Comincia oggi il viaggio de Linkiesta nelle due Regioni italiane al voto per eleggere il governatore il prossimo 24-25 febbraio: Lombardia e Lazio. Punti di forza e debolezza dei due territori più importanti del Paese in un lungo racconto sul campo che accompagnerà i lettori fino alle elezioni.
SAN COLOMBANO AL LAMBRO (MILANO) – Come in quasi ogni angolo di Lombardia, anche qui la pro loco sostiene che, in giornate particolarmente terse (e senza smog), dal colle o dal torrione del castello si possa veder brillare la madunina. Prove certe non ne vengono offerte ma, data la penuria di giorni di sereno (e senza smog) della Pianura Padana, la controprova è quasi impossibile.
San Colombano al Lambro è un’enclave. (O una exclave; dipende, come sempre, da che parte guardi il mondo). Fa parte di Milano, ma dista dal confine della provincia una quarantina di chilometri (22 in linea d’aria dal punto più vicino), e ben 56 dalla piazza del Duomo. Le ultime trincee della metropoli sono ben lontane; qui stravince la campagna. A dominare, nella cartellonistica, è tutto un fiorire di Bacco e di bacche, di pampini e di verderame, di pergole e di uva in fiore. Infatti, anche se la cosa può far sorridere chi viene da regioni con più radicata tradizione vitivinicola, si produce qui il “vino di Milano”, tra cui il doc San Colombano (da croatina, barbera e uva rara; tutelato dal consorzio presieduto ora da Diego Bassi), qualche Igt e svariate bottiglie di facile beva.
Ma lasciando da parte la madunina e le botti, San Colombano, col suo essere exclave della metropoli nella Lombardia profonda, è un posto ideale per cercare di scrutare l’orizzonte politico della Regione, richiamata al voto dopo gli scandali che hanno portato alla fine del regno formigoniano, durato 18 anni. Il paese è piccolo – meno di ottomila abitanti – e trarre conclusioni dalla sua atmosfera elettorale sarà forse un’approssimazione per eccesso. Ma sicuramente qui si possono mettere alla prova della “regione reale” le figure molto cittadine dei candidati governatori: l’ex sindaco smutandato di Milano Gabriele Albertini, il figlio dell’eroe borghese Umberto Ambrosoli, la grillina Silvana Carcano con tutto il suo carico di web democrazia, l’ex ministro dell’Interno leghista Roberto Maroni… E si può farlo in un borgo lombardissimo. Col suo castello dei Belgiojoso, il suo distaccamento psichiatrico del Fatebenefratelli, e percentuali al voto – in favore della Dc prima e del centrodestra poi – che avrebbero reso rossi d’invidia i bulgari.
Il ragioniere Gian Luigi Panigada (foto) è il sindaco di San Colombano al Lambro, sostenuto da Pdl e Lega Nord, coalizzati all’ultimo voto nella lista “Grande Borgo”. Il suo ufficio a Palazzo Patigno è circondato (così come la sala consiliare) da giganteschi quadri del Bramante (Onofrio; fumettista e pittore; morto nel 2000).
Sessantanove anni, ex dirigente Unilever, il suo secondo mandato da primo cittadino scadrà nel 2014. È in Comune, come consigliere, sindaco o assessore (soprattutto all’edilizia e all’urbanistica) dal 1970 (con una sola pausa negli anni Novanta), e ne fa motivo di vanto. Sullo status di San Colombano e dei banini (così si chiamano gli abitanti) rassicura: «Ora è tutto bloccato perché il decreto non è stato convertito in legge. Ma se anche dovesse uscire di nuovo la questione della soppressione di alcune province, noi entreremo sicuramente – nonostante la discontinuità territoriale – nell’area metropolitana di Milano. Per di più, all’epoca del referendum del gennaio 1992 con cui decidemmo con il 77,13% dei voti di dire no alla provincia di Lodi e di rimanere milanesi, era stato stabilito che i banini fossero richiamati alle urne in caso di cambiamenti istituzionali». Preferisce parlare del Borgo più che della politica fuori dalle mura, che però è venuta a bussare alle sue porte per chiedergli la firma sulla lista di amministratori locali Pdl da candidare al Parlamento. E forse anche una disponibilità a candidarsi per Roma, che però ha rimandato al mittente. (☞leggi, per approfondire: 2013 la morte del federalismo. Anche i sindaci diventano peones e Quale rottamazione, Berlusconi ha candidato solo ex parlamentari).
