Con l’approvazione della legge 17 dicembre 2012, n. 221 (di conversione del decreto legge – c.d. “sviluppo-bis” o “crescita 2.0” – del 18 ottobre 2012, n. 179) si è chiuso positivamente il travagliato iter legislativo che ha visto il Governo Monti impegnato nello sforzo di riformare la legge n. 3/2012 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento).
La nuova disciplina introduce, per la prima volta nel nostro paese, la possibilità per i debitori esclusi dalla legge fallimentare (in particolare, i piccoli imprenditori e i consumatori) di accedere a una procedura che consente di comporre contemporaneamente ed in modo ordinato tutti i rapporti con i creditori, così da favorire l’uscita da una situazione di perdurante crisi finanziaria (c.d. sovraindebitamento).
Questo risultato è assicurato, primariamente, attraverso due fondamentali principi che governano la nuova procedura: il congelamento di tutte le azioni esecutive individuali promosse dai creditori contro il patrimonio del debitore e la possibilità per il debitore di ottenere la cancellazione di quella parte di debiti che non è in grado di ripagare in un determinato arco temporale (c.d. esdebitazione).
L’importanza dell’intervento riformatore del Governo si coglie nella forte rottura con la nostra tradizione giuridica che, a partire dall’Ottocento, ha trattato in modo diverso l’insolvenza dei piccoli imprenditori e dei consumatori (c.d. insolvenza civile) rispetto all’insolvenza commerciale, unica destinataria di un’ampia gamma di procedure (c.d. concorsuali) dirette alla composizione delle situazioni di sovraindebitamento. La crisi finanziaria del 2008 ha reso evidente come anche le piccole attività d’impresa o l’attività di consumo siano esposte ad un alto livello di rischio “sistemico”, essendo inserite in dinamiche di mercato (ad es., il mercato immobiliare o quello del credito al consumo) che per lo più sfuggono al controllo dei singoli.
Da qui il nostro ordinamento, conformandosi ad una scelta che negli ultimi 25 anni ha accomunato i principali paesi europei (ad eccezione della Spagna), ha ritenuto che anche l’insolvenza civile fosse meritevole di ricevere un nuovo e più adeguato trattamento giuridico che rappresenta un momento di particolare significato nel graduale processo che, nei secoli, ha visto la percezione sociale del debito eccessivo passare dall’idea di crimine disonorevole a quella di accidentale fatalità.
In particolare, la nuova disciplina consente al debitore di scegliere fra un doppio binario: da un lato, la ristrutturazione del sovraindebitamento attraverso un piano di composizione di una parte dei propri debiti e, dall’altro, una procedura liquidatoria con cui il debitore rinuncia ai propri beni al fine di pagare almeno in parte i creditori.
Inoltre, nel caso in cui il debitore sovraindebitato decida di proporre un piano di composizione della crisi, la riforma prevede due distinte procedure. Mentre la prima è accessibile a tutti i debitori non fallibili e consiste in un accordo di ristrutturazione dei debiti fra il debitore e i creditori che rappresentino il 60% dei crediti, la seconda è utilizzabile in via esclusiva dal consumatore sovraindebitato, cui è consentito proporre al Tribunale un piano di composizione della crisi a prescindere da un accordo con la classe creditrice.
Quest’ultima distinzione trova il suo fondamento in un’evidenza economica (di cui da tempo risalente si è preso atto nella più matura disciplina sul sovraindebitamento degli Stati Uniti) che mostra come i creditori non abbiano seri incentivi a raggiungere un accordo con il debitore-consumatore perché, diversamente da un debitore che esercita un’attività d’impresa, non può assicurare una continuità nel tempo delle relazioni economiche. Pertanto, mentre per le piccole imprese in crisi l’accesso alla procedura di composizione è rimesso all’autonomia dei privati (attraverso il raggiungimento di un accordo), con riguardo ai consumatori sarà invece il Tribunale a verificare la fattibilità e l’opportunità del piano di composizione.
Con il raggiungimento dell’accordo o con l’approvazione della proposta del consumatore da parte del Tribunale, tutti i creditori (compresi quelli titolari di un diritto di garanzia reale – c.d. privilegiati – e quelli dissenzienti) sono vincolati dal piano di composizione e si vedranno pagare soltanto una parte del loro credito. Al fine di raggiungere un ragionevole punto di equilibrio fra le due parti, l’intervento normativo prevede che ai creditori privilegiati e a quelli dissenzienti sia assicurato il pagamento di una somma non inferiore a quella che si sarebbe ricavata attraverso la procedura liquidatoria.
Al termine della procedura, nel caso di corretto adempimento degli obblighi derivanti dal piano di composizione, il debitore sovraindebitato ottiene la cancellazione dei debiti residui. Il principio dell’esdebitazione del debitore, introdotto in Inghilterra nel 1705 con riferimento ai mercanti e poi significativamente esteso negli Stati Uniti alla generalità dei soggetti, risponde all’idea secondo cui è socialmente desiderabile assicurare al debitore onesto ma sfortunato il reinserimento nel ciclo produttivo, evitando l’esclusione sociale di debitori gravati, in forma potenzialmente perpetua, dalla loro responsabilità personale (e patrimoniale).
In questo senso, l’esdebitazione si segnala come un importante strumento di protezione sociale di natura privatistica, di particolare rilevanza in un momento storico in cui i tradizionali ammortizzatori sociali pubblicistici si contraggono a causa dei programmi di austerità imposti per il controllo del debito pubblico. Il carattere di assicurazione sociale contro l’insolvenza dell’effetto esdebitatorio giustifica, allora, la scelta del Governo di rimettere ad un organo pubblico indipendente, il Tribunale, e non ai creditori la decisione di concedere al consumatore sovraindebitato una seconda chance e di consentirgli di tornare a esercitare un’attività di impresa e a consumare.
Infine, si deve segnalare come la riforma in oggetto, cosciente degli insegnamenti restituiti dalla crisi finanziaria del 2008 e consapevole che livelli di consumo eccessivi (favoriti da tecniche di finanziamento sempre più aggressive) pongono un rischio non solo per il consumatore ma per l’intero sistema economico, ha sottoposto il beneficio dell’esdebitazione dei consumatori a un controllo da parte del Tribunale. In particolare, per evitare che una concessione troppo tollerante del beneficio dell’esdebitazione possa alimentare scelte finanziarie e di consumo eccessivamente rischiose, il legislatore ha riservato al giudice il compito di verificare che il consumatore non abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere o che non abbia colposamente determinato lo stato di sovraindebitamento per mezzo di un ricorso al credito al consumo non proporzionato rispetto alle proprie capacità patrimoniali.
In questo modo il Governo ha preso le distanze dagli approcci più liberali nella concessione del beneficio dell’esdebitazione, tipici dei paesi di common law, e, coerentemente con la scelta fatta propria dall’esperienza dei paesi scandinavi, ha rimesso al centro della procedura la figura del debitore onesto ma sfortunato, il cui stato d’indebitamento, fisiologico nel momento della sua assunzione, è divenuto patologico a causa di uno shock esogeno (ad es., una malattia, la perdita del posto di lavoro, il divorzio) non imputabile ad una sua condotta colposa.
*Giacomo Rojas Elgueta è Ricercatore confermato in Diritto privato presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Roma Tre