«Rapporto n. 460/2009 – Revisione sul processo di finanza proprietaria del Gruppo Montepaschi effettuata dal 5 agosto al 30 settembre 2009». In questo documento interno ottenuto da Linkiesta, c’era già la fotografia di quello che Mps era diventata: “un hedge fund di fatto” da 24,89 miliardi di euro, con una banca intorno. Al di fuori di ogni controllo. A tal punto che, nonostante il rapporto fosse sul tavolo del consiglio di amministrazione del 14 gennaio successivo, nessuno bloccò la crescita del «Portafoglio titoli e derivati di proprietà del Gruppo»: era questo il rassicurante nome con cui l’hedge fund di fatto operava all’interno della banca senese.
Così gli investimenti speculativi sono lievitati fino ai 38 miliardi di euro, evidenziati dal bilancio 2011, senza che le ristrutturazioni su alcune di queste operazioni, come quelle sui veicoli Alexandria e Santorini, risolvessero il problema, ma anzi aggravandolo. La poltica di investimenti era aggressiva. Si è speculato su tutto: pure sull’Italia. Tramite veicoli di finanza strutturata, Mps garantiva la solvibilità del Tesoro italiano. Una struttura, nota un esperto di derivati sentito da Linkiesta, apparentemente senza senso: «Nessuno comprerebbe protezione su un titolo sovrano da una banca sotto giurisdizione dell’emittente sovrano». Eppure così è stato, anche se oggi è il Tesoro a salvare Mps con un prestito da 3,9 miliardi di euro.
L’operazione, battezzata “Nota Italia”, aveva un valore nominale di 500 milioni e scadenza nel 2037, ed era collegata a un veicolo finanziario irlandese, Corsair Finance, messo su da Jp Morgan. Proprio stasera, la banca presieduta da Alessandro Profumo ha comunicato di «aver recentemente ristrutturato tale investimento mediante l’eliminazione della sua componente derivativa legata al rischio sovrano Italia e che, a seguito della chiusura del derivato, la rimanente parte dell’investimento iniziale rimane correttamente classificata tra i Loans and Receivables».
Un allegato del rapporto 460/2009 spiega cosa è Nota Italia:
«L’operazione in oggetto appartiene alla famiglia delle cartolarizzazioni sintetiche “credit link note”. In breve, la posizione consiste nella vendita di protezione sui titoli emessi dalla Repubblica Italiana con scadenza 2037 verso un rendimento pari all’Euribor a 3 mesi + 25 punti base. L’investimento è articolato nel modo seguente:
– la società veicolo emette le note, le quali sono sottoscritte dalla banca;
-la società veicolo investe le risorse finanziarie raccolte con l’emissione delle note acquistando un titolo con rating AAA (Corsair a tasso variabile scadenza a febbraio 2037), il quale rappresenta il collaterale dell’operazione e vende protezione sul nome Italia, attraverso un credit default swap. Infine, considerando che il collaterale è in dollari, il veicolo copre il rischio di cambio sottoscrivendo un cross currency swap».
Fonte: Mps, Rapporto n. 460/2009, allegato 6
Quanto ha reso «Nota Italia»? In attesa di spiegazioni ufficiali da parte della banca, che ha promesso chiarimenti «entro la prima metà del mese di febbraio», vale la pena di rileggere quello che veniva scritto nel rapporto 460/2009, che porta la firma di Andrea Furlani e di altri sette revisori del Servizio audit rischi.
«In merito alla redditività dell’investimento, tenuto conto che attualmente il Btp con scadenza 2037 ha un rendimento lordo pari al 5% circa, il margine finanziario dell’operazione risulta scarso, considerato che attualmente l’Euribor 3 mesi ha una quotazione pari allo 0,74%, per cui se si somma lo spread di +25 basis point, l’operazione ha attualmente un rendimento inferiore all’1 per cento.
In conclusione, se l’Area finanza avesse investito direttamente sul Btp con scadenza 2037 anziché entrare nell’operazione Nota Italia, la reddività sarebbe stata maggiore del 400%. Inoltre, l’investimento diretto sui Btp avrebbe limitato anche i rischi di credito assunti, visto che il collaterale dell’operazione è rappresentato da un titolo emesso dalla controparte Jp Morgan e, di conseguenza, la banca ha assunto il rischio di credito di quest’ultima, il cui spread creditizio nell’ultimo anno è stato quasi sempre superiore a quello dell’Italia».
