Napoli. Lui parla dentro la Galleria Principe di Napoli, e fuori fa uno strano effetto eco, due tassisti si rimbalzano proposte su una eventuale riforma elettorale: “il 5%… lo sbarramento…”. Eccola la gente comune che va a votare la gente comune. Che va a sentire la parola di Grillo, il leader non-leader.
La campagna elettorale ufficiale del Movimento 5 Stelle arriva a Napoli nel Cosentino-day, manco l’avessero ingaggiato apposta per dargli la battuta d’entrata perfetta. Non c’è nemmeno bisogno di calcare la mano, Grillo è esperto di show: il tema delle liste è sottinteso nei problemi altrui, la comica dei faldoni di firme spariti porta punti quasi a gratis. Il pubblico è caldo, pure se fuori piove e la navata malandata della galleria “minore” lascia filtrare qualche goccia.
Il tono dello Tsunami Tour è da ridondanza dei dilettanti allo sbaraglio, calza bene, lo fanno apposta persino, perché fa pendant con l’autofinanziamento elettorale: visto che si fa lo stesso senza rimborsi? “Senza soldi pubblici siamo la seconda forza del Paese” sancirà poi dal palco Grillo. Alla faccia di chi li vuole fuori dal gioco. È una sagra colorata che mette d’accordo tutti. E che brilla nei contrasti: dentro si parla e si suona e si canta da comunisti, e fuori gli contestano di star dalla parte di Casa Pound. E loro, i grillini, a galleggiare in una beata terra di mezzo fatta di “antipolitica” e “demagogia” e “populismo”. Le parole d’ordine disinnescate dall’autoironia, tanto che parte il coro “un-due-tre… po-pu-li-sta!”. E giù tutti a ridere.
Il comico è solo un valore aggiunto di uno spettacolo a scaletta fissa, introdotto e chiuso dai candidati al Parlamento. I normali in lizza per il comando dei normali, riassunti alla perfezione dalla donna giovane che in quanto tale subito attacca: “Ho 25 anni ma se avessi di fronte un Bersani di questi gli terrei testa in due minuti, perché sono una persona informata”. È l’orgoglio di giocare alla rivoluzione dei diversi, con l’arma della normalità.
Grillo arriva in camper, in orario. Parcheggia in seconda fila. Poi se ne sta chiuso in camerino per accumulare 45 minuti di ritardo. Un trucco? Si palesa e comincia a gridare che non è ancora salito sul palco, poi sputerà saliva per altri tre quarti d’ora abbondanti, per la gioia della poveretta che prova a tradurre il comizio in linguaggio dei segni. Fa il suo show, ci sono due attori di Un posto al Sole lì ad ascoltarlo, si porta appresso una spalla armata di Gps (“è lui il nostro leader, il Gps”) e quando affronta il tema della guerra finisce per svaccare consigliando ad Al Qaeda le coordinate giuste per un missile: quelle del Parlamento. Tanto “quelli lì sono già tutti morti”. Ma si scherza, eh, “basta guerra” c’è scritto un po’ ovunque, non equivochiamo.
È un copione che avete sentito mille volte, anche in quella tv che dice di non frequentare. Però la confezione ruvida e sgualcita ribolle di contenuti: il lavoro, le tasse, il finanziamento pubblico ai partiti, i controlli fiscali per i politici, le pensioni d’oro… E poi l’ambiente, il cavallo di battaglia che paradossalmente gli altri gli hanno lasciato in esclusiva: gli inceneritori, la raccolta differenziata, la vecchia economia mangia-pianeta. È un campo in cui ha poca concorrenza, e ha già vinto perché ci arriva primo e pesante. Certo, il boato lo raccoglie davvero quando ri-propone l’abolizione di Equitalia, il sempreverde “la casa è sacra” e la nazionalizzazione delle fabbriche. E fa niente che giustifichi la sua entrata in politica con “i 40 anni di bella vita che mi avete regalato e ora voglio dare io qualcosa in cambio”, puzza un po’ di repertorio berlusconiano, ma nessuno si azzarda a notarlo. Gli si passano pure le palesi esagerazioni: “Mi chiamano i ragazzi dall’Australia, torniamo in Italia, mi dicono, perché voi la state cambiando”.
La prima fila in transenna funziona in modalità concerto, mancano solo gli accendini. Lui ripete a pappardella i testi dei precedenti comizi, e se dimentica qualcosa gliela ricordano i fedeli dal “fossato”: “Gli inceneritori! – gli urlano – parla degli inceneritori!”. Ché stai a Napoli e quello è un classico del territorio che fa sempre punteggio. Intanto, nel retro-palco i militanti raccolgono fondi vendendo spillette a un euro. Fargli notare che sei un giornalista e che stai lì per lavoro è argomento fallace: “Noi non abbiamo bisogno dei giornali”. Ecco.
Perché le idee che rimbombano nella casse fanno pochissime pieghe: “Monti, padre Merrin dell’esorcista, dice di essere il nuovo e si allea con Fini e Casini”. E sia chiaro, loro fanno “campagna sulle idee, e le idee o sono intelligenti o sono di merda”. Va a finire che tra una battuta su Moggi (“peccato che s’è ritirato, l’avrei votato”) e una letta all’Ipad, Grillo infila un concetto tanto semplice quanto rottamato: “La visione della politica. Io voglio una visione, non solo soluzioni arronzate per le emergenze continue. Voglio sapere in che mondo vivrà mio figlio, che cibo mangerà, che acqua ci sarà, dove finiranno i rifiuti, tra trent’anni, non domani mattina”. La vecchia politica era una cosa così. Oggi la chiamano antipolitica, la rivoluzione dei normali.