Bossi ma quello della Padania. Non solo. Dentro, insieme con il Sole delle Alpi, ci sarà anche quello delle 3L di Giulio Tremonti, l’ex ministro dell’Economia che ha da un mese lanciato il suo asse con Maroni con il nuovo partito di ex socialisti. Qualcuno tra i bossiani ha già storto il naso. Come Giacomo Chiappori, il sindaco di Diano Marina, parlmentare, che ha minacciato una (piccola) scissione se Umberto Bossi non sarà candidato il parlamento.

Ma anche su questo si inserisce la proposta di Tosi. Non candidarsi a Roma è stata un’ipotesi che proprio Maroni lanciò nei mesi scorsi. Un modo per consolidarsi come partito del Nord e lasciarsi alle spalle «le cadreghe romane» che negli ultimi anni hanno portato più problemi che successi. «Percorso difficile», spiega un leghista di peso «in assenza della Lega chi si prenderà a Roma l’onere di rappresentare il malessere delle regioni del Nord, prorpio in questa fase di crisi economica».

Non è ancora chiaro quale sarà la risposta finale. Di certo sulla partita per le politiche non si gioca solo il futuro delle alleanze di centrodestra, ma la stessa situazione interna al Carroccio. Un’eventuale alleanza con Berlusconi non farebbe che alimentare il malumore della base e della militanza. E i veneti sono sempre lì, pronti, magari, a chiedere la segreteria federale. Soprattutto se Maroni dovesse alla fine spuntarla in Lombardia.

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