Alla fine vince Alfano: Cosentino non è un candidato del Pdl

Alla fine vince Alfano: Cosentino non è un candidato del Pdl

Alla fine le liste del Pdl vengono presentate ovunque. Anche in Campania, dove per qualche ora a via dell’Umiltà si teme il peggio. L’elenco dei candidati berlusconiani viene depositato sia a Napoli che a Benevento. Ma resta il mistero sull’esclusione dell’ex sottosegretario Nicola Cosentino.

Lo scontro interno al partito non si ferma. Domattina Cosentino incontrerà la stampa a Napoli per dire la sua dopo la mancata ricandidatura in Parlamento. Intanto Angelino Alfano registra un’importante vittoria. Dopo un braccio di ferro durato alcuni giorni, il segretario la spunta e ottiene la cancellazione del nome di Cosentino dalle liste. È stato il vertice del partito riunito in mattinata «in una composizione molto ristretta» a decidere. «Una scelta giusta», spiega in serata Alfano. All’ex coordinatore regionale campano la notizia viene data nel pomeriggio. Poco dopo, la giornata del Pdl si tinge di giallo. Nel giro di qualche ora spariscono le liste con le firme dei candidati. Dal Pdl qualcuno racconta che sia stato lo stesso Cosentino – una sorta di ripicca per la sua esclusione – ad aver “sequestrato” i documenti. Una nota ufficiale del Pdl smentisce. «La notizia relativa a una presunta sparizione delle liste elettorali della Campania è destituita di fondamento». Ma nel partito esplode il caos.

Ai candidati campani viene chiesto di tornare di corsa a Napoli per firmare nuovamente le candidature. Chi può – molti sono a Roma negli uffici del partito – raggiunge in tutta fretta il capoluogo campano. Il risultato è grottesco. L’appuntamento per tutti è all’hotel Terminus, vicino la stazione centrale. Mentre si infittisce il mistero sulle liste sparite, il commissario regionale Francesco Nitto Palma raggiunge la Corte di Appello. È qui che devono essere presentati i documenti. Ma le liste ufficiali ancora non ci sono. A decine, i candidati pidiellini affollano l’albergo per raccogliere di nuovo le firme di accettazione delle candidature. Non tutti conoscono il motivo dell’operazione. La scena è surreale. «Perché siamo qui? – spiega Ciro Falanga, candidato a Palazzo Madama – Perché dobbiamo firmare nuovamente le candidature e non sappiamo neanche perché».

Nel giro di poche ore succede di tutto. Qualcuno teme che le liste non possano essere presentate (come era accaduto alle ultime regionali del Lazio). A un certo punto mancano persino i candidati. Secondo alcune indiscrezioni Nicola Cosentino avrebbe chiesto ai politici più vicini di ritirare le firme. Cancellandosi dalle liste. «Se non c’è Cosentino non ci siamo neanche noi» racconta qualcuno di loro. «Io non firmo la candidatura – rivela ai giornalisti Nicola Turco, candidato al Senato – Se Berlusconi fosse stato una persona seria, con 100mila voti portati in Campania doveva garantire fino all’ultimo Nicola Cosentino».

Pochi minuti prima delle 20 il caso rientra. Almeno in parte. «Cosentino ha rinunciato» conferma l’ex presidente della provincia di Napoli Luigi Cesaro. Nessun giallo, assicurano i vertici del partito. «Le liste del Pdl sono regolarmente presso gli uffici giudiziari competenti – spiega Alfano poco dopo – Sono nelle mani del nostro senatore Nitto Palma, che era delegato fin dal primo pomeriggio». Il mistero resta. Perché i candidati si sono dovuti precipitare a Napoli e firmare una seconda volta? Tante risposte, nessuna certezza. C’è chi parla di un problema organizzativo, chi assicura che si è trattato di un eccesso di zelo. Le liste? «Le firme le aveva in custodia Nitto Palma – conferma Cesaro – che era irreperibile. Per tre-quattro ore siamo stati in ansia e poi abbiamo iniziato a riprendere le firme».

