Dopo anni di tentennamenti e cambi di fronte, ammuine e infine lo spettro dei barbari alle porte (l’arrivo dell’egiziano Sawiris, respinto), Telecom Italia fa un passo avanti ufficiale ed esplicito verso la separazione della rete. Al termine del consiglio di amministrazione di oggi, la società ha deliberato «di dare mandato al management di verificare le condizioni per un’eventuale partecipazione della Cassa Depositi e Prestiti al capitale di una società da costituire per la gestione della rete d’accesso». La trattativa dovrebbe portare alla nascita di un ente distinto (anche se partecipato) da Telecom, gestito in logica di terzietà rispetto a tutti gli operatori telefonici (Telecom inclusa) e incaricato in prospettiva di realizzare il progetto di banda larga nazionale.
Prezzo e regole di governo sono i due nodi fondamentali della trattativa. Ovviamente, il gruppo presieduto da Franco Bernabè ha tutto l’interesse a massimizzare il valore della rete: 15 miliardi (patrimonio più debiti) è la cifra pretesa da Telecom, mentre la Cdp sarebbe orientata verso 8-9 miliardi. Nella determinazione del prezzo, comunque, si dovrà tenere conto del fatto che, a tendere, la rete di rame è destinata a essere rottamata e sostituita dalla fibra.
Tema ancora più scottante, comunque, è quello della governance: quali garanzie, cioè, Bernabè è disposto a concedere perché la nuova società di rete operi in modo autonomo e indipendente? Detta in modo estremo: Telecom è disposta ad accettare che la nuova società abbia un comitato di vigilanza nominato dall’Agcom, l’autorità che regola le telecomunicazioni, così come accade per esempio in Gran Bretagna? In un’intervista al quotidiano economico francese Les Echos, il presidente di Telecom Franco Bernabè ha definito «degna d’interesse» l’esperienza Openreach di British Telecom. Si tratta della divisione funzionale della rete britannica, deliberata nel 2005 e operativa dal gennaio 2006: pur rimanendo all’interno dell’ex monopolista britannico come divisione, insomma, Openreach opera in modo autonomo allo scopo di garantire parità di accesso alla rete fissa a tutte le compagnie telefoniche. L’operazione, all’epoca, comportò un investimento da 200 milioni di sterline, sotto la supervisione dell’Ofcom, il regolatore britannico del settore. Il quale non solo è riuscito in un solo anno di negoziazione a far sottoscrivere a BT ben 230 garanzie regolamentari, ma anche ad istituire un comitato di controllo sul management con poteri di veto.
La soluzione Openreach, per quanto criticata, a distanza di sei anni ha portato buoni frutti per i consumatori. Nel 2006 British Telecom aveva un fatturato di 19,5 miliardi di sterline (circa 23 miliardi di euro), utili per 2,5 miliardi (3 miliardi di euro) e un debito di 7,5 miliardi di sterline (9 miliardi di euro). Nell’ultimo trimestre (luglio-settembre) BT ha iscritto a bilancio ricavi per 4,4 miliardi, utile per 770 milioni di sterline e un margine lordo di 1,49 miliardi. Di cui Openreach ha prodotto ricavi per 1,26 miliardi con un margine lordo di 582 milioni. Ma soprattutto una settimana fa Openreach, sempre su spinta dell’Ofcom, ha ridotto le tariffe all’ingrosso per il servizio di connessione in fibra fino all’edificio (Fttp, diverso dal servizio fino alla centralina, detto Fttc, Fiber to the cabinet, ndr), da 60 a 38 sterline al mese.
E Telecom? Nel febbraio 2008 «ha varato una radicale riorganizzazione delle proprie strutture gestionali attraverso la costituzione, all’interno della Direzione Technolgy & Operations, di Open Access, una nuova funzione chiamata a gestire in una logica di efficienza, qualità e parità di trattamento tutte le attività di sviluppo e manutenzione delle infrastrutture tecnologiche di rete di accesso; i processi di fornitura dei servizi di accesso per la clientela sia di Telecom Italia sia degli altri Operatori e la relativa assistenza tecnica», si legge sul sito della compagnia telefonica. È stato poi costituito un comitato di vigilanza formato da cinque membri, designato dall’Agcom e nominato dal cda di Telecom, presieduto dal giurista Giulio Napolitano, figlio del presidente della Repubblica. Un approdo giudicato, tuttavia, insufficiente a Bruxelles. Nel 2008, infatti, un portavoce di Viviane Reding, allora eurocommissario con delega alle Telecomunicazioni, fu piuttosto esplicito: «Non la chiamerei separazione funzionale… la decisione di Telecom Italia è un primo passo che sottolinea un certo trend verso la separazione funzionale in atto in Europa».
L’Agenda digitale europea, redatta dal commissario Neelie Kroes, prevede che entro il 2020 sia garantita ai cittadini europei una connettività di almeno 30 Mbps e di 100 Mbps per almeno la metà dei mercati domestici. Obiettivi che richiedono investimenti non banali agli incumbent (termine inglese derivante dal latino [incumbere], sovrastare, che indica l’azienda dominante in un mercato).
Una ricerca della banca inglese Barclays ha evidenziato che le compagnie dominanti faticano a mantenere sotto controllo i ricavi medi per utente (Arpu). Nel caso specifico di Telecom (vedi grafico sotto), la banca inglese stima per il 2013 una flessione tra il 3 e il 4 per cento. Telecom Italia ha chiuso comunque i primi nove mesi 2012 con ricavi stabili a 22 miliardi,utili a 1,93 miliardi e debiti intorno a 30 miliardi. Nel piano industriale 2012-2014 si prevede il cablaggio di 30 città a 100 Mps entro la prima metà del prossimo anno, mentre per percorrere l’ultimo miglio nelle case di tutta Italia «l’approccio sarà selettivo». L’investimento complessivo è di 9 miliardi di euro, ma probabilmente con l’arrivo di Cdp bisognerà ridiscutere anche il piano di investimenti.
Fonte: Barclays
Il vero passaggio, nota un operatore di lungo corso del settore, non è tanto decidere di realizzare una Openreach all’italiana, tanto più che la Cdp, per bocca del presidente Franco Bassanini, si è detta disponibile a investire con una logica di lungo periodo. Ma stabilire delle regole affinché si possa davvero applicare il principio comunitario dell’equivalence of input, cioè la parità di accesso all’interno dell’infrastruttura di rete. Per farlo occorre non solo un investimento sui sistemi informativi, ma un approccio regolamentare che difficilmente un’autorità appena rinnovata come l’Agcom, con le elezioni politiche alle porte e senza un forte mandato politico, sarebbe in grado di portare a termine. In caso contrario, l’agenda digitale propugnata dal ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera rimarrebbe lettera morta. In un’intervista a Linkiesta aveva dichiarato di sperare di «convincere Telecom a fare una combinazione forte con la Cdp». Secondo il ministro, quello delle reti di telecomunicazioni non è un settore «dove si possano avere 2 o 3 reti o ricominciare da capo, perché il costo sarebbe insostenibile».
Twitter: @antoniovanuzzo