Capisco che il piatto sarà ricchissimo, ma io stasera non mi ci ficcherò. Per cui, come ogni giovedì e nonostante lo scontro epocale «Santoro vs. Silvio Berlusconi» si annunci apocalittico, non rinuncerò all’imperdibile puntata di MasterChef. E non mi sentirò affatto un cittadino di serie B, l’irresponsabile che volutamente sta mancando un’occasione civile di conoscenza, l’appuntamento con la democrazia, un arricchimento intellettuale in vista delle prossime elezioni. No. A questo punto della nostra vita, politica, della nostra esperienza politica, se ci sei bene, altrimenti nulla potrà aggiungere più nulla. Del resto, tutto è ben sintetizzato da quei praticoni delle scommesse che, come sempre, hanno dovuto tradurre un’immagine in una quota. L’immagine è lo scazzo tra i due, Silvio che si alza e se ne va dallo studio, la quota ieri sera era cinque. Non male, forse mi gioco un deca.
E poi parliamoci chiaro, cattivo per cattivo, non c’è gara tra quella mammoletta appassita di Marco Travaglio e l’immenso Joe Bastianich, non c’è paragone alcuno tra i pipponi etico-moralistici del bravo presentatore di «Servizio Pubblico» e quello sguardo trasversale, luciferino, definitivo di Carlo Cracco che ti annuncia, senza emettere nemmeno un sospiro, che il tuo piatto è un’autentica porcata. L’evento è qui, la vita è qui, la politica è qui, angosce, pianti, insulti compresi. Detto questo, non arrivo all’abiezione intellettuale per cui preferire una mezza pasta scotta di quella bollitona di Benedetta Parodi a una conferenza stampa di Mario Monti. No, questo ancora no perché a tutto c’è un limite. Ma con MasterChef si vola altissimi, ben oltre la politica nostrana, poca cosa in verità e poi neanche al dente.
Del resto, tra Santoro e Berlusconi è giù tutto scritto da anni, da secoli addirittura, pensando al passaggio epocale tra il 1900 e il terzo millennio. Cosa può aggiungere una puntata in più o in meno? Tutto è stato visto – persino il «tradimento» dell’uomo purissimo e durissimo contro il Cavaliere che un bel giorno accettò l’ingaggio dell’imprenditore e se ne andò, lui e la fedelissima squadra, nell’azienda del nemico (Italia Uno). Logiche di mercato, legittime, raccontò allora Santoro, pensando anche a una Rai che non garantiva più nulla. E in fondo aveva perfettamente ragione, se solo avesse tenuto la barra a dritta del pensiero liberale e lasciato libero chiunque di decidere se lavorare con questo o con quello senza per questo essere considerato un servo o un succedaneo di un cameriere dei potenti.
Se con Santoro è già tutto scritto, non di meno possiamo considerare scontatissimo, al limite della noia, la contesa Travaglio-Cavaliere che si dipanerà, com’è naturale che sia, tra faldoni processuali e bagascioni in libertà. Tutti resteranno lì, come il ballo della mattonella, nel loro centimetro quadrato. E a noi non ne verrà nulla. (A proposito, sarebbe bello risentire cosa pensò, all’epoca, Marco Travaglio del passaggio di Santoro in Mediaset. Me lo sono dimenticato e mi piacerebbe una rinfrescata)
E comunque, rispetto a MasterChef è tutta la politica che va sotto senza appello e con una punta di cattiveria non sarebbe male immaginare i due chef stellati, più il cattivissimo Joe, che giudicano i piatti dei nostri eroi. Per esempio, Bastianich che guarda negli occhi Ingroia che tenta di spiegargli la sua maionese impazzita – tra un Di Pietro, un Bonelli dei verdi (ma cosa c’entra) e altri magistrati sparsi – e quello che gli fa volare il piatto all’aria dicendogli che è immangiabile. O il sobrissimo Mario Monti, che vorrebbe convincere Cracco ad assaggiare quella prelibatissima alleanza con Fini e Casini con riduzione di società civile, e il crudele bi-stellato che, malinconicamente e con grande rispetto, gli si rivolge quasi con tenerezza: «Mario, ma cosa ti succede, sei veramente fuori forma…»
No, stasera di fronte a MasterChef mi sentirò un cittadino di serie A, con tutti i miei diritti civili a postissimo e nessun senso di colpa. E magari mi verrà anche in mente cosa votare il 24 febbraio.