Fonte: Mps, Rapporto n. 460/2009, allegato 6
In quel momento la sola Area finanza – guidata da Gianluca Baldassari, che lascia la banca a marzo 2012, due mesi dopo l’arrivo dell’attuale amministratore delegato Fabrizio Viola – aveva investito 1,71 miliardi di euro in titoli strutturati di ogni genere: Abs, Cdo, Cdo Squared, Cdo Cub, Cdo di Abs, Credit spread linked, Synthetic Loan Cdo, Credit link note of Special purpose entity, e poi Spi-Synthetic portfolio insurance e Cppi-Constant proportion porftolio insurance. Alla data del 30 settembre il valore di mercato di tutti questi strumenti era però inferiore di oltre 200 milioni (1,48 miliardi).
Nei documenti messi a disposizione degli amministratori, sindaci e revisori, c’è anche un cenno alla ristrutturazione di Alexandria, un Cdo-squared sottoscritto per 400 milioni di euro, prima ancora che Mussari fosse nominato presidente di Mps «Per quanto riguarda invece la posizione Alexandria detenuta nei portafogli delle filiali estere, la verifica eseguita ha evidenziato un miglioramento gestionale del merito creditizio espresso dal mercato; tale variazione è connessa ad una rimodulazione del sottostante effettuata nel corso dell’ultimo trimestre», si legge. Dai verbali del cda del 14 gennaio 2010, che Linkiesta ha potuto consultare, non risulta che gli amministratori o i sindaci abbiano sollevato domande specifiche su Alexandria e sulla relativa ristrutturazione.
La ristrutturazione di Alexandria sarebbe servita solo a coprire le perdite pregresse, in modo non dissimile da quanto accaduto con il veicolo Santorini, come ha rivelato il Fatto quotidiano. Sembrerebbe che, sulla base di un accordo rimasto segreto fino ad ottobre 2012, la banca abbia estinto l’operazione a un valore superiore a quello di mercato, e che poi abbia “compensato” la controparte Nomura sottoscrivendo, a sua volta a prezzi non di mercato, «un asset swap e due operazioni pronti contro termine a 30 anni legate a tale swap». Il gioco è a somma zero a condizione che tutto venga comunicato e soprattutto contabilizzato correttamente: e non sembra sia stato così. Nomura ha precisato che la ristrutturazione «è stata esaminata e approvata, prima della sua esecuzione, ai massimi livelli di Mps, incluso il cda e (l’allora) presidente Mussari».
Fra gli altri investimenti, l’audit interno evidenziò anche i 50 milioni puntati su Classic Finance (un “Cdo di Abs” strutturato da Dresdner Bnk) e i 16,7 milioni su Colomb Tv, una cartolarizzazione realizzata da una società che aveva acquisto i prestiti dell’ex Credito Fondiario, tutti passati per filiali e controllate estere. La controllata Monte Paschi Ireland gestiva un portafoglio di 1,5 miliardi in titoli obbligazionari emessi da banche italiane e da società dello stesso gruppo Mps. Secondo una nota diffusa ieri da Rocca Salimbeni, la richiesta di incremento dei Monti Bond per 500 milioni, che si aggiungono ai 3,4 miliardi inizialmente previsti, metterà la banca «in condizioni di assorbire, dal punto di vista patrimoniale, le conseguenze delle scelte finanziarie, contabili e gestionali» su Alexandria, Santorini e Nota Italia.
Quanto alla posizione più rilevante, quella in Btp, che nel tempo èarrivata fino a 26 miliardi nominali, emerge che tutti in Mps erano stati messi al corrente del fatto che la strategia dell’Area finanza era «unidirezionale»: una scommessa, insomma, da hedge fund. «Ciò – scrivono Furlani e i colleghi – potrebbe esporre a «loss considerevoli in presenza di sensibili incrementi degli spread creditizi». Quando due anni più tardi, la banca sarà travolta dall’aumento degli spread sui Btp, Mussari fu in prima linea nell’attaccare l’Eba, l’Autorità bancaria europea che aveva evidenziato carenze patrimoniali per 3,1 miliardi, appena pochi mesi la chiusura dell’aumento di capitale da 2,1 miliardi del giugno 2011. Alla fine, il risultato finale del test Eba ha rilevato necessità di capitale aggiuntivo per 1,7 miliardi. Per questa ragione il Tesoro ha dovuto predisporre un nuovo intervento di salvataggio (i Monti bond).
