Galileo Galilei? Davvero un bravo uomo d’affari

Galileo Galilei? Davvero un bravo uomo d’affari

Il Sidereus Nuncius di Galileo Galilei, stampato a Venezia nel 1610

È una limpida notte di gennaio – quella del 7, per la precisione – quando Galileo Galilei nota attraverso le lenti del suo “cannone occhiale” (nome poi contratto in “cannocchiale”) qualcosa di strano, di mai visto prima, vicino al pianeta Giove. Ne prende nota e scrive: «Adi 7 di gennaio 1610 Giove si vedeva col cannone con tre stelle fisse così (e ne disegna la posizione) delle quali senza il cannone niuna si vedeva». Il giorno dopo compie una nuova osservazione e così nei giorni successivi.

Ma lo scienziato pisano, che insegna all’università di Padova, non è il solo a scrutare il cielo in quel 7 gennaio 1610. Sta facendo altrettanto anche il suo grande avversario, un tedesco di nome Simon Marius (Mayr), nato nel margraviato di Ansbach, nel sud della Germania, non lontano da Norimberga. Pure lui insegna a Padova e ha la cattedra di astronomia, mentre Galileo, ha quella di matematica. Entrambi si avvalgono di lenti fabbricate a Murano, che applicano al “cannone occhiale” inventato qualche tempo prima nelle Fiandre. Galileo rende lo strumento telescopico, inserendo due tubi uno nell’altro e ottenendo così una migliore resa nella messa a fuoco. Marius da parte sua, grazie a un ricco finanziatore, si avvale dei migliori strumenti dell’epoca.

I due si erano già scontrati qualche anno prima, quando un allievo di Marius, il milanese Baldassarre Capra, pubblica un trattato sull’uso del compasso geometrico militare, una sorta di antenato del regolo calcolatore, che serviva per calcolare le traiettorie dei colpi di artiglieria. Galileo non ci sta perché quello strumento l’aveva inventato lui, anche se non aveva pubblicato nulla, e così intenta un’azione legale che alla fine lo vede prevalere: riesce a dimostrare che il suo compasso è più complicato e preciso di quello dell’altro. Capra viene espulso dall’ateneo patavino, il suo libro distrutto, ma un’ombra si allunga anche sul suo maestro: non poteva non sapere quanto si accingeva a fare il discepolo.

Ora Galileo non vuole replicare la disputa e si scapicolla a pubblicare il risultati della sua scoperta. L’effetto collaterale dell’osservazione delle lune di Giove è la stampa di quello che forse è il primo instant book della storia: appena due mesi dopo, il 12 marzo 1610, esce a Venezia dai torchi dell’editore Tommaso Baglioni, il Sidereus Nuncius, volume latino in cui Galileo riassume la sua opera scientifica elaborata fino a quel momento, compresa la scoperta dei satelliti di Giove. Il fatto che il libro sia stato composto in fretta e furia è testimoniato dal particolare che vi sono numerosi errori. Poiché ogni compositore riusciva a comporre due pagine al giorno, le 56 pagine dell’opera galileiana hanno richiesto 28 giorni per essere composte, oltre a quelli necessari alla stampa. Le 550 copie tirate si sono rivelate un ottimo affare: l’edizione è andata esaurita in una settimana soltanto.

Il risultato è in tal modo ottenuto: la paternità della scoperta viene attribuita ora e per sempre a Galileo. Mayr/Marius pubblica i risultati delle osservazioni soltanto quattro anni più tardi a Norimberga, con il Mundus Iovialis. Nel volume afferma di aver osservato le lune di Giove prima di Galileo, ovvero il 28 dicembre 1609. C’è tuttavia un “ma” grande come una casa: Mayr ha studiato nell’accademia luterana di Heilsbronn e i protestanti non riconoscono il nuovo calendario gregoriano, introdotto da papa Gregorio XIII nel 1582, perché seguono ancora il vecchio calendario giuliano. E il 28 dicembre 1609 del calendario giuliano corrisponde esattamente al 7 gennaio 1610 del calendario gregoriano. L’osservazione risulta quindi al massimo contemporanea, e il fatto di aver pubblicato un instant book assegna a Galileo il gradino più alto del podio. A Marius va il premio di consolazione: i satelliti medicei (così chiamati dopo che Galileo andrà a Firenze) rimarranno designati con i nomi loro attribuiti dal tedesco: Io, Europa, Ganimede e Callisto.

A raccontare questa storia affascinante è Emilio Mazzai, libraio in quel di Lonigo (Vicenza), laureato in grafologia, che ha avuto l’idea di esaminare la scrittura di Galileo. E ne sono venute fuori delle belle. Lo scienziato era tutto quello che ci si può aspettare da un uomo par suo: preciso, curioso, ambizioso, creativo e quant’altro. Ma era anche molto avido, avido di tutto: di conoscenza come di denaro. E qui emerge un aspetto inedito del personaggio, che risulta essere un taccagno sempre pronto a pianger miseria, mentre in realtà ha una disponibilità economica piuttosto elevata. Era riuscito talmente bene a farsi passare per un poveraccio che alcune biografie cascano ancora nell’equivoco.

«Le sue entrate sono molto al di sopra della media di quei tempi», spiega Mazzai. La Serenissima repubblica di Venezia per farlo insegnare a Padova gli raddoppia lo stipendio che aveva a Pisa e i Medici gli aumenteranno di un bel po’ il compenso per attirarlo a Firenze. Mentre è a Padova tiene a pensione venti studenti che gli pagano la retta, e arrotonda ulteriormente impartendo lezioni private. Guadagna con i libri e soprattutto con le vendite del compasso geometrico militare in tutte le corti d’Europa. Al tempo non esistevano né brevetti, né diritti né tantomeno tutela dalla contraffazione, quindi l’unico modo di approfittare di un’invenzione era quello di fabbricarla e venderla finché le copie non avessero messo l’originale fuori mercato. Galileo fa fabbricare il suo compasso da un artigiano padovano, lo vende e tiene corsi per insegnarne l’utilizzo. Inoltre Venezia lo compensa per aver dotato la Serenissima del “cannone occhiale” dandogli il doppio dello stipendio di professore universitario. Aveva poco da lamentarsi, come invece faceva di continuo affermando di essere pieno di debiti e di aver bisogno di sempre nuove prebende. Galileo era un uomo ricco sia nell’intelletto, sia nella scarsella.

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