Difficile sapere se gli italiani amano Mario Monti. Stando ai sondaggi, il premier ha convinto il Paese. Il livello di gradimento, seppure in discesa, resta più alto rispetto ai partiti. Eppure se il Professore decidesse di candidarsi – lo dicono sempre i sondaggi – difficilmente una sua lista elettorale potrebbe superare il 15 per cento. Poco male, Monti può consolarsi in Parlamento. Tra i Palazzi delle politica romana, il presidente del Consiglio piace. E tanto. Nelle ultime settimane schierarsi al suo fianco è diventata quasi una moda.
Tutti con il Professore. Ognuno a modo suo. C’è chi per Monti ha una vera passione, e sostiene un suo ritorno a Palazzo Chigi da tempi non sospetti. Chi ha imparato ad apprezzarlo negli ultimi mesi, più per convenienza che altro. Ma anche chi lo sostiene per pura strategia. Spesso con evidente goffaggine.
Il diretto interessato per ora prende tempo. Secondo le ultime indiscrezioni Monti è pronto a presentare un memorandum. Un elenco delle riforme già attuate dal suo governo e una bozza di programma per la prossima legislatura da sottoporre ai leader politici. Potenziali alleati. Anche in quest’ottica, tra poche ore il premier vedrà il segretario Pd Pier Luigi Bersani. Prima di incontrare gli altri vertici istituzionali al Quirinale, per i tradizionali auguri del presidente della Repubblica.
Intanto la scena che si presenta alle Camere è paradossale. Il Parlamento che ha appena tolto la fiducia al presidente del Consiglio, ne celebra la grandezza. Improvvisamente sono con tutti con Monti. Alcuni esponenti politici sono coerenti. Un nuovo mandato di Monti lo chiedono da tempo l’Udc di Pierferdinando Casini e i futuristi di Gianfranco Fini. Ma anche il movimento – non ancora a Montecitorio – di Luca Cordero di Montezemolo.
Vicino a Mario Monti è anche Bersani. Il leader Pd resta in equilibrio tra l’alleanza con Nichi Vendola e il dialogo con i centristi. Un impegno diretto del premier nella prossima campagna elettorale rischia di rovinare i piani del segretario democrat. Ecco perché recentemente qualche dirigente sembra aver perso la pazienza. “La discesa in campo di Monti sarebbe moralmente discutibile”, ha spiegato un paio di giorni fa Massimo D’Alema. Bersani è più conciliante. Da settimane si augura pubblicamente che Monti decida di rimanere fuori dai giochi. In ogni caso, assicura, per lui è già pronto un ruolo di prestigio dopo le elezioni (si parla di una poltrona da ministro o di un’elezione al Colle).
Poco lineare, ma altrettanto rumoroso, il sostegno al premier di Silvio Berlusconi. Nel giro di pochi giorni il Cavaliere ha tolto la fiducia al governo, per poi chiedere a Monti di candidarsi alla guida del fronte moderato (secondo Berlusconi farebbero parte della coalizione persino i leghisti di Maroni). Una strategia, è chiaro. Forse studiata per mettere fuorigioco il Professore. Sicuramente destinata a ricomporre le fratture interne al Popolo della Libertà. L’effetto è paradossale. Nel giro di poche ore a Palazzo Grazioli e dintorni Monti si è trasformato radicalmente. Era il maggior responsabile dei mali italiani, ora è salvatore della patria.
Sullo sfondo, si affollano partiti e partitini. Tutti folgorati dal Professore, in tempo utile per spendere il proprio montismo in tempo per le elezioni. Colpisce la recente infatuazione di Clemente Mastella. L’ex ministro dell’ultimo governo Prodi ha improvvisamente trovato nel Professore “la nuova rivoluzione dopo il 1994”. Intervistato dal Fatto Quotidiano, Mastella si è quasi stupito della domanda: “Monti è il candidato ideale per Berlusconi? Figuriamoci per me che sono moderato da decenni”.