Accolta da risolini e ironie, l’ennesima discesa in campo di Silvio Berlusconi sembrava quasi una barzelletta. Sarcastici i suoi avversari politici, poco convinti i più fedeli parlamentari. A giudicare dalla reazione degli elettori, sbagliavano entrambi. Il Cavaliere non vincerà le elezioni. Salvo miracoli. Ma rimarrà un protagonista – nel bene o nel male – anche durante la prossima legislatura. La sua presenza in campagna elettorale non sarà secondaria. Il centrodestra rischia di rendere la vittoria di Bersani e Vendola più difficile del previsto.
Ieri notte Berlusconi ha chiuso l’accordo con la Lega Nord. Non che ci fossero troppi dubbi (al netto delle finte reticenze dei leghisti nelle ultime settimane). L’alleanza era necessaria tanto per il Pdl quanto per il partito di Roberto Maroni. Adesso l’ex ministro dell’Interno può legittimamente aspirare alla presidenza della Lombardia. Il Cavaliere vede aumentare sostanzialmente il peso della sua coalizione. Il sogno di Berlusconi prende corpo. Palazzo Chigi non sarà a portata di mano – dopotutto l’intesa con la Lega prevede che in caso di vittoria lui non sarà più il premier – ma lo scontro elettorale si apre. Numeri alla mano, i partiti a sostegno di Mario Monti sono ampiamente superati. Il centrosinistra non è più così distante.
Per carità, queste elezioni non può che vincerle il Partito democratico. Tutti i sondaggi ormai assegnano al Pd poco più del 30 per cento dei consensi. La coalizione con Nichi Vendola, i socialisti di Nencini e il movimento di Tabacci e Donadi è ben avviata verso il 40 per cento. Eppure Berlusconi rischia di confermarsi un valido avversario. Altro che barzellette. In trance agonistica – e in overdose di presenze radiotelevisive – l’ex premier ha assicurato di aver recuperato il 10 per cento delle preferenze solo nelle ultime due settimane. Riportando il Popolo della libertà oltre il 20 per cento. Probabilmente si tratta di bluff elettorale. D’altronde, spiegava il cancelliere von Bismarck, «non si dicono mai tante bugie come prima delle elezioni, durante una guerra e dopo la caccia». Eppure il partito di Berlusconi è effettivamente in crescita.
Avevano dipinto Il Pdl come un movimento allo sbando. Senza fondi, senza strutture, senza seguito. I dirigenti pronti ad abbandonare Berlusconi, ognuno in libera uscita. Tutti in cerca di una poltrona sicura, altrove. Eppure il Popolo della libertà è rimasto – salvo qualche eccezione – compatto. E questo nonostante Berlusconi abbia più volte assicurato di non voler ricandidare gran parte dei parlamentari in carica. Soprattutto, il Pdl è tornato a crescere nei sondaggi. Era finito sotto il 15 per cento. Superato persino da Beppe Grillo (che invece potrebbe agevolmente conquistare più voti dei centristi di Mario Monti). Ma oggi i principali sondaggisti politici confermano che il partito del Cavaliere è ormai prossimo alla soglia del 20 per cento.
Il Pdl e non solo. La coalizione guidata da Berlusconi – nonostante la confusione sull’identità del candidato premier, l’intesa con il Carroccio prevede che il leader dell’alleanza sia il Cavaliere – è articolata. C’è la Lega di Maroni, che vale tra il 4 e il 6 per cento. Ci sono il Grande Sud di Gianfranco Miccichè e la Destra di Francesco Storace. E un altro 2 per cento dovrebbe arrivare da Fratelli d’Italia, la neoformazione di Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Guido Crosetto. Abbastanza per considerare il 30 per cento un obiettivo tutt’altro che irraggiungibile. Berlusconi ovviamente va oltre. Cerca di galvanizzare i militanti, di convincere gli indecisi. Insomma, fa il suo mestiere. E punta in alto: al 40 per cento. «Penso sia agevole – ha spiegato – riportare a casa quegli elettori che dal 2008 a oggi sono stati delusi». Non è un caso se da qualche settimana sia tornato, insistente, anche il refrain sul “voto utile”.
Raggiungere il risultato di cinque anni fa sembra francamente impossibile. Una meta realisticamente irraggiungibile anche per i berlusconiani più incalliti. Eppure dalla campagna elettorale in corso l’ex premier non ha che da guadagnarci. La spinta del Partito democratico – avviata durante la stagione delle primarie – sembra essersi arrestata. Il progetto di Mario Monti non decolla (la coalizione unita attorno al presidente del Consiglio oggi è quotata tra il 13 e il 15 per cento). L’assidua presenza mediatica del Cavaliere, le sue capacità televisive, la sua indiscussa arte di “venditore” sono a suo favore. Non è un mistero, peraltro, che quasi il 20 per cento delle preferenze sarà assegnato nell’ultima settimana. Sono i voti degli indecisi più estremi, quelli che scelgono chi votare solo nel segreto dell’urna. O poco prima. I più influenzati dalla campagna elettorale.
Berlusconi non tornerà a Palazzo Chigi. Chi è ossessionato dal Cavaliere può dormire sonni tranquilli. Eppure il ritorno dell’ex premier rischia di rivoluzionare il quadro politico. L’ipotesi di un pareggio al Senato – dove i premi di maggioranza sono assegnati regione per regione – si fa più concreta. Il centrodestra potrebbe superare gli avversari in Lombardia, Sicilia, Veneto. Tutte circoscrizioni che regalano un numero importante di seggi. Per il Pd si riaffaccia l’incubo del 2006. Quello dell’ultimo governo Prodi, caduto dopo un biennio alle prese con la risicata maggioranza di Palazzo Madama. Per evitare sgambetti, stavolta Bersani sarebbe obbligato a un accordo con la coalizione di Mario Monti. Da Montezemolo a Casini, passando per Fini. All’insegna di complicati compromessi politici, la strada della legislatura si farebbe molto più incerta. E forse più breve.