Quando si entra nell’ufficio di Umberto Ambrosoli la prima cosa che si nota è lo zainetto nero. È quello che il candidato di centrosinistra in Lombardia si porta sempre con sé e che Stefano Rolando, il suo spin doctor, ha definito il vero e proprio simbolo di questa campagna elettorale. Lo zaino sta lì sulla scrivania al quartiere generale in pieno centro a Milano. Sui muri ci sono solo tre cose: una mappa della regione, una lavagna con appunti sparsi e una foto di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i due magistrati uccisi dalla mafia. Sotto c’è la scritta: «Il coraggio muore una volta, il codardo cento volte al giorno».
Il figlio dell’eroe borghese Giorgio, lo dice subito: «È davvero bella quell’immagine». A distanza di un mese dal voto, la campagna per le elezioni regionali entra nel vivo. I sondaggi sono altalenanti, ma Roberto Maroni, candidato di Lega e Pdl, sostiene spesso di avere la vittoria in mano. «Tifo Inter, so cosa vuol dire soffrire», spiega Ambrosoli, mentre pure il terzo incomodo Gabriele Albertini continua ad attaccarlo sulle politiche per il lavoro e per l’abbraccio alla Cgil di Susanna Camusso. Questa settimana Ambrosoli inizierà a girare a bordo di un camioncino con un palco semimovibile per tutta la Lombardia. Della Lega dice: «Salvo solo Flavio Tosi».
Il 23 dicembre scorso lei si dichiarava in linea con l’agenda Monti. Cosa è cambiato da allora? Ora partecipa alle assemblee dei sindacati?
Non ho bisogno di smentire quelle affermazioni, che risalgono a prima che Monti decidesse di “salire” in campo. Sono convinto che gli interventi di rigore fatti dal suo governo, per il rispetto del debito pubblico e il rilancio a livello internazionale del Paese, siano stati importanti. Per questo non ho nulla da smentire.
Poi cosa è cambiato?
Quel movimento autonomo di tecnici ha cambiato approccio, ha scelto la politica e un programma che mostra un rigore economico eccessivo e poche tracce dello sviluppo necessario per il rilancio del nostro paese. Anche l’Europa ci chiede ora di imboccare la strada dello sviluppo.
Non avrebbe fatto la scelta di Monti?
E’ stata legittima. Lo capisco benissimo. C’è bisogno di un nuovo centrodestra, lontano dal forza-leghismo di Berlusconi e Maroni.
Ci vorrebbe anche un altro centrosinistra?
Noi stiamo facendo un’esperienza innovativa. La nostra coalizione è plasmata sull’importanza del ruolo e sulla lealtà delle persone: non siamo rinchiusi dentro l’armadio dell’obbedienza.
Da queste parti la sinistra non vince da quasi vent’anni
Eppure credo che oggi si chiuda un lungo ciclo. Il nostro è un progetto credibile perché guarda al futuro, insieme a chi ha creduto che l’ultima legislatura lombarda dovesse terminare per andare a elezioni anticipate. Con noi ci sono coloro che non accettano il solito binomio radicale Formigoni-Lega.
Albertini dice che lei è troppo statalista. La Fiom nei punti del programma prevedeva disincentivi alla delocalizzazione delle aziende.
Albertini può dire quello che vuole, ma il Patto civico che abbiamo sottoscritto come coalizione prevede un nostro programma, libero e indipendente. Certo, abbiamo ascoltato tutti i singoli, ma il progetto è condiviso e ha una propria autonomia.
Perché per 17 anni ha vinto Formigoni?
Tante le ragioni, tra queste la mancanza di un progetto capace di superare la sinistra lombarda classica. Fino ad oggi.
Ma lei non crede che il sistema di Comunione e Liberazione o quello della Compagnia delle Opere, protagonista in Lombardia, preferisca Maroni a lei?
Le politiche regionali di Formigoni e della Lega hanno vissuto una loro parabola. Oggi molti si rendono conto che un potere autoreferenziale alla fine tende all’autodistruzione. E credo che anche da quei mondi siano arrivate critiche al sistema Formigoni. C’è invece un contributo ideale importante che può essere recuperato da quei mondi. Per esempio guardo con interesse alla parole di Carron, il leader di Cl, quando esprime il concetto di «Rigenerazione»
Quindi voteranno per lei i ciellini?
Penso ci sia un profondissimo imbarazzo e disappunto su Roberto Formigoni e la Lega che oggi propone di tenere in vita quel sistema. Quel «giro di potere», come lo definisce Gustavo Zagrebelsky, è ormai esaurito.
Eppure i sondaggi la danno ancora a pochi punti di distanza da Maroni. C’è chi non avverte questa voglia di cambiamento.
Ci sono diversi studi a livello europeo che hanno confermato come in molte regioni il potere politico tende a consolidare il consenso negli anni, producendo una resistenza al cambiamento di colore. Ma già nel recente passato ci sono state esperienze positive, nel centrosinistra, ricordo per esempio quella di Riccardo Sarfatti. Di per sé il fatto di essere in un testa a testa con un candidato che sta da più di vent’anni in politica, che ha fatto il ministro per tanto tempo, è una condizione più che positiva.
