Altro che virtuosismo fiscale ineccepibile. Anche la Germania deve mettersi in riga coi conti pubblici. A dirlo è la Commissione europea, che oggi ha rilasciato il suo consueto 2012 Fiscal sustainability report. È un monito quasi all’acqua di rose, quello dell’istituzione guidata da José Manuel Barroso non deve essere sottovalutato. Se non ci sarà un’inversione di tendenza, il debito pubblico tedesco non scenderà sotto quota 60%, il limite massimo stabilito dal Fiscal compact, prima del 2030. Questo significa che, volente o nolente, la Germania deve applicare le regole dell’austerity.
Non ci sono solo Grecia, Spagna o Italia a dover continuare nel processo di consolidamento fiscale. Secondo il team guidato da Per Eckefeldt, economista della Direzione generale con delega agli Affari economici e monetari della Commissione Ue, Berlino ha bisogno di rendere più sostenibile il proprio debito pubblico. Nonostante, si spieghi nel report, non ci siano problemi né nel breve né nel medio né lungo periodo, c’è il timore che un’inversione del saldo primario strutturale possa mettere a rischio i conti pubblici tedeschi.
Il debito pubblico della Germania, ricorda la Commissione Ue, è pari all’80,5% del Pil (dati 2011). Si tratta di oltre 20 punti percentuali in più rispetto a quanto è stato pattuito dal Fiscal compact, il nuovo patto fiscale europeo. Il saldo primario, per far fronte alla spesa pubblica, deve essere migliorato, in via permanente, di 1,4 punti percentuali di Pil l’anno. Traduzione: più oculatezza, ovvero più austerity. E dire che il saldo primario previsto per il 2014 è del 2,5% del Pil, in aumento rispetto all’1,8% registrato nel 2011. Un incremento significativo, ma non ancora sufficiente a permettere la sostenibilità del sistema.
La colpa è prevalentemente di una popolazione che sta diventando sempre più anziana. I costi previdenziali, rimarca la Commissione, possono diventare il massimo problema per la Germania. Fra 2010 e 2060 la spesa pubblica per il sistema previdenziale, più quello sanitario, sarà in media del 3,6% l’anno, contro una media dell’Ue del 2,9 per cento. Troppo. Del resto, come ha ricordato due giorni fa il cancelliere tedesco Angela Merkel nel corso di un’intervista al Financial Times, l’Europa dovrà ben presto fare i conti con la spesa per il welfare.
Oltre alle banche c’è di più. Come se non bastassero il deleveraging bancario globale e le tensioni sui mercati finanziari, tenute a bada dalla Banca centrale europea (Bce), l’eurozona ha un problema di Stato sociale. Già il presidente della Bce, Mario Draghi, è stato critico in passato con l’attuale modello sociale europeo. A fronte di un tasso di disoccupazione, a livello di eurozona, al massimo livello dall’introduzione dell’euro, 11,7% in novembre, per circa 18,7 milioni di persone senza lavoro, la Commissione Ue invita tutti gli Stati membri a ripensare, in modo graduale, alla propria spesa previdenziale. Un suggerimento simile a quello di Draghi di fine febbraio.
La Germania non è esente da questo processo. In altre parole, anche Berlino deve risparmiare. E lo deve fare per compensare la stagnazione economica che ci sarà nel corso del prossimo anno. Secondo la banca centrale nazionale, la Bundesbank, l’economia tedesca crescerà solo dello 0,4% nel corso del 2013, assai meno delle prime previsioni, che vedevano un’espansione economica dell’1,6 per cento. Nel 2014 ci sarà un balzo in avanti, con il Pil in aumento dell’1,9%, ma il pericolo di una revisione al ribasso è dietro l’angolo.
La Germania paga anche il suo ruolo di primo contributore netto dei due fondi europei di stabilizzazione finanziaria, lo European financial stability facility (Efsf) e lo European stability mechanism (Esm). La cifra combinata delle erogazioni per Efsf ed Esm non è irrilevante: 401,046 miliardi di euro. In merito al primo fondo, la cui potenza di fuoco è di 779,78 miliardi di euro, la Germania ha posto garanzie finanziarie per 211,046 miliardi. Riguardo al secondo, che può contare su un ammontare complessivo di 700 miliardi di euro, Berlino ha garantito per 190 miliardi e ha versato direttamente 21,66 miliardi. Per salvare Grecia, Irlanda, Portogallo e per garantire la ricapitalizzazione del sistema bancario iberico, la Germania è stata quindi la nazione che ha speso più di tutte le altre.
«Il ruolo di Berlino nella crisi dell’area euro, ovvero quello di principale salvatore delle economie meno virtuose, rischia di peggiorare i conti pubblici tedeschi da qui al 2015». È questo il monito di Société Générale. Se poi a questo quadro si aggiungono le sofferenze bancarie, circa 200 miliardi di euro, e il possibile deterioramento della domanda aggregata, i rischi aumentano. Nemmeno Berlino può dormire sonni tranquilli.