Panigada ha una grande passione per la storia locale e sottolinea quanto fossero avanzati gli Statuti della comunità di San Colombano e della sua giurisdizione, che a cavallo tra XIV e XV secolo rappresentavano, da queste parti, le tavole della legge. A scorrerli sono davvero completi, e alcuni commi anche attuali. Pure allora non dovevano mancare gli scandali nella pubblica amministrazione, almeno a vedere l’articolo 45: De poena officialis delinquentis in officio. Stabiliva – tradurremo un po’ a braccio dal latino – che «il pubblico funzionario che commettesse frode o furto a danno dei beni della comunità fosse condannato a versare il quadruplo di quanto estorto e ad essere rimosso dall’ufficio».
La centrale via Mazzini a San Colombano al Lambro con sullo sfondo la torre del Castello
Ogni paese digerisce un po’ a modo suo la contemporaneità. Il metabolismo sociale di San Colombano prevede un compro oro, un kebap proprio sulla via centrale e poco meno di 600 stranieri (circa l’8% della poolazione), con la predominanza netta di romeni e albanesi. Per il resto, visto che durante il giorno si svuota un bel po’ per il pendolarismo con Milano, domina un limpido silenzio. La pausa pranzo è ancora lunga. Molti uffici restano aperti solo dalle 9 alle 12
La Lega Nord è entrata per la prima volta in giunta nel 2009. Prima aveva condotto per anni una fiera opposizione alle amministrazioni di centrodestra. Ma quattro anni fa arrivò l’ordine di correre assieme, anche sul territorio, con gli alleati romani, e i duri e puri del leghismo locale furono costretti a turarsi il naso e ad abbracciare la causa del Pdl e di Panigada. Del resto, proprio da San Colombano al Lambro, viene uno degli esponenti della coalizione azzurro-verde che ha governato la Lombardia, il vicepresidente leghista della Regione, Andrea Gibelli. Tutti lo ricordano girare in paese, quand’era giovane, a caccia di tessere del Carroccio, con la sua boccolosa chioma di capelli ricci, lunghi ben oltre le spalle, «come una bambola».
Alla Lega è andato l’assessorato alla Cultura, Turismo, Commercio, Attività Produttive, Artigianato e Industria. L’assessore, Giuseppina Gazzola, 53 anni compiuti il 12 gennaio, abbandona al marito per mezz’ora la gestione della gastronomia dall’altro lato della piazza del Popolo, e si avvia verso il municipio. «Com’è la vita al governo di una piccola realtà come questa? Mica facile. Il patto di stabilità è terribile e ogni anno peggiora. È cieco di fronte a chi è stato virtuoso in passato. Noi non avevamo eccedenze di organico, eppure ci viene impedito di assumere, man mano che la gente va in pensione. Per quattro tempi pieni che se ne vanno, possiamo prendere due part time. Ormai, essere amministratore vuol dire solo dire dei gran no. La gente ti ferma per strada, vuole più sicurezza sociale, il lavoro… Ma noi non abbiamo modo. Dalla Regione ci danno un po’ di “dote lavoro”. Pacchetti di tre mesi di impiego da 500 euro al mese per 5 ore al giorno. A noi ne toccano 3 a primavera e 1 o 2 in autunno. Lo Stato sociale finisce qua. Io prendo da assessore 700 euro netti e il 15% va al partito. Non mi sembra di far parte della casta. A noi tagliano e tagliano, ma poi i soldi per mandare gli aerei in Mali li trovano. Perché non li mandano a Scampia, piuttosto?».
L’esperienza della Gazzola in assessorato è fatta di tagli subiti e non manca di smacchi. Proprio alla vigilia del suo arrivo, la Regione ha rivisto i criteri e ha depennato San Colombano al Lambro dalla lista delle località turistiche. L’assessore non crede nemmeno più di tanto alle speranze del sindaco di essere «la cantina di Milano per l’Expo 2015». «Non ho grossa fiducia nell’Expo», dice, «con internet mi sembra un po’ una manifestazione superata. E noi siamo comunque troppo piccoli e periferici per raccoglierne anche le briciole». Alla figlia trentunenne dice di ripetere spesso di andare all’estero. «Non mi piace l’andazzo della politica italiana. Mi sembra che vogliano ridimensionare il livello delle paghe. Non conosco giovani che guadagnino più di 700/800 euro al mese. E hanno pure meno garanzie di noi! Al Nord abbiamo lavorato senza riposo per guadagnarci un miglior tenore di vita e ora vogliono portarcelo via per far star bene le banche… Lo so anch’io che sessant’anni fa eravamo senza macchina, senza frigorifero e senza bagno in casa, ma credono che sarà facile far tornare a quello standard la gente che si è abituata a vivere meglio? Le amministrazioni pubbliche le hanno impoverite con i tagli lineari e i patti di stabilità. Ora sono passati a impoverire i privati. Potevano dircelo prima, e ci saremmo dati meno da fare nella vita… Invece, ora vogliono portarci via tutto. Pagando una miseria i nostri figli, e tartassandoci con l’Imu e con la Tares».