Eppure né Mussari né gli altri amministratori potevano dire di cadere dalle nuvole. Erano stati messo sull’avviso. Dalle strutture interne della banca. Sin da fine 2009. Nell’analizzare gli impatti che eventuali variazioni di tassi o del rischio sovrano avrebbe avuto sul portafoglio Btp (sensitivity analysis) , gli estensori del rapporto n. 460 parlavano chiaro:
«Si osserva che la categoria “sovereign”, all’interno della quale sono classificate le posizioni in Btp, è quella che presenta il maggior risultato negativo a seguito di variazioni di sensitivity [variazione del valore dell’investimento al variare di uno o poiù parametri, per esempio i tassi di interesse, ndr].
(…) Dalla simulazione condotta emerge che applicando uno shock di +25 punti base sulla curva dei tassi, il Profit & Loss dell’Area finanza subisce una perdita di circa 73 milioni, di cui 54 milioni imputabili al solo Btp 2034. In conclusione si può affermare che il book dell’area finanza risulta esposta in misura considerevole al rischio tasso.
«I rischi associati a tali operazioni sono notevoli: possibile downgrade e/o allargamento dello spread sulle emissioni del governo italiano, elevato rischio emittente e considerevoli effetti anche in termini di incremento degli incremneti patrimoniali».
Fonte: Mps, Rapporto n.460/2009, allegati 1 e 6
A verifiche concluse, il giudizio degli ispettori interni fu «in prevalenza non favorevole». Vennero rilevati gravi carenze organizzative, informatiche e soprattutto di controlli interni, transazioni sospette. Il rapporto parla anche di «prolungati sconfinamenti nei limiti assegnati» e di «elevata esposizione ai rischi operativi neell’ambito dell’intera filiera accentuata dalla presenza di numerosi interventi manuali». Colpisce l’assenza di gestione e di visione unitaria del portafoglio di proprietà che era sparso fra la capogruppo, Mps Capital Services, Biverbanca, le filiali estere e le controllate Monte Paschi Ireland, Mps Banque di Parigi, Monte Paschi Belgio, Monte Paschi Monaco. Nel complesso, colpisce l’approccio disordinato e quasi artigianale a strategie molto rischiose. Tanto più sorprendente perché era stato proprio il cda nella seduta del 14 maggio 2009 a deliberare un «nuovo impianto strategico di investimento volto ad incrementare il margine di interesse del portafoglio di trading book di finanza proprietaria». Forse si presumeva che la banca avesse una struttura capace di gestire adeguatamente i rischi. Nella delibera, peraltro, non vi erano «vincoli né in termini di tempistica di attuazione delle strategie né in termini di limiti alle modalità operative di realizzazione». Da un successivo rapporto (n. 372 del 28 settembre 2010), risulta che la «messa a regime del nuovo assetto», deliberata dal cda all’inizio dell’anno, «non risulta essersi ancora pienamente concretizzata», a dispetto dello «sforzo compiuto nel primo semestre».
Nel frattempo arrivò un’ispezione della Banca d’Italia (dall’11 maggio al 6 agosto 2010), che focalizzò l’attenzione anche sugli investimenti di finanza strutturata, incluse le operazioni con Nomura e Deutsche Bank. Il documento firmato dal capo ispettore Vincenzo Cantarella porta la data del 29 ottobre 2010 e precisava che Mps avrebbe dovuto rispondere entro 30 giorni, dopo aver sottoposto il verbale «all’esame degli organi con funzioni di supervisione strategica, di gestione e di controllo, in apposita riunione». Il giudizio conclusivo fu negativo: «L’accertamento ha fatto emergere risultanze parzialmente sfavorevoli da iscrivere nel quadro valutativo del periodico processo di revisione prudenziale».
