ItaliAmoTerzi: “La Corte riconoscerà le nostre ragioni sui marò”

Terzi: “La Corte riconoscerà le nostre ragioni sui marò”

Giulio Terzi di Sant’Agata, 66 anni, viene da un’antica famiglia bergamasca con una lunga sequela di titoli nobiliari. Laurea in giurisprudenza, diplomatico di lugno corso, la vicenda più imbarazzante per lui è stata quella dei nostri due marò ancora detenuti in India. 

Ministro, partiamo dal passato. Lei si è insediato da circa un anno, come ha trovato il posizionamento dell’Italia sullo scacchiere della diplomazia internazionale?

L’Italia ha tradizionalmente mantenuto un profilo molto alto nella promozione della stabilità e della sicurezza internazionale. Ricordo in particolare la nostra partecipazione a numerose missioni di pace e la nostra azione per la tutela e l’affermazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, fra cui i diritti delle donne e la libertà religiosa. 

E con il governo Monti?

L’azione di politica estera del Governo Monti ha rafforzato ulteriormente la nostra credibilità sul piano internazionale e ha consentito di riaffermare il ruolo che naturalmente spetta all’Italia, Paese fondatore dell’Unione Europea, nell’elaborazione ed attuazione delle politiche comunitarie e nell’impulso all’approfondimento del processo di integrazione. L’Italia ha dato un fondamentale contributo per arginare la crisi finanziaria internazionale, e questo ci ha permesso di tornare a perseguire con rinnovato slancio priorità fondamentali di politica estera: il rafforzamento del rapporto transatlantico, la presenza incisiva dell’Italia nel Mediterraneo, la via internazionale alla crescita sfruttando appieno le opportunità offerte dai mercati emergenti.

In questo anno di attività ha vissuto una situazione internazionale esplosiva. Che lettura dà di questa escalation?

Gli eventi della Primavera araba sono stati il risultato dell’incapacità dei regimi deposti di rispondere alle legittime aspirazioni di libertà, democrazia, sviluppo sociale ed economico dei popoli della regione. 

Crede che l’Italia potrebbe ritagliarsi un ruolo ancor più incisivo, vista anche la nostra collocazione geografica, di mediazione?

L’Italia ha incoraggiato i Paesi in transizione della sponda Sud del Mediterraneo nel loro percorso democratico, evitando di imporre modelli o di adottare atteggiamenti paternalistici. In particolare, in questi mesi abbiamo continuato a valorizzare i fori di dialogo regionale, primo fra tutti il Dialogo 5+5 che, per la sua struttura flessibile e per il livello di coesione fra i suoi membri assicura forme di cooperazione efficaci. La riunione dei Ministri degli Esteri del 5+5, che ho co-presieduto con il collega tunisino Abdessalem a febbraio, ha posto solide basi per rafforzare il dialogo tra le due sponde del Mediterraneo: non più solo “interessi comuni” ma anche “valori condivisi” di democrazia, libertà ed equo sviluppo socio-economico. Questo approccio ha trovato conferma al Vertice dei Capi di Stato e di Governo del Dialogo 5+5 svoltosi a ottobre a Malta, con la partecipazione del Presidente Monti, che proprio in quell’occasione ha sottolineato la necessità di estendere il dialogo ai campi dell’istruzione e della formazione delle nuove generazioni. Ricordo che siamo molto attivi anche nei “Partenariati di mobilità e sicurezza” con Marocco, Tunisia ed Egitto, per rispondere in maniera convincente alle sfide più complesse, come la gestione condivisa del fenomeno migratorio, attraverso politiche che assicurino ai giovani della sponda sud formazione, lavoro e mobilità per motivi di studio e professionali. L’Italia ha anche dato un forte contributo al rafforzamento della Politica di Vicinato dell’Unione Europea, chedendo ed ottenendo dall’Europa un maggiore impegno politico e finanziario per il Mediterraneo, coerente con l’esigenza di dare risposte concrete alle aspirazioni dei popoli della regione.

Lei crede che la Libia riuscirà a diventare un Paese democratico, evitando derive fondamentaliste? Inoltre pensa che l’Italia potrà tornare ad essere partner economico importante della nuova Libia? E in che tempi e modi, eventualmente?