I manifesti della Lega Nord contro il governo Monti onnipresenti a San Colombano al Lambro
In paese il manifesto elettorale più diffuso è proprio quello leghista che recita: «Zero soldi per asili, scuole, anziani, disabili e strade… Comuni massacrati? Laméntati con Monti! Tagli e patto di stabilità uccidono il tuo Comune per mantenere il Sud. Noi resistiamo con coraggio e onestà». Il messaggio sembra passare, e la cosa più indigesta è senz’altro l’Imu. «Una vergogna!», si scalda il settantanovenne gestore della centralissima Trattoria Giardino. «L’Imu è un vero esproprio. Sono riusciti a realizzare il comunismo in Italia. Sì, quella tassa è comunista!». «Eh no!», insorge la compagna, che serve tra i tavoli, banina da anni, ma con forte residuo d’accento cracoviano: «Monti è peggio del comunismo! Tutto potrai dire, ma non questo: da noi in Polonia, durante il socialismo, le tasse sulla casa non si pagavano!».
A San Colombano non risulta essersi organizzato nessun gruppo del Movimento 5 Stelle. Al bar Milan qualcuno ridacchia di Albertini; il nome di Ambrosoli fa rievocare più che altro il padre. E Maroni? «Qua», conclude l’assessore Gazzola, «eravamo bossiani. Ma quello che è successo è stata una tranvata. Io, per le elezioni di Roma non mi spendo; per la Lombardia sì. Do l’anima. Maroni è la nostra ultima chance. L’ultimo treno. Se perdiamo questo, abbiamo chiuso». Saluta, e torna dal marito e dal gatto Attila.
Anche Stefano Chiesa, capogruppo leghista in Comune, la vede un po’ come la Gazzola, sull’“ultima chance”. «Non dico che la Lega sparirebbe, se non dovessimo vincere in Lombardia. Ma di sicuro ne usciremmo molto ridimensionati. Dobbiamo conquistarla, la Regione, e poi lottare con Piemonte e Veneto per tenerci qua il 75% delle tasse. Paradossalmente, il federalismo è più facile da realizzare oggi, perché siamo con l’acqua alla gola». (☞ leggi, per approfondire: La Macroregione Nord di Pdl e Lega? Una irrealizzabile promessa elettorale).
Chiesa è classe 1974 ma in Comune, da consigliere, c’è fin da giovanissimo, dal 1995. Parla in cucina, sotto gli occhi vigili e orgogliosi della madre: «È dura amministrare con pochi soldi. Le distanze tra cittadino e istituzioni sono aumentate, perché possiamo dare poche risposte. E se quando ho iniziato le domande erano di poco conto (la tipica buca sulla strada), oggi ti chiedono il posto di lavoro. E tu non puoi darglielo. Non si ragiona più su cosa si vuole fare ma, in modo cervellotico, su cosa si può permettersi di smettere di fare, per risparmiare ulteriormente. In posti come San Colombano, la crisi si nota meno rispetto a un quartiere popolare di Milano, perché alla fine la casetta, l’orticello e quattro risparmi ce li hanno tutti».
«Le possibilità che Maroni ce la faccia? Buone. Perché Ambrosoli è visto un po’ come un Pisapia, ma la Lombardia non è Milano. Quanto ad Albertini, spaventa solo per la possibilità di accaparrarsi la dote di voti di Comunione e Liberazione. Ma la forza elettorale di Cl è sovrastimata. Il loro strapotere era dovuto alle nomine in tutti i posti chiave di comando, più che al reale appoggio popolare: secondo noi il loro pacchetto di voti non supera i 150 mila voti».
Chiesa rimpiange i tempi della Lega di lotta a San Colombano; le proteste per la cementificazione dei sotterranei del castello, le accuse al sindaco… «Anche adesso», ammette, «me ne sarei andato a casa prima. Non sono stati anni di amministrazione particolarmente brillanti, ma dobbiamo rispettare patti fatti a livelli più alti, e in un periodo in cui la Lega di Bossi era un partito stalinista, verticista al massimo».
