Un gioco interessante da fare in questi giorni è provare a immaginare lo scandalo di Banca Monte dei Paschi di Siena in un’ottica europea. In altre parole, pensare cosa sarebbe successo se le malversazioni della più antica banca del mondo fossero avvenute in un altro Paese, o sotto la vigilanza della Banca centrale europea (Bce), che assumerà questo ruolo nel 2014. Siena e il suo istituto bancario, il terzo d’Italia, rischiano di diventare il simbolo del fallimento del modello italiano di fare banca.
I fatti sono noti. Tramite diverse operazioni su derivati finanziari, di cui si è ampiamente scritto negli ultimi giorni, sono state nascoste perdite per circa 700 milioni di euro. Potrebbero essere anche di più, data l’esposizione di Mps sui derivati e la tendenza, piuttosto usuale, della banca a fare questo genere di transazioni. Abs, Cdo, Cdo Squared, Cdo Cub, Cdo di Abs, Credit spread linked, Synthetic Loan Cdo e altri strumenti dai nomi che possono sembrare bizzarri, ma che rimandano allo spettro di Lehman Brothers, la banca statunitense collassata nel settembre 2008. E infatti le domande che sorgono spontanee sono le stesse.
Come nel caso di Lehman Bros, è possibile che le autorità di vigilanza non fossero a conoscenza di cosa succedeva all’interno della terza banca italiana? Come mai in ambito europeo, nonostante gli stress test condotti dall’European banking authority (Eba), non sono emerse le criticità che oggi sono l’asse portante dello scandalo? E ancora, come mai i revisori contabili non hanno trovato nulla da recriminare al management della banca senese?
Le domande a cui dovrà rispondere la Banca d’Italia, ovvero il sorvegliante bancario supremo in Italia, sono tante. Allo stesso tempo sono diverse le questioni irrisolte in ambito europeo. Come avvenuto nel caso di Dexia, la banca franco-belga finita a gambe all’aria nel 2011, e nel caso di Bankia, l’istituto spagnolo saltato nel 2012, anche quello di Mps può essere usato come esempio della gestione bancaria tipica degli Stati di appartenenza di questi operatori. Per Dexia, l’uso smodato di derivati finanziari, fino ad avere un leverage talmente grande da mettere a rischio la sopravvivenza della banca. Per Bankia, la sovraesposizione al mercato immobiliare spagnolo. Per il Monte dei Paschi di Siena, la correlazione fra inciuci politici e scandali finanziari.
Negli stress test di fine 2011 l’Eba disse che Mps aveva bisogno di nuovi capitali per circa 3 miliardi di euro. E l’authority guidata da Andrea Enria diede alle banche europee coinvolte nel processo di verifica fino al 30 giugno dell’anno successivo, il 2012, per mettersi a posto e rafforzare il proprio capitale. Nonostante tutto il tempo a disposizione, al 30 giugno 2012 a Mps mancavano ancora 1,728 miliardi di euro. Numeri importanti. E dire che Enria conosce bene il panorama della regolamentazione, sia italiana sia europea. Dal 1999 al 2004 si è occupato di supervisione bancaria alla Bce, fino a diventare il capo della divisione specifica. E poi, dal luglio 2004 al luglio 2008, quindi prima dello crollo di Lehman Brothers, è stato segretario generale del Committee of european banking supervisors (Cebs). Infine, dall’agosto 2008 fino all’incarico all’Eba, Enria è stato capo del Servizio normativa e politiche di vigilanza della Banca d’Italia. E nel novembre 2010, proprio il futuro capo dei sorveglianti europei tenne un’audizione presso la Camera dei deputati dal titolo “Lo stato del sistema bancario italiano e le prospettive per l’attività normativa”. In questa audizione, ironia della sorte, Enria discuteva dell’attuazione di due direttive europee, la CRD 3 (Capital Requirements Directive) e la UCITS 4 (Undertakings for Collective Investment in Transferable Securities). In particolare, diceva Enria, la CRD 3 riguardava, fra le altre cose, «l’introduzione di un regime prudenziale più rigoroso per la detenzione di titoli frutto di cartolarizzazione, regole rafforzate per i requisiti patrimoniali a fronte dei rischi di mercato assunti dalle banche». Proprio ciò su cui è caduta Rocca Salimbeni. E la nuova normativa è arrivata solo nel 2012.
Il caso di Mps è l’esempio del sistema bancario italiano. Le commistioni fra universo finanziario, regolatori, vigilanti e politica hanno garantito la copertura delle diverse operazioni condotte da Mps negli ultimi anni. A parole, l’abbraccio mortale fra questi attori dovrebbe rompersi. Nello scorso dicembre, infatti, il Consiglio europeo ha dato il via al processo di vigilanza bancaria centralizzata in ambito comunitario, che sarà data in seno alla Banca centrale europea di Mario Draghi. A dicembre il presidente del Consiglio Mario Monti disse tale meccanismo sarà il fulcro per spezzare «il circolo vizioso tra crisi dei debiti sovrani e sistemi bancari». Eppure, qualcosa non torna.
Il Monte dei Paschi di Siena è una banca italiana. Ed essendo con attivi superiori ai 30 miliardi di euro, sarà soggetta al controllo della Bce dal 1 marzo 2014. Questo significa che sarà ancora una volta Mario Draghi a doversi occuparsi di cosa accade sotto l’ombra di Rocca Salimbeni. Oggi i mercati finanziari, e non è un caso, hanno reagito male alle ultime indiscrezioni arrivate da Siena: il titolo è crollato nuovamente a Piazza affari e i Credit default swap sono schizzati al rialzo di 80 punti base. Come rivelato da Linkiesta, le conclusioni del verbale ispettivo condotto dalla Banca d’Italia nel 2009 furono ignorate. In pratica, il vigilante beffato e la banca salvata. Uno scenario che si potrà evitare in futuro tramite la sorveglianza centralizzata. Forse.