Archiviata la presentazione delle liste, si torna a parlare di “incandidabili”. Il segretario Alfano può dirsi soddisfatto. Ha vinto la sua linea. Fuori Claudio Scajola e Marcello Dell’Utri, ora è la volta di Cosentino. Intanto arriva un’altra brutta notizia per il Pdl. Proprio oggi a Bari, dove è in corso il processo su presunti illeciti in appalti, viene chiesta una condanna a sei anni e sei mesi per corruzione, illecito finanziamento pubblico ai partiti, peculato e abuso d’ufficio dell’ex ministro Raffaele Fitto. I dirigenti del partito gridano allo scandalo, puntando il dito contro la “giustizia a orologeria”. Capolista alla Camera in Puglia, Fitto aveva da poco depositato le liste elettorali del Pdl presso gli uffici della corte d’appello di Bari. «La cosa non ci sorprende, anche se ci indigna» chiarisce il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto. «È l’ennesima dimostrazione che in Italia la giustizia è un’arma impropria che viene usata in modo politico e mediatico del tutto mirato». Di certo, un’altra grana per la campagna elettorale Pdl.

Ma non c’è solo Fitto. Al Senato in Lombardia subito dietro Silvio Berlusconi, è stato garantito Roberto Formigoni indagato per corruzione con l’aggravante della transnazionalità nell’ambito dell’inchiesta sui presunti fondi neri costituiti attraverso la Fondazione Maugeri. Sempre al Senato ha trovato spazio Denis Verdini, in queste settimane impegnato per la formazione della liste del Pdl. Coinvolto nell’inchiesta sulla P4, Verdini risulta essere indagato per la bancarotta del Credito Cooperativo fiorentino. In Calabria il quarto posto al Senato è toccato a Piero Aiello, assessore regionale della giunta presieduta da Giuseppe Scopelliti. Il quale, secondo gli accertamenti delle forze dell’ordine, avrebbe fatto da tramite per l’iscrizione a Forza Italia (sezione Lamezia Terme) di Giovanni Cannizzaro, ritenuto esponente di spicco delle cosche e finito in carcere con l’accusa di aver ucciso il fratello della fidanzata.

Il puzzle degli impresentabili si completa consultando le liste del Pdl in Sicilia. Nelle liste del Senato si registra la presenza di Antonio D’Ali, vicinissimo a Renato Schifani, e oggi indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo l’accusa avrebbe intrattenuto a partire dagli anni ’90 rapporti diretti o indiretti con esponenti di Cosa Nostra, tra cui il superboss Matteo Messina Denaro.

Per il resto, le candidature del Pdl regalano qualche sorpresa e molte conferme. Silvio Berlusconi è capolista al Senato in tutte le circoscrizioni. Il segretario Angelino Alfano torna alla Camera. Guiderà le liste in quattro circoscrizioni: Lazio 1, Sicilia 1 e le due piemontesi. Più di una polemica, sul territorio, riguarda la scelta di candidare personaggi lontani dalla realtà locale. Qualche mal di pancia in Liguria, ad esempio. La decisione di puntare sul giornalista Augusto Minzolini, secondo al Senato dopo Berlusconi, crea qualche malumore. Il rischio è che l’ex ministro Claudio Scajola – costretto a un passo indietro – e i suoi fedelissimi decidano di boicottare la campagna elettorale del Pdl.

In Abruzzo le polemiche riguardano la decisione di inserire in lista gli ex Responsabili Domenico Scilipoti e Antonio Razzi. A un passo dalle dimissioni del presidente regionale Gianni Chiodi, alla fine i vertici di via dell’Umiltà trovano una soluzione. Razzi correrà in Abruzzo, per il Senato. Al quarto posto in lista, che per i bene informati non dovrebbe essere sufficiente per garantire l’elezione. Scilipoti viene dirottato in Calabria.

E poi ci sono i rappresentanti della società civile. I nomi voluti da Silvio Berlusconi per dare un’immagine del partito più vicino ai cittadini. Spicca in Emilia Romagna l’ex sindaco di Roma e presidente della Federcalcio Franco Carraro. In Calabria correrà Rosanna Scopelliti, figlia del magistrato ucciso nel 1991, co-fondatrice del movimento “Ammazzateci tutti”. Candidato al Senato in Friuli Venezia Giulia il presidente della Federalberghi Bernabò Bocca. Sarà in Lombardia il presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Andrea Mandelli. «Abbiamo messo in campo una bella squadra» commenta Alfano in serata. Il segretario Pd Pier Luigi Bersani non è d’accordo. Commentando le polemiche sull’esclusione di Cosentino spiega: «È una vicenda scandalosa, non credo sia il modo per presentare le liste. Sottolineo la distanza stellare con noi che abbiamo escluso anche chi era rinviato a giudizio per reati contro la pubblica amministrazione». 

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