“Se Andrew Sullivan è il futuro del giornalismo, allora il giornalismo è fottuto”. Il parere tranchant di Mark Ames, pubblicato su NSFWCORP, fa capire quanto la questione sia spinosa, catalizzante, in grado di polarizzare le opinioni degli uomini in campo. Del resto, quando un blogger dà una notizia, significa che ha svolto bene il suo lavoro; quando però è il blogger stesso a “diventare” la notizia, come nel nostro caso, la contingenza diventa inusuale. Eppure, nel caso di Andrew Sullivan, non è certo la prima volta.
Sullivan, dicevamo, è riuscito a creare un piccolo “terremoto” nel dibattito sul futuro dei blog e dell’informazione online. Come? Semplicemente, decidendo di rendere il suo blog indipendente, abbandonando il porto sicuro del Daily Beast, dov’era ormeggiato dal 2011, per tentare di salpare verso terre inesplorate, in mare aperto. Senza l’appoggio di una grande testata, il blog – ormai per Sullivan diventato un lavoro a tutti gli effetti – dovrà reggersi sulle sue gambe: fortunatamente per lui, gli arti sembrano abbastanza solidi da contenere l’urto. The Dish, infatti, è uno dei blog “personali” più letti d’America.
Nato nel 2000, il blog di Sullivan può contare oggi su più di un milione di visitatori unici al mese. Tra i cinque e i dieci contenuti originali vi vengono pubblicati ogni giorno: riflessioni personali che il 49enne inglese scrive da una piccola mansarda all’ultimo piano della sua casa, ma anche indiscrezioni, spigolature, brevi poesie, foto e video. Una “macchina da guerra” che, col tempo, ha trovato ospitalità sui server di TIME, Atlantic Monthly – dove costituiva un terzo del traffico totale del sito – e The Daily Beast. Ora, però, Sullivan è convinto che sia arrivato il momento di andare a vivere da solo, e con l’arrivo del nuovo anno ha annunciato la decisione di rendere il Dish completamente autonomo.
La vera “novità” della decisione di Sullivan, che non ha mai nascosto le sue simpatie repubblicane, sta nella formula che il Dish adotterà per sostenersi: non la pubblicità, giudicata (a ragione, secondo me) troppo invasiva per il lettore, quanto piuttosto una formula freemium che offrirà agli utenti la possibilità di sottoscrivere una sorta di abbonamento annuale da 19,99 dollari. Una donazione che si traduce in un vero e proprio supporto incondizionato al prodotto editoriale, dal momento che l’accesso ai contenuti – ad esclusione di qualche post più lungo – resterà comunque libero e gratuito, attraverso link diretti e feed RSS. Una scelta con il fine preciso di non rallentare il traffico che giunge copioso, minuto dopo minuto, sulle pagine del Dish.
Una “scommessa sui lettori”, l’ha definita Sullivan che, almeno in queste prime battute, sta riscuotendo un grande successo: in pochi giorni infatti, il blogger ha già raccolto più di 400mila dollari. Per molti, quella tracciata dall’ex direttore del New Republic sarebbe una strada verso il futuro del giornalismo online. In un mondo, quello del web, che quotidianamente ricerca modelli sostenibili in grado di garantire lo sviluppo e la sopravvivenza del giornalismo, in particolare quello di qualità, i blog costituiscono sicuramente un materiale importante su cui sperimentare, data la loro flessibilità ed elasticità di posizionamento e formato.
Giuseppe Granieri, su L’Espresso, ha definito “interessante” la scelta di Sullivan, sostenendo l’importanza della creazione di un “precedente” replicabile anche in altre scale di valori: “Non vedo impossibile che si creino condizioni per «correre da soli» con maggiori vantaggi. Il mondo sta cambiando in fretta e ci sono mille fattori che concorrono a cambiarlo ogni giorno. Se io fossi un giovane giornalista investirei su questo. Quarant’anni di carriera sono un tempo troppo lungo per pensare di restare vincolati alle vecchie logiche (già in crisi oggi)”. Eppure, la sfida di del Dish si preannuncia non semplice. Secondo Felix Salmon di Reuters, il blog avrà bisogno di circa 750mila dollari all’anno per continuare ad esistere. Soldi necessari a pagare dei server all’altezza, l’affitto di una redazione, il lauto onorario di Sullivan e dei sette collaboratori che lo aiutano quotidianamente.
In ogni caso, il blogger atterrerà sul morbido, un’evenienza che ad alcuni potrebbe far storcere il naso. Del resto, cosa rischia davvero Sullivan? Male che vada, troverà sempre qualche testata disposta a fare carte false pur di ospitare The Dish. Ed è vero; ma è anche vero – guardandola da una diversa angolazione – che Sullivan è tra i pochissimi, in questo momento, in grado di lasciare la strada vecchia per quella nuova senza troppi rimorsi. Bisogna applaudire, in questo senso, la sua scelta: serve qualcuno che provi a spingere sempre più in là il limite, anche a costo di dover tornare sui propri passi. Come andrà a finire, lo scopriremo solo a partire dal primo febbraio. Direttamente su andrewsullivan.com.