Dai colloqui che ho avuto con le massime cariche dello Stato libico in occasione della mia recente visita a Tripoli, ho tratto ulteriore conferma della determinazione delle nuove Autorità libiche a proseguire il percorso di consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto. La situazione nel Paese rimane complessa, soprattutto sul piano della riconciliazione nazionale e della sicurezza. Questo significa che i Paesi amici, come l’Italia, devono proseguire il loro impegno a sostegno della Libia affinché possa superare le sfide poste dalla transizione. Soprattutto vanno alleviati i fattori di malcontento da cui traggono forza le frange fondamentaliste, che sono comunque minoritarie. L’Italia continua ad essere percepita dalla Libia come un interlocutore di fondamentale riferimento. Ho toccato con mano una forte domanda d’Italia, di sostegno politico, economico e culturale. Siamo il primo partner economico della Libia e una vera e propria “superpotenza” nel settore delle piccole e medie imprese, e intendiamo continuare a svolgere un ruolo di primo piano nella ricostruzione del Paese e nel suo sviluppo infrastrutturale. Il dinamismo delle nostre imprese e la nostra conoscenza del mercato libico possono essere determinanti per il rilancio e la diversificazione dell’economia del Paese, fattori cruciali per sostenere il processo di transizione. Per rilanciare i rapporti tra le due comunità imprenditoriali la Farnesina ha sostenuto l’organizzazione del Business Forum Italo Libico che si è svolto a Milano il 29 novembre, occasione di confronto anche con una delegazione del governo libico. Abbiamo riconfermato la comune volontà di rilanciare i programmi infrastrutturali, di incoraggiare le joint ventures, e di avviare a soluzione la questione dei crediti delle imprese italiane ancora in sospeso.

In Siria, l’Italia ha assunto una posizione chiara nei confronti del regime. Pensa che il nostro Paese possa fare altro? E, qualora ciò accadesse, quale sarà il ruolo italiano nell’inevitabile ricostruzione di un Paese distrutto?

In questi mesi l’Italia ha dato un significativo contributo al rafforzamento della pressione internazionale sul regime ed all’inasprimento del regime sanzionatorio dell’Unione Europea. Assicuriamo allo stesso tempo pieno sostegno agli sforzi dell’Inviato Speciale Brahimi per una soluzione pacifica della crisi. Non chiuderemo gli occhi di fronte alla tragedia umanitaria che il regime sta causando con l’uso brutale della violenza contro il suo popolo. L’emergenza umanitaria in Siria va affrontata con i principali partners internazionali che, come l’Italia, sono impegnati nel sostegno al popolo siriano. E’ quanto ho ribadito qualche giorno fa a Moaz Al-Khatib, Presidente della Coalizione dell’Opposizione Siriana, che l’Italia è stata fra i primi a riconoscere come legittimo rappresentante del popolo siriano. Intanto l’Italia fa la sua parte. L’inverno si avvicina per quelle popolazioni già duramente colpite dalla conseguenza del conflitto. Abbiamo appena stanziato nuovi aiuti umanitari destinati in prevalenza ai bambini e ai profughi del valore di un milione e mezzo di euro. All’impegno umanitario affianchiamo da tempo quello per la costruzione di nuove istituzioni siriane. Occorre arrivare preparati al “dopo Assad” e stiamo già lavorando affinché nella Siria del futuro un apparato statale nuovo, frutto delle autonomie e libere determinazioni del popolo siriano, gestisca la transizione garantendo la sicurezza e i servizi di base per la popolazione civile. Ricordo che nei giorni scorsi ho ricevuto alla Farnesina un gruppo di trenta attivisti, espressioni delle diverse componenti etniche, religiose e politiche dell’opposizione siriana, che ha frequentato a Roma un corso sulle relazioni internazionali e l’attività diplomatica finalizzato a preparare i futuri quadri siriani.

Restando in tema di Medio Oriente, abbiamo assistito al drammatico conflitto di Gaza. Storico il riconoscimento della Palestina, ottenuto anche grazie al voto favorevole del nostro Governo. Questo passaggio aiuterà il processo di pace?

Il processo di pace deve essere rilanciato con una forte iniziativa diplomatica da parte della Comunità internazionale che riavvii il dialogo fra le parti e porti a rapidi progressi verso la soluzione dei due Stati che vivano in pace e sicurezza uno al fianco dell’altro. Quanto alla tregua a Gaza, ci si sta adoperando per renderla sostenibile. Sono convinto che a questo scopo sia fondamentale la rapida riattivazione della missione europea di monitoraggio dei valichi ai confini della Striscia, che da ottobre è guidata da un italiano, il Colonnello dei Carabinieri Bruzzese del Pozzo. Allo stesso tempo è necessario utilizzare al meglio gli strumenti internazionali idonei per prevenire il riarmo di Hamas attraverso i tunnel.

Lei ritiene che i giornali dovrebbero riportare solo i fatti oppure anche schierarsi, specie in un conflitto? Pensa sia giusto che i media si schierino pro, o contro, Israele o la Palestina?