C’è chi legge le sconfitte del centrosinistra attraverso l’accordo tra Coop e Cdo, tra Emilia Romagna e Lombardia, per appalti e spartizione del potere.
Sono chiavi di lettura, ma non ho elementi per giudicarne la fondatezza. In ogni caso la mia regione non si presterà a logiche di questo genere che sono contrarie al mercato e all’economia: la corruzione costa, e quel costo finiscono col pagarlo sempre i cittadini.
Albertini, oltre a fare le pulci a Maroni, pizzica pure lei sui costi della campagna elettorale
Ad Albertini dico che la democrazia ha un costo, del quale i nostri sostenitori si stanno facendo carico. I costi della campagna della Lega può immaginarli chiunque, basta vedere quanti sono i suoi manifesti in giro per la Lombardia. Il rendiconto di quello che spendiamo noi è sul nostro sito e lo aggiorniamo ogni 15 giorni: invito gli altri candidati a fare lo stesso. Riceviamo contributi di privati e siamo partiti con i fondi delle primarie per il Patto civico, 90mila euro – ne aspettiamo ancora 20mila. Se i partiti che sostengono la coalizione poi vorranno contribuire segneremo tutto quanto e informeremo i cittadini.
Molti lombardi che vogliono un cambiamento si lamentano del suo milanocentrismo. Non è che rimane un po’ troppo a Milano a fare campagna elettorale?
Il 31 gennaio partiremo per un lungo tour in Lombardia, dove toccheremo tutte le province, da Vigevano a Lecco, fino a Pavia, Como Bergamo…
Ci va in camper come Matteo Renzi?
Quasi. Useremo un track, un camion attrezzato con un palcoscenico mobile, con cui raggiungeremo le varie città e dove faremo comizi all’aperto, perché anche se questa è una campagna d’inverno vogliamo stare in piazza. E Renzi sarà dei nostri.
Eppure sembra ci sia meno entusiasmo rispetto alle elezioni comunali di Milano, quando Pisapia vinse contro Letizia Moratti
Mancano quattro settimane al voto, molti elettori si accorgeranno che ci sono le elezioni regionali tra un po’. Guardiamo con fiducia al rush finale e anche i movimenti che hanno appoggiato Pisapia ci stanno dando un grande aiuto a Milano, mentre in tutte le province si sono già costituiti comitati spontanei.
Non salva nulla dell’impero Formigoni?
Salvo solo i primi anni di Formigoni, quando come presidente aveva iniziato ad ascoltare i cittadini e le imprese. Poi però il suo governo ha preso una piega differente, con scelte molto opinabili.
Perché un cittadino lombardo dovrebbe scegliere un giovane avvocato che non ha mai governato e non votare invece un politico di esperienza come Maroni?
L’esperienza va misurata nella sua complessità. Maroni non è estraneo a quello che è successo in questi anni in Lombardia. Ricordo che andiamo al voto anticipato anche perché ci si è accorti che la ‘ndrangheta è arrivata a sedere in giunta. Non contesto a Maroni i risultati da ministro degli Interni, segnati dall’arresto di un alto numero di mafiosi. Mi chiedo però cosa abbia fatto per arginare il progressivo insediamento della criminalità organizzata in Lombardia e nel nord: non abbastanza, visti i risultati. E lo stesso vale per le politiche che la Lega ha proposto in questi anni. Adesso parlano di Macroregione, prima di Padania e Federalismo: ma in vent’anni non hanno conseguito nessun risultato.
Alcuni leghisti dicono che lei ha dalla sua parte la magistratura e i poteri forti. Si pente di essere sta nel consiglio di amministrazione del Corriere della Sera?
In Rcs sono stato consigliere indipendente, quindi a tutela dei piccoli azionisti, per questo mi è dispiaciuto rinunciare all’incarico, ma considero questa scelta indispensabile. Sul resto, sarebbe grave se un avvocato penalista non conoscesse i magistrati…
E lei cosa farebbe per fronteggiare la criminalità organizzata sul territorio?
Servono nuovi metodi, non basta un codice etico da rispettare per i candidati anche se una giunta e un consiglio irreprensibili lanciano un segnale forte, dicono: “qui non si entra”. Poi però serve un aiuto e un coordinamento maggiore di tutte le istituzioni. In questa battaglia ho già pensato di coinvolgere il magistrato Giancarlo Caselli.
Di Flavio Tosi cosa ne pensa? Spesso ha delle posizioni in controtendenza all’interno della Lega.
Mi pare un politico meno demagogico della media, che sta ottenendo dei buoni risultati nella città che amministra. Ecco la sua mi pare un’estrazione diversa da quella leghista. Anche se vicino alla Lega è una persona con cui dialogherei.