Laurea in Economia aziendale alla Bocconi e ruolo di Regional Key Account per la Henkel (divisione Detergenza), Chiesa ha strumenti anche professionali per valutare la crisi. «Intanto, nella nostra zona – che come tutta l’area compresa tra Piacenza, Lodi e Casalpusterlengo, è ritenuta altamente strategica per la distribuzione merci – si è investito troppo sulla logistica. Con i cali dei consumi, rischiamo di trovarci con cattedrali di cemento inutilizzate che coprono aree di oltre 150 mila metri quadrati, e che certo non saranno riconvertite».
«Seguo per lavoro la grande distribuzione», racconta, «e lo scontrino medio si è ormai ristretto a 20 euro per i supermercati e 28 per gli iper. Questo sta mettendo a dura prova il modello economico dei supermarket, che avevano alte marginalità sul tripacco, sulle confezioni formato famiglia, sull’extra refill. La gente sta invece comprando lo stretto indispensabile. Torna alle confezioni singole, dove c’è meno guadagno per gli esercenti. E spreca meno. Pensate che nel nostro Comune il volume di rifiuti umidi, pur in presenza di una leggera crescita demografica, è diminuita di quasi il 30%. Prima si comprava pane in quantità, uova, verdura, e molto se ne buttava via. Ora si acquista lo stretto necessario».
Il gonfalone del Comune di San Colombano al Lambro, “borgo insigne”
Mauro Steffenini (il suo è uno dei cognomi più tipici di San Colombano) svolge un compito ingrato: capogruppo dell’opposizione, che dal 1945 a oggi ha sempre perso sonoramente. «Nonostante i miei compaesani non abbiano mai creduto nel cambiamento», ci tiene a sottolineare, «mi sento però un banino doc e amo il mio paese». Steffenini lavora in banca, ha una prima laurea in Scienze politiche e sta studiando per la seconda, in Scienze umanistiche. Criticando una certa inattività della giunta, si è dato da fare per la valorizzazione dei due vip della storia locale: San Colombano (sogna un itinerario internazionale dall’Irlanda a Bobbio, nel Piacentino) e Don Gnocchi (il prete dei “mutilatini” di guerra, beatificato nel 2009).
«Parlare di Albertini o di Ambrosoli è fantascienza. Una discussione politica su temi extra banini qui non esiste», si lamenta. «E la partecipazione è scarsa anche quando vengono i big dei partiti votati in massa. A un incontro nel cantinone del castello con Salvini e Gibelli (che peraltro è di qui, ed è stato pure mio compagno di classe) c’erano non più di trenta persone, quasi tutte tesserate o di fuori. Qui voteranno come hanno sempre fatto, per clientela. Che significa anche solo l’amicizia e il caffè pagato al bar. Non credo che ci saranno grandi sconvolgimenti rispetto al passato».
«Ci sono stati vari scandali che hanno coinvolto l’attuale giunta Pdl-Lega: un parco fotovoltaico che non rispetta le regole regionali; nella Sanità, il commissariamento dell’Asp Valsasino; un brutto affaire sulle concessioni delle tombe, con i contratti ridotti unilateralmente da 50 a 30 anni. E ancora, il piano di governo del territorio passato grazie al voto di quattro incompatibili per conflitto di interessi, tra cui il sindaco (che ha interessi di parenti entro il quarto grado). Ci sono tre o quattro questioni pendenti al Tar… Ma, francamente, non credo che la cosa porterà sconvolgimenti alle urne, se parliamo di regionali. Questo, come molti altri, è un paese che basta a se stesso, chiuso; che se i suoi giovani se ne vanno perché le case costano dai 300mila euro in su, se ne frega. Il suo particolare status di exclave fa sì che gli amministratori restino lontani dai riflettori e dai controlli. Per i giornali di Lodi siamo un po’ terra straniera; quelli di Milano certo non si occupano di noi. Provincia e Regione sono lontane. Qui, e credo non solo qui, se potessero, farebbero la loro Repubblica indipendente dentro le mura».
«Cosa ne abbiamo guadagnato dall’essere un ibrido, una enclave milanese in mezzo alla Bassa lodigiana? Gli amministratori tanto, i cittadini niente. Eppure capitava di sentire qualcuno che si vantava della spola continua dei nostri vigili urbani tra qui e Milano per andare a fare i documenti (passaporto, patente…) alla gente. Si votò contro la costituzione della provincia di Lodi nel 1992, e fu soprattutto una lotta di potere interna tra democristiani a decidere l’esito plebiscitario. Nel frattempo, qui non è cambiato nulla, e attorno è cambiato tutto. Allora, la discussione sul tema “provincia”, era di identità storica e culturale. Oggi, in un’Italia in crisi nera, è solo una voce tra le tante, nella contabilità dei tagli della spending review».