“Gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno”. Lo faceva notare Sciascia ne Il giorno della Civetta. La linea dell’olivo, invece, l’hanno spostata gli uomini. A bordo di tir e dentro container, negli ultimi dieci anni l’hanno trascinata lungo le autostrade italiane, dalle campagne di Calabria e Puglia fin dentro le nebbie e le gelate mattutine del Nord: nei giardini delle ville in Veneto, nei parchi degli hotel lombardi, sul bordo di piscine piemontesi. Estirpato dal luogo d’origine, l’olivo è diventato il pezzo pregiato di tante location, ovviamente a condizione di essere secolare, monumentale e suggestivamente nodoso. Con un’operazione che, nell’esclusivo rispetto delle regole della domanda e dell’offerta, ha ignorato altri elementi. Primo tra tutti, il destino delle zolle rimaste vuote a Sud.
Con oltre 2 milioni di piante, il 70% della superficie occupata da oliveti, e una specie che non ha eguali per bellezza e dimensioni, la Piana di Gioia Tauro è tra i principali fornitori di un mercato partito in sordina agli inizi del Duemila, e oggi dilagante tra annunci di privati su siti on line e servizi di aziende specializzate. Il messaggio è quasi sempre lo stesso: «Vendo bellissimi olivi secolari calabresi, possibile scegliere tra diverse dimensioni, ottimi per decorazione di ville e giardini». Davvero uno strano scherzo del destino.
Nella Piana di Gioia Tauro l’olivo non è mai stato considerato decorativo. Piuttosto è andato a braccetto con il sudore, il pane, le battaglie civili, la resistenza. Le lotte bracciantili degli anni Cinquanta si tradussero da queste parti proprio nell’occupazione degli oliveti dei grandi proprietari e nelle rivendicazioni di dignità e diritti per le raccoglitrici d’olive. Sotto le fronde le battaglie non sono mai finite.
A partire dagli anni Settanta la ’ndrangheta fu impegnata in veri e propri espropri mafiosi, a colpi di minacce, incendi, furti, danneggiamenti. Il barone Antonio Carlo Cordopatri, proprietario di vasti terreni a Castellace di Oppido Mamertina, fu assassinato nel 1991 per non aver ceduto i suoi oliveti al clan dei Mammoliti. Mentre oggi, sulle proprietà confiscate proprio alla cosca Mammoliti raccolgono le olive e imbottigliano l’olio i ragazzi della cooperativa “Valle del Marro”, nata nel 2004 da un progetto di Libera. Insomma, motore dell’economia, elemento identificativo del paesaggio, monumento alla memoria collettiva e alla storia, l’olivo è la Piana di Gioia Tauro. Ma molti, nella Piana di Gioia Tauro, non sembrano più pensarla così.
La crisi dell’olivicoltura calabrese, vincolata agli aiuti comunitari che integrano i prezzi sempre più bassi del mercato globale, e il nuovo criterio di assegnazione dei contributi previsto dalla Pac europea post-2013, con una probabile, drastica riduzione degli aiuti, hanno per molti proprietari trasformato l’olivo in un’inutile presenza antieconomica. E che qualcuno, dalla linea gotica in su, sia disposto a pagare fino a 10.000 euro per un solo albero ad alcuni non sembra neanche vero. C’è da capire: alla promessa bugiarda del Quinto Centro siderurgico, previsto dal pacchetto Colombo, di oliveti la Piana di Gioia Tauro ne aveva sacrificato centinaia di ettari. E dei 7.500 posti di lavoro promessi non ne ha vista neppure uno.
Insomma, una volta individuata la domanda, l’offerta di alberi monumentali, ma anche di intermediari e di servizi si è ben presto specializzata, con l’affermazione di alcune ditte locali, capaci di offrire cataloghi fotografici e contatti con l’estero. E il sospetto che anche in questo business le cosche si siano ritagliate il proprio spazio. Ma la legge che dice? Fino al 2009, anno in cui la Calabria approva la prima norma a tutela degli alberi monumentali, a fissare le regole c’era solo un vecchio decreto del 1945 (decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1945, n. 475) che prevedeva la possibilità di estirpare gli olivi improduttivi, a prescindere dalle loro caratteristiche di pregio. Unica condizione, un accertamento dell’ispettorato provinciale. Nei fatti, e da queste parti, un cavillo di nessun conto.
Nell’ottobre scorso è stata invece varata la prima norma sulla “Tutela e valorizzazione del patrimonio olivicolo della regione Calabria” (n.236 del 18 ottobre 2012). La legge, che ha istituito il registro degli alberi monumentali d’olivo vietandone l’estirpazione, ha introdotto pesanti sanzioni pecunarie per chi vende, estirpa, trasporta e acquista olivi senza autorizzazione. Ma in attesa dei regolamenti attuativi e della compilazione del registro, la legge è ancora solo sulla carta. E il business prosegue a gonfie vele. Sul solco ideale di altre “svendite” del territorio.