Rilievi e osservazioni delle Banca d’Italia su Mps
«Alcuni investimenti a lungo termine finanziati con repo [pronti contro termine, ndr] di pari scadenza presentano profili di rischio non adeguatamente controllati né compiutamente riferiti dall’esecutivo all’organo amministrativo.
In particolare, per effetto di clausole contrattuali richiedenti margini di garanzia aggiuntivi al titolo, si sono determinati consistenti assorbimenti di liquidità (oltre 1,8 miliardi di euro) riferiti a due operazioni, del complessivo importo nominale di 5 miliardi, stipulate con Nomura Plc e Deutsche Bank Londra. L’accordo con quest’ultima controparte presenta ulteriori risvolti. Nel dicembre 2008 erano stati infatti acquistati 2 miliardi di Btp (2018 e 2020), legati a finanziamenti il cui costo dipendeva da variabili spiccatamente aleatorie Si è così generato un fair value negativo del repo, incorporato a luglio 2009 in un nuovo contraatto che ha prolungato sino al 2031 penalizzanti condizioni di finanziamento (mediamente 280 punti base sull’Eonia swap, con mark to market negativo a fine ispezione di 265 milioni).
La rischiosità dell’operazione – poco coerente con la missione dell’unità sui cui libri è stata collocata – non era stata all’origine recepita nel Value at Risk interno (l’inclusione della posizione, a novembre 2009, ha accresciuto del 30% il VaR del banking book).
Sta di fatto che il Btp/repo di dicembre 2008 era contemporaneo a un altro di pari importo nominale intercorso tra la stessa Deutsche e la controllata Santorini, con funding ancorato a fattori in gran parte antitetici al primo. Il positivo esito finale di tale seconda operazione veniva a compensare le perdite allora in formazione in un collared equity swap in essere fra i medesimi soggetti [leggi “Santorini”, ndr]».
Fonte: BdI, Rilievi e osservazioni su ispezione 11 maggio – 6 agosto 2010
Neanche dopo l’ispezione l’hedge fund dentro Mps venne fermato. Il «carry trade» proseguì fino al tragico epilogo. In una nota diffusa in serata, la Banca d’Italia ha precisato che «la vera natura di alcune operazioni riguardanti il Monte dei Paschi di Siena riportate dalla stampa è emersa solo di recente, a seguito del rinvenimento di documenti tenuti celati all’Autorità di Vigilanza e portati alla luce dalla nuova dirigenza di Mps». Le operazioni «sono ora all’attenzione sia della Vigilanza sia dell’Autorità giudiziaria, in piena collaborazione. Gli approfondimenti e le indagini sono coperti da segreto d’ufficio e da segreto istruttorio». Mps continuò a comprare titoli governativi, indebitandosi a tassi più bassi, e dando in garanzia gli stessi titoli; e realizzò strutture di asset swap in Btp a 30 anni, senza tuttavia coprirsi dal rischio sovrano. Per un totale di 38 miliardi a fine 2011.
Quando l’Eba chiese di reintegrare il capitale, Mussari non la prese bene. «L’Abi intende percorrere tutte le strade possibili, compresa quella legale, per contrastare l’esercizio dell’Eba», minacciò l’11 dicembre 2011, parlando in quell’occasione anche come presidente dell’associazione delle banche italiane, posizione dalla quale si è dimesso ieri. Il 25 agosto 2010, alla festa provinciale del Partito democratico di Siena, che la banca ha sempre sponsorizzato (anche con il nuovo corso), Mussari rivendicò: «La Banca Monte dei Paschi di Siena è in salute, seppur in una situazione di crisi economica nazionale e internazionale, senza precedenti. Adesso è in gioco il futuro del Paese e le banche, insieme alle imprese, possono fare la loro parte per rendere più veloce la crescita». L’allora deputato Pd – storica sponda politica di Mussari a Siena, poi sindaco e oggi di nuovo candidato al Comune sempre per lo stesso partito – non aveva dubbi: «Tutte le banche stanno ancora scontando le difficoltà di un ciclo economico recessivo che penalizza particolarmente quelle che basano la loro attività sul credito, come Mps, e non fanno finanza speculativa ad alto rischio».
Twitter: @lorenzodilena