Qualcosa si muove nell’eurozona. Lentamente, ma si muove. Si tratta dei Money market fund (Mmf) statunitensi, i fondi del mercato monetario, che stanno tornando a investire nell’area euro, dopo la contrazione delle erogazioni avvenuta sia nel 2011 sia nel 2012. Il livello attuale della liquidità è ancora distante da quello del maggio 2011, eppure è in aumento da cinque mesi consecutivi.
Che la crisi dell’eurozona non sia finita, lo evince dalla congiuntura economica. La recessione, dopo aver caratterizzato il 2012, colpirà anche in quest’anno l’area euro. E lo farà in modo significativo, come ha ricordato il cancelliere tedesco Angela Merkel nel discorso di fine anno. «Per la Germania il 2013 rischia di essere ben più difficile dell’anno appena trascorso», ha detto la Merkel.
Sono tuttavia diversi i segnali di un progresso nella peggiore crisi dell’eurozona. Il più significativo è rappresentato dal ritorno degli investimenti dei fondi monetari statunitensi. Come ha certificato l’agenzia di rating americana Fitch, che analizza periodicamente questo settore, la liquidità è migliorata ancora in novembre. Per il quinto mese consecutivo, i Mmf sono tornati a investire nell’area euro, riportando la quota relativa al 13,7%, con un incremento di 8 punti percentuali rispetto al mese precedente.
Il miglioramento della fiducia degli investitori statunitensi si può ricondurre a tre diversi elementi. Il primo è nelle azioni della Banca centrale europea (Bce). Con il lancio del programma di acquisto di bond governativi a breve termine, cioè le Outright monetary transaction (Omt), è stato specificato che l’euro non sarà lasciato in balìa delle incertezze dei politici europei. Se ci sarà bisogno, interverrà la Bce in modo illimitato. E allo stesso tempo, potrà arrivare in aiuto anche il fondo di stabilizzazione finanziaria European stability mechanism (Esm).
La seconda ragione è invece da ricercarsi nella volontà dell’Ue, per ora più a parole che nel concreto, di andare oltre le divisioni ed evitare che l’euro diventi solo un ricordo. Da giugno a oggi gli investitori statunitensi hanno cambiato, seppur leggermente, la propria prospettiva verso l’eurozona. Merito del numero uno della Bce, Mario Draghi, e della sua intuizione delle Omt, ma non solo. Come spiega BlackRock, il maggiore gestore di fondi mondiale, dopo mesi di incertezza, c’è la sicurezza che la Merkel, insieme a Draghi, non permetterà la fine dell’euro. Basterà? Per adesso sì.
Infine, il terzo motivo: una rinnovata stabilità politica. E in questa prima fase dell’anno, il merito è soprattutto dell’Italia. Le elezioni italiane vedono il leader del Partito democratico Pier Luigi Bersani come favorito, mentre non è considerato un pericolo il ritorno in campo di Silvio Berlusconi. Allo stesso modo, la discesa in politica di Mario Monti è considerata un elemento rassicurante e di continuità da quasi tutte le banche internazionali. Un segnale di distensione dopo mesi di instabilità.
Nonostante il dato assoluto sul trend degli Mmf sia positivo, ci sono ancora alcune distorsioni che non sono state risolte. La prima è la direzione della liquidità. I Mmf statunitensi hanno deciso di tornare a sostenere soprattutto le banche tedesche e francesi. Rispettivamente, infatti, hanno registrato incrementi della liquidità del 26% e dell’8 per cento, entrambe su base mensile. Inoltre, l’esposizione complessiva dei fondi americani del mercato monetario rimane comunque più basse del 60% rispetto al maggio 2011, prima quindi che nell’epicentro della crisi finissero Spagna e Italia.
In ripresa è anche il mercato dei repurchase agreement, ovvero i pronti contro termine (o repo, in inglese). Anche in questo caso, è Fitch che analizza il mercato in questione. E anche in questo caso, il rapporto fra banche dell’eurozona e controparti statunitensi è al massimo storico. Come ha spiegato J.P. Morgan in un’altra nota, sono sensibili i passi avanti. «Lo stress è ancora elevato, ma la situazione è destinata a migliorare nel corso dell’anno, soprattutto grazie alle azioni della Bce», spiega la banca americana.
Dopo una prima seduta effervescente per Piazza affari, è facile cedere all’entusiasmo. E lo stesso si può dire per il mercato obbligazionario. Il differenziale di rendimento fra Btp decennali e i Bund tedeschi di pari entità continua infatti a contrarsi. Ieri è stata toccata la soglia indicata da Mario Monti, ovvero 287 punti base. Ieri questo livello è stato migliorato ancora, fino ad arrivare a 275 punti base. E se Roma sorride, anche Madrid può rallegrarsi. Come successo per il rendimento dei bond italiani, quello relativo alle obbligazioni iberiche sta tornando a livelli sostenibili.
In tal modo, per ora, vengono meno anche le probabilità che Spagna o Italia chiedano l’attivazione delle Omt o dell’Esm. La grande paura è quindi passata? Non del tutto. La recessione è destinata a fare compagnia all’euro area anche nel 2013, mentre i politici europei saranno impegnati a ricostruire (o costruire, dipende dai punti di vista) l’Unione economica e monetaria a colpi di riforme. Forse le lezioni degli ultimi due anni, in cui è emerso il rischio di convertibilità dell’euro, sono servite. Forse.