La libertà di stampa è una pietra angolare del nostro ordinamento democratico ed un principio assoluto di civiltà. Nel caso specifico trovo che sia importante fornire ai lettori, oltre alle opinioni, legittime, anche la possibilità di documentarsi in maniera dettagliata e articolata sui termini, i risvolti e le implicazioni di una questione particolarmente complessa quale è il processo di pace in Medio Oriente.

Inoltre, mi perdoni la digressione, penso giustificata (Linkiesta è un quotidiano online), lei è stato il primo Ministro di questo Governo a “twittare”, pensa che la Rete sia di aiuto al dialogo, o potrebbe esserlo?

I social network e il web mettono in contatto popoli e culture diversi , e, attraverso lo scambio di informazioni, di esperienze e di valori, favoriscono la comprensione reciproca. Penso al ruolo svolto da twitter, da facebook, dai blog, che hanno consentito alle popolazioni dei Paesi delle Primavere Arabe di esprimere, canalizzare e diffondere la propria domanda di democrazia e diritti. Anche per questo i social networks sono uno strumento di politica estera, che, grazie a loro, può assumere un profilo sempre più democratico ed aperto alle società civili. I social media offrono alle Istituzioni la straordinaria opportunità di dialogare con i cittadini, con i mezzi di informazione e con le imprese, fornendo fondamentali indicazioni anche per “orientare” l’azione internazionale.

Tornando in tema di conflitto Israele-Palestina, che ne pensa del ruolo che sta giocando l’Iran, che pare strumentalizzare la situazione per accendere la miccia dell’odio verso l’occidente? 

Nel corso degli anni, l’Iran ha visto il conflitto israelo-palestinese come un’opportunità per rilanciare il suo ruolo internazionale in un quadro di crescente isolamento per le sanzioni contro il suo programma nucleare. Comunque, in questa fase, il punto è che l’atteggiamento dell’Iran sul dossier nucleare è molto preoccupante. L’ultimo rapporto dell’Aiea è tutt’altro che rassicurante, e la questione rimane aperta in tutta la sua gravità. Un Iran dotato dell’arma nucleare costituirebbe una seria minaccia per gli equilibri e la stabilità regionale e per la sicurezza globale. Occorre indurre l’Iran a tornare a trattare. Le sanzioni stanno avendo effetto. È quindi fondamentale mantenere alta la pressione su Teheran. Quanto alle Primavere arabe, hanno consentito a molte componenti delle società arabe, fino ad allora escluse dalla vita politica, la partecipazione ai processi democratici, il che vale anche per i movimenti legati all’Islam politico, che hanno ovunque registrato importanti affermazioni elettorali. L’Italia è pronta a confrontarsi con tutte le forze che si riconoscono nel pieno rispetto dei diritti umani, del diritto internazionale e dei valori democratici di libertà, fra cui, tengo a sottolineare, la libertà religiosa. Sono parametri fondamentali che continueranno a determinare i rapporti dell’Italia con quei Paesi.

Lei si è speso molto per la liberazione dei due marò, detenuti in India, ritiene che ci saranno sviluppi a breve?

L’attenzione mia, della Farnesina, e del Governo nella sua collegialità su questo caso è stata e continua ad essere costante. Abbiamo svolto e continuiamo a svolgere una capillare e continua azione di sensibilizzazione a tutti i livelli: bilaterale, europeo e multilaterale. Grazie a questo impegno, un numero sempre maggiore di Paesi si è reso interprete presso le autorità indiane, in tutte le possibili occasioni, delle nostre legittime, e condivise, aspettative e preoccupazioni sia sui tempi della sentenza della Corte Suprema, che nel merito della pronuncia, che ci attendiamo sancisca il pieno riconoscimento tanto della giurisdizione italiana, quanto dell’immunità funzionale dei nostri due fucilieri. Vorrei riferirmi a due esempi per tutti, gli ultimi in ordine di tempo. Due settimane fa, l’Unione Europea, in una riunione del Consiglio di Sicurezza dedicata al contrasto internazionale alla pirateria e presieduta proprio dall’India, ha sottolineato che gli sforzi nella lotta al fenomeno possono essere efficaci solo se si svolgono nel pieno rispetto dei principi assoluti del diritto internazionale. Lo stesso concetto è stato appena ribadito, su nostra richiesta accolta con massima convinzione da parte francese, nella dichiarazione Finale del Vertice di Lione. Allo stesso tempo, stiamo intensificando le sollecitazioni affinché si evitino ulteriori ritardi nell’emanazione della sentenza, essendo trascorsi più di tre mesi da quando l’Alta Corte è stata investita del caso. Confidiamo che la Corte riconoscerà le ragioni del diritto. In caso contrario intraprenderemo tutte le opportune iniziative, sul piano bilaterale che europeo e multilaterale.
 

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